Le strategie del testo argomentativo

Un articolo redatto personalmente da G. Antonelli, E. Picchiorri e L. Rossi, autori della novità editoriale Mondadori Education 2023 La cura delle parole, pensato per aiutare gli studenti nella preparazione alla prova INVALSI

Premessa

Imparare ad argomentare è una competenza fondamentale nell’odierna società della comunicazione, nella quale la responsabilità delle parole è diventata molto più impegnativa per ognuno di noi. Un testo argomentativo ben concepito porta comunque un contributo alla discussione, anche se le opinioni di chi legge o di chi ascolta sono diverse, o addirittura opposte, rispetto a quelle dell’autore. Nella scuola, l’esercizio dell’argomentazione può essere valorizzato anche come strumento di educazione civica. 

Come è noto, un testo argomentativo ben concepito deve compiere al meglio queste due operazioni. 

  1. Presentare in modo chiaro la propria tesi (fin dal titolo, che va scelto con particolare cura).

  2. Discutere gli argomenti di una possibile antitesi: mostrando che le nostre argomentazioni sono più efficaci di quelle contrarie, avremo più probabilità di convincere chi ci legge o chi ci ascolta.


Partiamo da un testo concreto per riconoscere e valorizzare le strategie comunicative e linguistiche che presiedono a un testo argomentativo ben costruito.

(Nel presentare il testo ci siamo limitati ad aggiungere la scansione in Unità testuali, di solito corrispondenti agli accapo, e a lasciare i grassetti del testo originale, utili per individuare anche visivamente i temi centrali dell’articolo). 

 

 

Testo d'esempio

Un futuro migliore comincia all’asilo. Quei bandi non possono andare a vuoto


di Barbara Stefanelli 

[Unità testuale A] I risultati di un esperimento in Finlandia: non frequentare il nido indebolisce il lavoro femminile e lo sviluppo dei bimbi. Frequentarlo, al contrario, crea più opportunità per crescere e più libertà per le madri.

[Unità testuale B] Nei mesi della pandemia, abbiamo pensato (e forse creduto) a una società migliore che sarebbe venuta “dopo”. In parte perché noi, individualmente, avremmo imparato la lezione del dolore – il dolore attraversato, il dolore sfiorato. In parte perché l’Europa si era dimostrata capace di sopravvivere, di saldarsi e organizzarsi, perfino di condividere un tesoretto di risorse dedicato sin dal nome alla Next Generation Eu. Nel Vecchio Continente, una generazione nuova avrebbe raccolto il frutto finalmente maturo della consapevolezza. Del sacrificio e della speranza comuni. Nel 2022 è arrivato il momento della «messa a terra» – quante volte lo avete sentito? – di quegli investimenti straordinari, che in Italia sono stati affidati ai file del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). 

[Unità testuale C] La prima messa a terra dell’energia accumulata, in un Paese che fa fatica a rianimare le curve demografiche, non poteva che guardare ai morbidi pavimenti e prati degli asili nido dove comincia “la vita pubblica” dei bambini e delle bambine da 0 a 3 anni. Ed ecco che 4.6 miliardi del Pnrr, non pochi, sono stati destinati alla conquista di una percentuale magica: un posto ogni tre baby cittadini. Per saltare poi a una copertura del 90 per cento tra i 3 e i 6 anni, come indica un traguardo Ue sottoscritto a Barcellona nel 2002. E dunque che cosa sta succedendo adesso che le scadenze fissate sul calendario nazionale vengono raggiunte e sorpassate (l’ultima il 28 febbraio)? Succede che i bandi vanno in parte a vuoto. Il primo “giro” ha visto arrivare dai Comuni richieste pari al 49% dello stanziamento totale. Da qui una sequenza di riaperture e rilanci per «aumentare la partecipazione degli enti». 

