Eschilo
(gr. Aischúlos, lat. Aeschylus)

Vita

Nato nel demo attico di Eleusi nel 525-524 a.C., combatté nella battaglia di Maratona (490 a.C.) e probabilmente in quella di Salamina (480 a.C.). Il suo esordio teatrale si colloca negli anni 499-496 a.C., mentre il suo primo successo risale al 485-484 a.C. Visitò la Sicilia due volte, nel 476-475 e nel 458 a.C., e ivi morì nello stesso 458 a.C. I figli Euforione, Eveone e il nipote Filocle si dedicarono ugualmente all’attività drammaturgica e curarono l’allestimento di diverse sue opere.

Opere
Il lessico bizantino di Suda menziona una novantina di drammi attribuiti a Eschilo. Di essi, solo sette sono giunti integri attraverso la tradizione manoscritta medioevale. Il resto è conservato in stato frammentario o perduto integralmente. Questa la cronologia delle tragedie superstiti: 472 a.C.: Persiani, che faceva parte di una tetralogia comprendente Fineo, Glauco Potnieo, Prometeo attizzatore di fuoco; 467 a.C.: Sette contro Tebe, terzo dramma della tetralogia Laio, Edipo, la Sfinge; 463 (?): Supplici, cui dovevano seguire Egizi e Danaidi; 458 a.C.: Orestea, unica trilogia tragica che l’antichità ci ha trasmesso, costituita da Agamennone, Coefore, Eumenidi. Datazione e paternità restano incerte per il Prometeo incatenato, la cui trilogia prevedeva Prometeo portatore di fuoco e Prometeo liberato.

Argomenti
Le tragedie eschilee sono semplici e lineari nello svolgimento, lente nel ritmo dell’azione, caratterizzate da una certa staticità: non si verificano, di norma, repentini capovolgimenti di situazione (peripéteiai), si assiste semmai a un continuo crescendo di tensione. L’interesse del drammaturgo si concentra, di preferenza, su eventi e situazioni, più che su personaggi e caratteri. Persiani: l’azione si svolge a Susa, capitale dell’impero persiano. Il coro d’apertura degli anziani dignitari esprime preoccupazione per la sorte di Serse, partito per la Grecia con un seguito immenso di uomini e navi. Ad attendere con loro è la regina Atossa, madre di Serse e moglie del defunto re Dario, turbata da presagi funesti, che preluderanno infatti alla notizia, recata da un messaggero, della disfatta di Salamina. L’ombra di Dario, il re giusto, evocata dal sepolcro, ne individua la causa nella smodata ambizione di Serse, colpevole di aver violato l’ordine naturale e divino, soggiogando con ponti di navi l’Ellesponto e incendiando i templi; egli predice anche la futura sconfitta di Platea. Nella scena finale Serse, tornato alla reggia, reca i segni dell’umiliazione subìta, causata dall’húbris che ha finito per travolgere lui stesso. Un canto di lutto conclude la tragedia. Sette contro Tebe: Tebe, su cui regna Etèocle, è assediata da Polinìce, suo fratello, insieme ad altri sei valorosi guerrieri argivi, schierati ciascuno davanti a una delle sette porte della città. Eteocle contrappone a ogni comandante nemico un adeguato difensore, decidendo di fronteggiare egli stesso il fratello. A nulla valgono i tentativi di dissuasione delle donne tebane e il combattimento ha inizio. Un messaggero annuncia che la città è salva ma che i due fratelli si sono reciprocamente uccisi in battaglia. L’ultima scena, in cui Antigone dichiara la sua intenzione di seppellire Polinice, nonostante l’esplicito divieto, è probabilmente una rielaborazione tarda. Supplici: le cinquanta figlie di Danao si sono rifugiate ad Argo per sfuggire alle nozze con i cugini, figli del re d’Egitto e, raccolte intorno all’altare di Dioniso, invocano protezione da Pelasgo, re della città. Costui, insieme al popolo, accorda infine la sua ospitalità, conscio, però, che questo comporterà un conflitto con gli Egizi. L’araldo, che intende ricondurre in patria le fuggitive, viene dunque respinto. Prometeo incatenato: Efesto, Kratos e Bia, per ordine di Zeus, trascinano in un’impervia zona montuosa della Scizia Prometeo – che si è reso colpevole di aver donato agli uomini il fuoco – e lo incatenano a una rupe. Il coro delle Oceanine e Oceano invitano il titano a un comportamento prudente verso gli dèi, ma Prometeo non ascolta il saggio consiglio. Altri due personaggi visitano il prigioniero: la giovenca Io, costretta da Zeus a un perpetuo errare, assillata da un tafano, ed Ermes. Alla prima Prometeo predice il futuro, al secondo si rifiuta di confessare il segreto relativo alla fine di Zeus, provocando così l’ira del Cronide che lo precipita nell’abisso insieme alla rupe a cui è legato. Orestea (titolo della trilogia): Agamennone torna in patria dopo la guerra di Troia, ma trova la morte per mano della moglie Clitemnestra, che con la complicità di Egisto, suo amante, intende vendicare così il sacrificio della figlia, Ifigenìa (Agamennone); Oreste giunge ad Argo insieme all’amico Pìlade, per fare a sua volta giustizia dell’omicidio del padre, uccidendo la madre; si fa riconoscere dalla sorella Elettra, quindi mette in atto il suo piano delittuoso, col risultato che le Erinni lo inseguono incessantemente, costringendolo a fuggire (Coefore). Arrivato a Delfi, egli si rifugia presso il tempio di Apollo, quindi ad Atene, dove il suo caso, che comporta un conflitto fra diritto materno e diritto paterno, viene sottoposto al giudizio dell’Areòpago. Oreste verrà assolto e alle Erinni saranno promessi un culto stabile e onori divini come Eumenidi, cioè dèe benevole (Eumenidi).

