Zeus
(gr. Zéus [genit. Diós], lat. Iuppiter [genit. Iovis]).

Caratteristiche e prerogative
Massima divinità olimpica, padre riconosciuto degli altri dèi, sui quali detiene un potere incondizionato, seppure non estraneo a sporadiche contestazioni. Il suo principale attributo è la folgore, ed è ancora ben riconoscibile in Zeus la fisionomia di un primitivo dio preposto a tutti i fenomeni meteorologici, in particolare la tempesta e la pioggia («Zeus piove» è espressione alquanto usuale in greco). In tale forma Zeus dovette essere già noto ad ampia parte del dominio indoeuropeo, come dimostrato dal confronto fra i nomi di diverse divinità del cielo e dei fenomeni atmosferici (il sanscrito Dyaus pitar è del tutto analogo al latino Iuppiter e indica il «padre celeste»; la stessa radice del nome Zeus è nel teonimo germanico Tiwaz e nei nomi latini deus «dio» e dies «giorno»). Ma le prerogative del greco Zeus si allargano via via sino a comprendere ogni sorta di tutela sopra valori sacri quali l’ospitalità, la lealtà alla parola data, il rispetto dovuto ai capi e ai sovrani legittimi, il senso della giustizia: e se in Omero il ruolo di divinità atmosferica è ancora assai importante (lo dimostrano numerosi epiteti quali «Zeus che aduna i nembi», «che gode del fulmine», «che alto tuona»), nondimeno Zeus si avvia a diventare quel «padre degli dèi e degli uomini» che nella tradizione successiva resterà la sua caratterizzazione più sintetica e ricorrente, al punto di fare di lui, in alcuni momenti dell’evoluzione religiosa antica, un dio prossimo, per potere e sacertà, alle divinità monoteistiche.

Mito e genealogia
Secondo il mito canonizzato dalla Teogonia di Esiodo, Zeus nasce da Crono e da Rea («Crònide» è il suo epiteto più frequente). Come già il padre Urano, Crono intende proteggersi da un figlio che, secondo un’antica profezia, sarebbe stato destinato a scalzarlo dal trono degli dèi: perciò ingoia puntualmente i frutti del ventre di Rea; questa però, incinta di Zeus, lo dà alla luce in Creta, di nascosto dallo sposo, al quale viene consegnata una pietra avvolta in fasce neonatali, che Crono non manca di ingoiare. Zeus fu affidato per lo svezzamento ad Amaltèa (che le fonti rappresentano ora come una Ninfa, più spesso come un capra): con la sue pelle, dopo la morte della nutrice, Zeus fabbricò l’ègida (lo scudo che è abituale attributo di Atena), il suo corno divenne il corno dell’abbondanza (cornucopia) e Amaltea stessa fu divinizzata e tramutata in stella. Le danze orgiastiche dei mitici Curèti, con il loro battere di scudi, coprivano i vagiti del neonato impedendo a Crono di percepirne la presenza.

Una volta cresciuto, Zeus costrinse Crono a rigettare i figli sino ad allora ingoiati grazie a un farmaco ottenuto dalla dea Mêtis (personificazione dell’astuzia). Obbedendo a una profezia di Gaia (Terra), Zeus cercò l’aiuto dei Ciclopi, prigionieri nel Tartaro, e dopo averli liberati diede l’assalto al regno del padre: Crono e gli altri Titani furono sconfitti e detronizzati. Dai Ciclopi Zeus ottenne in dono la folgore e il fulmine, e dopo la vittoria spartì il cosmo fra sé e i fratelli: si attribuì il cielo, destinando a Poseidone il mare e ad Ade l’oltretomba. I più celebri attentati alla sovranità di Zeus, ormai vittoriosamente stabilita, verranno in séguito dalla rivolta dei Giganti figli di Gaia (che Zeus a capo degli dèi olimpici sconfiggerà con l’aiuto di Eracle) e dal mostruoso Tifòne, che per qualche tempo sarebbe riuscito addirittura a tenere in scacco il dio supremo, costringendolo a una prigionia da cui lo avrebbero liberato Ermes e Pan, ma che alla fine cadde sotto la folgore di Zeus, venendo incarcerato per l’eternità sotto la mole dell’Etna. Da quel momento in poi la dinastia degli dèi olimpici, capeggiati da Zeus, fu pressoché senza rivali.