[Unità testuale D] L’obiettivo resta una mappa aumentata di 264.480 posti entro il 2023. C’è una visione, ci sono i soldi: e allora perché la rivoluzione degli asili si è inceppata? Le risposte sono due. La seconda è (quasi) comprensibile: i Comuni temono i «futuri oneri» (stipendi, manutenzione) che il funzionamento di una struttura così articolata e delicata porterebbe con sé. Ma qui è intervenuta la legge di Bilancio 2022, con un pacchetto di risorse extra. A rivelare una debolezza di fondo è invece la prima risposta. Le famiglie italiane dichiarano ancora, nelle ricerche, «la disponibilità di un familiare» per accudire i piccolissimi e confermano al contrario «la ritrosia a delegare» cura/educazione nei primi anni. In alcune regioni, non solo a Sud, l’offerta supera già ora le domande di iscrizione al nido. 

[Unità testuale E] A questo punto, si impone un’obiezione: non sarebbe meglio far confluire le risorse verso le madri che restano a casa finché i figli non hanno compiuto tre anni? Invece di disperderle all’esterno, inseguendo modelli spesso avvertiti come forzature? In fin dei conti, conti affettivi ed economici, magari è meglio per i bambini e pure per le mamme (perché tanto quel «familiare a disposizione» non appartiene al mondo dei padri, salvo eccezioni).

[Unità testuale F] Ci hanno provato in Finlandia, dove anni fa è stato attivato un programma chiamato Finnish Home Care Allowance (HCA) che prevedeva il monitoraggio nel tempo dei nuclei beneficiati dalle dotazioni dirette. Il primo effetto è stato una perdita di occupazione femminile a breve e a lungo termine; il secondo, meno prevedibile, un indebolimento dello sviluppo cognitivo dei bambini coinvolti rispetto ai coetanei, con conseguenze negative sulle chances accademiche e sulla vulnerabilità al crimine in età giovanile. Una metrica che ci suggerisce di tornare all’asilo. 

[Unità testuale G] Il nido si rivela un hub di possibilità: più libertà per le madri e più equilibrio nella divisione dei compiti tra neo genitori; più opportunità di crescere insieme per bimbi con background diversi; più lavoro per le donne, che sono maggioranza negli istituti scolastici e di cura. Più vita nei quartieri, dove asili e materne rappresentano una promessa - visibile a tutti - di futuro. 

https://www.corriere.it/sette/editoriali/23_marzo_24/futuro-migliore-comincia-all-asilo-quei-bandi-non-possono-andare-vuoto-26f246ca-c67f-11ed-8319-4ca74abab2a3.shtml?refresh_ce

 

 

Analisi

Nella Cura delle parole consigliamo un protocollo diviso in 5 distinte fasi.

  1. Cercare le parole sconosciute.

  2. Individuare e definire il tema.

  3. Individuare la tesi e l’antitesi.

  4. Individuare gli argomenti utilizzati per sostenere la tesi e quelli utilizzati per l’antitesi.

  5. Riconoscere le strategie comunicative.


Ci concentriamo qui sull’ultimo punto. Quali sono le strategie comunicative che rendono così efficace il testo argomentativo (nella fattispecie, un testo argomentativo di carattere giornalistico)?

Intanto, la tesi è espressa fin da subito (Unità testuale A): frequentare l’asilo nido – è il risultato di un esperimento promosso in Finlandia – fa bene allo sviluppo dei bimbi e incentiva il lavoro delle madri. L’efficacia di questo approccio diretto, mutuato dal giornalismo anglosassone (partire subito con un attacco – il lead – che contenga la tesi e i nuclei informativi principali dell’articolo) è evidente.