Tecnica drammaturgica
Eschilo è considerato il drammaturgo greco in assoluto più innovativo. Gli si attribuiscono l’introduzione del secondo attore o deuteragonista (si noti tuttavia che anche l’impiego del terzo attore, tradizionalmente ascritto a Sofocle, sembra comparire già nell’Orestea); la riduzione della componente lirica e l’ampliamento degli episodi; l’adozione della trilogia legata in luogo della trilogia sciolta (le tre tragedie che il poeta presentava sviluppavano cioè tre momenti di uno stesso tema); uno svariato uso delle macchine teatrali e degli effetti dello sfondo: tutti elementi che, insieme allo splendore dei costumi, dovevano ovviare alla staticità dell’impianto strutturale dei drammi.

Tematiche
Le principali questioni su cui riflette il teatro eschileo riguardano il problema del male e del dolore – a cui è strettamente connesso il motivo della paura –, il rapporto fra gli uomini e la divinità, la civiltà e la società umana con le sue strutture. Il male (richiesto per vendicare un altro male) e la sofferenza – che secondo la concezione arcaica erano determinati dall’invidia degli dèi per la prosperità umana – acquistano ora un valore positivo, sono giustificati quali eque punizioni per una colpa, strumento usato dagli dèi per educare gli uomini alla giustizia, perché attraverso il dolore essi giungano alla conoscenza (cfr. Agamennone 177: páthei máthos). Se arcaica appare ancora la concezione dell’individuo e del génos (la colpa ricade sui discendenti con totale indistinzione fra colpa e responsabilità), comincia però ad affacciarsi, in alcune tragedie, una nuova visione del mondo che sottrae la giustizia alla logica gentilizia e la affida alle istituzioni cittadine (cfr. Supplici, Eumenidi).

Stile
La lingua poetica eschilea è estremamente elevata, solenne, grandiosa, immaginifica, ricca di metafore, neologismi, composti, nessi insoliti, soprattutto nelle parti corali.

[Elena Esposito]