Matrimoni e discendenti
La prima dea a unirsi con Zeus fu Metis, figlia di Oceano e di Teti (Tethús): ma quando Metis fu gravida, Zeus la ingoiò su consiglio di Gaia, per evitare che ne nascesse un figlio più forte del padre (da tale gesto nacque Atena, partorita dal cranio di Zeus e perciò, secondo le fonti, votata a una caratterizzazione decisamente mascolina). Analoghe ragioni – ossia il timore di essere spodestato da un figlio che le profezie raccolte da Prometeo annunciavano come superiore al padre – spinsero tanto Zeus quanto Poseidone ad evitare il matrimonio con la nereide Tètide, che fu quindi concessa in sposa a Pèleo (unione da cui nacque Achille). Dal successivo matrimonio con Thémis («Giustizia») Zeus generò le dee tutrici dell’ordine cosmico e stagionale: le tre Ore (Eirène, Dike e Eunomìe) e le tre Moire (Clòto, Làchesi e Àtropo). Infine Zeus si unì in matrimonio con la sorella Era, formando quella che agli occhi dei Greci fu la coppia divina per antonomasia, archetipo celeste di ogni unione terrena (la loro hierogamía, «unione sacra», è soggetto iconografico di immensa fortuna nell’arte arcaica e classica): ma da tale matrimonio nacquero soltanto Ares ed Efesto, entrambi, per ragioni diverse, divinità considerate minori dallo stesso Zeus. Ben più feconde le unioni che videro il sommo dio accoppiarsi con dee come Maia (da cui nacque Ermes), Latòna (da cui nacquero Apollo e Artemide), Mnemosìne (da cui nacquero le Muse), Demètra (da cui nacque Persèfone). Ma se da tali accoppiamenti hanno avuto origine alcuni dei più importanti membri del pantheon greco – ivi comprese divinità non appartenenti ai dodici dèi maggiori (Zeus, Era, Poseidone, Atena, Apollo, Artemide, Afrodite, Ermes, Demetra, Dioniso [Estia], Efesto, Ares), ma di estrema importanza cultuale e culturale, come Persefone e le Muse – è dalle frequenti scappatelle di Zeus con donne mortali che nascono altrettanti e altrettanto noti protagonisti della mitologia antica: in questo àmbito Zeus appare come un dio dall’incontenibile sessualità e dalla spiccata inclinazione alle metamorfosi, sicché sotto forma di toro rapisce Europa (che darà alla luce Minosse, Radamante e Sarpèdone), sotto forma di pioggia dorata seduce Dànae (che divenne madre di Pèrseo), sotto forma di cigno ingravida Leda (ne nasceranno Elena, Clitemnestra e i cosiddetti Dioscùri, Càstore e Pollùce); assumerà ancora le fattezze di Anfitrìone per sedurne e ingravidarne la moglie Alcmena, da cui nascerà Eracle, oggetto di efferate ritorsioni da parte di Era, mentre uno degli adulteri più noti, quello con la tebana Semele, darà origine a Dioniso. Ma ancora altri eroi potranno vantare la nascita da Zeus: così i capostipiti dei Tebani, Zeto e Anfìone (nati da Antìope), il capostipite dei Danai Èpafo (nato da Io), il capostipite dei Mirmidoni Èaco (nato da Egìna). Non meno celebre fu l’amore di Zeus per il troiano Ganimède, che fu rapito – il dio assunse all’uopo la forma di un’aquila – e condotto sull’Olimpo per svolgervi le funzioni di coppiere degli dèi. In ogni caso, le numerosi metamorfosi di Zeus – che appaiono per lo più connesse alle sue unioni extraconiugali, ma anche alla stessa vicenda della sua ascesa al potere – hanno permesso di riconoscere nel dio un doppio modello di regalità attivo in larga parte del dominio indoeuropeo: una regalità connessa tanto alla forza (di cui Zeus è sommo detentore), quanto all’astuzia e alla magia (che Zeus, pur sporadicamente, sa utilizzare ai propri fini).

