Efèsto
(gr. Héphaistos = lat. Volcanus)

Caratteristiche e origini
Dio del fuoco e dell’arte metallurgica, figlio di Zeus e di Era secondo Omero, secondo Esiodo invece (Teogonia, vv. 927 s.) frutto di partenogenesi, e quindi figlio della sola Era, in risposta alla generazione di Atena da parte del solo Zeus. Caratteristica del dio, che l’accomuna a diverse figure mitiche afferenti all’àmbito della téchne (il sapere ‘tecnico’) e della mêtis (l’astuzia ‘pratica’), è la zoppia, che Omero spiega in due modi diversi: Efesto sarebbe stato azzoppato da Zeus durante una lite fra gli dèi nella quale egli aveva preso le parti della madre Era (Iliade I 571 ss.), oppure sarebbe nato già zoppo, e quindi scaraventato in mare dalla stessa madre (Iliade XVIII 392-398). Secondo la prima tradizione, Efesto avrebbe trovato ricovero a Lemno dopo una caduta durata un giorno intero: l’isola, da quel giorno, sarebbe divenuta la sua preferita fra le sedi terrestri; secondo la seconda tradizione, a dare ricetto al dio sarebbe state invece le divinità marine Teti ed Eurìnome. Di aspetto sgradevole e comicamente goffo nei movimenti, Efesto suscita il riso degli altri dèi riuniti a banchetto, quando s’improvvisa coppiere (Iliade I 597-600); egli risulta tuttavia unito in matrimonio a dee di straordinaria bellezza: Charis secondo l’Iliade (XVIII 382 s.), addirittura Afrodite secondo l’Odissea (VIII 266-366). La sede della sua prodigiosa fucina era variamente collocata dalla tradizione mitica: Omero la pone sull’Olimpo, ma la tradizione posteriore – e in particolare la tradizione romana – la trasferisce nelle aree vulcaniche dell’Italia centrale o meridionale, e in particolare sotto le pendici dell’Etna.

Efesto e Afrodite
L’unione di Efesto con la più bella delle dee è funestata dal tradimento di Afrodite con Ares, oggetto del canto serio-comico che Omero affida all’aedo Demodoco presso la corte di Alcinoo: sorpresa la moglie infedele su indicazione di Elio, Efesto si vendica costruendo una rete invisibile che incatena i due amanti al letto e li espone alla vista, alle risate e anche all’invidia di tutti gli altri dèi, convenuti ad ammirare l’inedito spettacolo; solo l’intercessione di Poseidone convincerà Efesto a liberare i due prigionieri.

Arte e gesta
Artista e fabbro sopraffino, Efesto pare specializzato nella costruzione di trappole e artifici, con una inclinazione che non si manifesta soltanto in occasione dell’adulterio di Afrodite: secondo una tradizione testimoniata per la prima volta in Alceo, la stessa Era sarebbe stata incatenata al suo trono da Efesto, che intendeva così vendicarsi dell’aspro trattamento riservatogli subito dopo la nascita; solo l’ubriacatura procuratagli da Dioniso avrebbe fatto sì che Era venisse liberata. Ma Efesto è soprattutto l’artefice di tutti i più importanti manufatti metallici impiegati dagli dèi: dallo scettro di Zeus al carro di Elio, dai dardi di Apollo alle stesse «case di bronzo» degli immortali. Allo stesso Efesto si deve la costruzione delle armi per Achille, il cui meraviglioso scudo viene descritto in ogni suo dettaglio da Omero (Iliade XXI 328-382), nonché di quelle per Enea (Virgilio, Eneide VIII) e dell’urna dorata in cui le ceneri di Achille saranno mescolate a quelle dell’amico Patroclo. Il dio ha avuto un ruolo fondamentale anche nella creazione di colei che la tradizione greca considerava la prima donna, Pandòra, secondo il racconto di Esiodo.

Culti greci e romani
Un culto particolare Efesto riceveva ad Atene, dove il dio era considerato protettore di tutti gli artigiani – e perciò spesso adorato accanto ad Atena – e addirittura padre di Erittònio, capostipite della dinastia regale ateniese. I Romani identificarono Efesto con il dio italico Vulcano (lat. Volcanus), il cui culto sarebbe stato introdotto nell’Urbe da Tito Tazio. Gli storici delle religioni concordano nel ritenere che il Vulcano italico non fosse in origine un dio della metallurgia (e dunque del fuoco nel suo aspetto di agente trasformatore), bensì del fuoco sotterraneo e del fulmine distruttore. Non a caso, i più antichi culti di Vulcano sorgevano al di fuori delle cinte cittadine.

[Federico Condello]