La tesi va invece distinta dalla notizia, cioè dallo spunto che collega le argomentazioni dell’autrice ad accadimenti recenti. Bisogna notare infatti che i testi argomentativi nascono da un dibattito su problemi attuali, non sono disquisizioni astratte e fini a sé stesse, avulse dal contesto reale. La notizia è riportata nell’Unità testuale C: nonostante i generosi stanziamenti del Pnrr, il 49% dei bandi è andato a vuoto. Perché? Le ragioni sono due, e vengono elencate e discusse nell’Unità testuale D. Una è quella dei futuri oneri, come stipendi e manutenzioni (una ragione definita dalla giornalista «(quasi) comprensibile»). Mentre l’altra ragione rivela «una debolezza di fondo»: nelle ricerche le famiglie italiane dichiarano ancora la disponibilità di un familiare (di fatto, la madre) per accudire i piccolissimi e confermano la ritrosia a delegare ad altri la cura e l’educazione dei figli nei primi anni di vita.

L’unità testuale E discute un’obiezione (quindi, discute gli argomenti di una possibile antitesi): invece di disperderle all’esterno, inseguendo modelli spesso avvertiti come forzature, non sarebbe meglio far confluire le risorse verso le madri che restano a casa finché i figli non hanno compiuto tre anni? 

L’unità testuale F confuta questo argomento. Sempre in Finlandia un programma di sperimentazione ha monitorato nel tempo i nuclei beneficiati dalle dotazioni dirette (soldi, cioè, dati direttamente alle famiglie). Ma gli effetti sono stati negativi: 

  1. una perdita di occupazione femminile a breve e a lungo termine; 

  2. meno prevedibilmente, un indebolimento dello sviluppo cognitivo dei bambini coinvolti rispetto ai coetanei, con conseguenze negative sulle possibilità accademiche e sulla vulnerabilità al crimine in età giovanile. 


L’unità testuale G ribadisce la tesi, corroborandola con nuovi argomenti.

Bisogna anche spiegare che più o meno implicitamente la tesi si ricollega a un dibattito vivo già da anni sugli aiuti alla natalità (un accenno si può cogliere nell’accenno alle curve demografiche nell’Unità testuale C) e sulle pari opportunità di genere (come potrà una donna conciliare le esigenze della maternità con quelle lavorative?). Una sorta di antitesi sottaciuta è costituita poi dall’idea diffusa volgarmente, ma assolutamente infondata sul piano pedagogico, che l’asilo nido non sia una vera scuola, ma una sorta di “parcheggio” per bambini. Ebbene, la lettura di un articolo come quello proposto può servire proprio a sfatare questo luogo comune.

Le strategie linguistiche ed espressive su cui soffermarsi possono essere diverse.

  • Nella strutturazione dell’informazione: la tesi viene data subito, in apertura.

  • Nel lessico: un’accorta oscillazione tra scelte lessicali più brillanti, comuni nel linguaggio giornalistico (morbidi pavimenti e prati degli asili nido, una percentuale magica, baby cittadini, la rivoluzione degli asili, un hub di possibilità) e altre tipiche dell’argomentazione (verbi come confermare e rivelare, sostantivi come obiezione, possibilità, opportunità, risposte e aggettivi come negativo). 

  • L’impostazione del discorso più oggettiva, che si può ottenere eliminando espressioni soggettivistiche (a mio parere, secondo me, secondo la mia opinione… ) e puntando sulla terza persona. Beninteso: è evidente che, anche se espresse in terza persona, le idee sostenute nell’articolo riflettono il pensiero dell’autrice. La prima persona non è vietata da nessuno (e anzi ci sono autori di fama della saggistica e del giornalismo che la usano)! La terza persona, tuttavia, può facilitare il passaggio a un’impostazione più oggettiva e ragionativa (ben auspicabile in un testo argomentativo che aspiri ad almeno una minima  complessità di respiro). Di passata si può anche notare che un passaggio dell’Unità testuale B è alla prima persona plurale (Nei mesi della pandemia, abbiamo pensato (e forse creduto) a una società migliore che sarebbe venuta “dopo”); eppure la prima persona non rappresenta qui il sentire della giornalista, ma quello attribuibile alla comunità degli italiani.


A seguire il link per scaricare l'articolo in PDF completo dei relativi esercizi di analisi.

 
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di Giuseppe Antonelli, Emiliano Picchiorri, Leonardo Rossi

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