Alcuni casi di ‘lesa maestà’
Le frequenti e spietate reazioni di Era dinanzi a tante e tali avventure del consorte non sono che una delle frequenti occasioni di polemica di fronte a un’autorità che già in Omero non sembra al riparo da sporadiche contestazioni: pur considerato unanimemente il dio supremo, Zeus si deve scontrare sia con la sposa (di una loro lite serba memoria l’Iliade, che la connette alle vicende di Efesto) sia con il fratello Poseidone e la figlia Atena (vi accenna Iliade I 399-406). La sua autorità, e soprattutto la sua potenza, restano comunque indiscusse: anche lo scontro che lo vede opposto a Prometeo, narrato dall’omonima tragedia di Eschilo, è destinato a concludersi con il riconoscimento del giusto dominio di Zeus sugli dèi e sugli uomini, benché alla somma divinità non sia risparmiato l’attributo di «tiranno» feroce e immorale.

Zeus e gli uomini
La vicenda di Zeus e Prometeo è del resto connessa al dato mitico che sin da Esiodo (Teogonia 550 ss.) ratifica la definitiva separazione fra uomini e dèi: la fondazione del sacrificio e il conseguente allontanamento degli immortali dalle mense dei mortali. Di tale separazione Zeus stesso risulta, nella mitologia antica, irremovibile garante: in quanto dio del destino e della giustizia, egli presiede al rispetto della môira e dell’âisa, cioè dei ruoli assegnati a ciascuno dei membri del cosmo. Non a caso, una diffusa iconografia (sia artistica che letteraria) lo pone in relazione con Dike e gli assegna come attributo la bilancia, che nell’Iliade serve spesso a pesare i destini dei guerrieri che si trovano contrapposti sul campo di battaglia.

Culti e dottrine
A livello cultuale, Zeus è adorato sin da età micenea (per quanto sia discussa la supremazia su Poseidone) in ogni parte della grecità: egli è patrono e protettore delle poleis, delle assemblee politiche, dei giuramenti e in generale di ogni ordine costituito. Di particolare rilevanza il culto che gli era reso in Olimpia (a lui sono peraltro dedicate le Olimpiadi), a Dodòna in Epiro (dove si trovava il suo più celebre oracolo), sul monte Liceo in Arcadia e più tardi nell’oasi di Siwa in Egitto, dove a partire dall’età alessandrina Zeus fu identificato con il dio Ammòne.

A livello culturale e filosofico, sin da Eschilo e dal celebre inno che egli gli dedica nell’Agamennone (vv. 160 ss.), Zeus assume le caratteristiche di un dio non solo supremo, ma quasi unico o almeno antonomastico (il Dio per eccellenza): una progressiva ‘moralizzazione’ della sua figura (che gli studiosi hanno riscontrato in atto già nell’Odissea) che avrà il suo culmine in età ellenistica, quando Zeus sarà identificato con la legge cosmica e con il principio panteistico della vita e delle sue regole.

Zeus e Giove
A Roma, la divinità indigena Giove fu identificata progressivamente con Zeus e assunse poco a poco quasi tutte le prerogative della divinità greca: dal controllo sui fenomeni atmosferici (Giove è detto Tonans, Fulgur, Serenus, Pluvius) alla tutela sui giuramenti e sul diritto, sui confini territoriali e sul matrimonio, sulle attività di pace e di guerra. Membro principale della cosiddetta «Triade Capitolina» (all’inizio con le divinità italiche Marte e Quirino, quindi, sotto l’influsso greco, con Giunone [= Era] e con Minerva [= Atena]), ebbe il suo principale culto sul Campidoglio, dove era adorato come Iuppiter Optimus Maximus: la stessa epiclèsi che spettava al dio anche come patrono della Lega Latina (e come tale adorato precedentemente sul Monte Albano). Al Giove Capitolino – e alla Triade nel suo complesso – sacrificavano le massime autorità politiche romane al principio della loro carica; sotto il suo patrocinio erano poste festività civiche fondamentali come i Ludi Magni (nella prima metà di settembre), i Ludi Plebei (nella prima metà di novembre) e i Ludi Capitolini (15 ottobre), con culti e riti che si estesero ben presto a gran parte delle città italiche, e quindi, dopo l’espansione romana nel Mediterraneo, a quasi tutti i territori posti sotto il controllo della città laziale; sicché Giove non tardò – come già il greco Zeus – ad essere identificato con le somme divinità delle nazioni e delle culture incontrate da Roma durante il suo cammino di conquista.

[Federico Condello]