Una ricerca scientifica sostenibile

di Nicole Ticchi

  • Materie coinvolte: Biologia, Chimica

Una ricerca scientifica sostenibile

Quanto inquina un laboratorio di ricerca? Parte da questa domanda la riflessione che molte organizzazioni stanno proponendo, a livello globale, in un momento in cui la crisi climatica ci pone davanti alla necessità di prendere misure per ridurre drasticamente le emissioni. Se pensiamo alle diverse strutture che emettono gas serra, le prime che ci vengono in mente sono le grandi aziende produttrici, con stabilimenti da centinaia di metri quadri, oppure il settore dei trasporti. Oltre alle emissioni dirette, ci sono, ovviamente, quelle legate al consumo di energia elettrica che serve ad alimentare gli impianti di produzione, ma anche la produzione di scarti rappresenta un tassello importante nella valutazione dell’impatto.
C’è un’altra categoria di infrastrutture da analizzare per capire quanto e come stanno contribuendo allo stato di inquinamento attuale e sono, appunto, i laboratori di ricerca. Si tratta di strutture accademiche, aziendali, ospedaliere o indipendenti, che svolgono ricerca di base o applicata, disseminate in tutto il mondo e protagoniste del processo di innovazione necessario per uno sviluppo della conoscenza e del progresso scientifico-tecnologico.
Le osservazioni svolte negli ultimi anni dalle varie università nel mondo riportano che un tipico laboratorio di scienze della vita utilizza il triplo dell’elettricità (normalizzata per metro quadrato) rispetto a un ufficio amministrativo. Gran parte del consumo di energia responsabile dell’impatto ambientale di un laboratorio deriva infatti da apparecchiature, tra cui congelatori, incubatori, computer e altri strumenti necessari per supportare la ricerca di laboratorio. Oltre ad una bolletta salata, quindi, è anche l’ambiente a farne le spese, perché l’energia necessaria ad alimentare questi ambienti deve essere prodotta in continuo e, a oggi, le fonti rinnovabili sono ben lontane dal fornire le quantità necessarie.


 

Cosa succede in laboratorio?

Il laboratorio più iconico che si possa immaginare è quello di chimica, con beute fumanti, palloni di reazione e provette dai colori sgargianti. Ma la ricerca scientifica viene condotta, in tutto il mondo, in molti tipi di ambienti e di discipline con caratteristiche e necessità molto diverse tra loro: quello che condividono è, oltre alla necessità di seguire protocolli ben precisi e un metodo scientifico, il fatto che si utilizzino attrezzature che necessitano di energia elettrica e che si producano scarti. Che ci si trovi in un laboratorio di biologia, di chimica, fisica o ingegneria, lo scenario prevede che all’interno di quegli spazi si produca conoscenza, attraverso esperimenti scientifici che procedono per tentativi, con successi e fallimenti, e che permettono di raccogliere dati ed evidenze per i passi successivi.
Ogni fase della ricerca utilizza i propri metodi di indagine e prevede attività peculiari: in un laboratorio di chimica si svolgono attività diverse da ciò che viene svolto in un laboratorio di biologia, perché spesso sono le finalità stesse a essere diverse. E poi ci sono differenze anche all’interno della stessa area di competenza, per esempio tra chi opera nel campo della chimica organica rispetto alla chimica analitica. Quantità e tipologia di materiali utilizzati, tecniche e tempistiche cambiano molto da un caso all’altro, e richiedono quindi un livello di organizzazione del lavoro, degli spazi e dei rifiuti specifico per ogni caso.

Cosa si fa in un laboratorio di chimica organica? E in uno di biologia molecolare? Lo sapevi, inoltre, che ci sono anche laboratori dove questi ambiti vengono studiati mediante modelli virtuali e quindi serve solo un computer?
Nel primo caso, per esempio, si combinano tra loro molecole, facendole reagire in determinate condizioni e in soluzione con opportuni solventi, per ottenere un prodotto finale. Un po’ come quello che facciamo quando cuciniamo qualcosa, con la differenza che in questo caso alla fine mangiamo tutto (o quasi), mentre il prodotto finale di una reazione va purificato, con la produzione di scarti di lavorazione da gestire che, messi tutti insieme, costituiscono grandi quantità ogni settimana. Parte di questi scarti è rappresentata dai solventi organici, come metanolo, etanolo, etere e tanti altri, che servono a sciogliere tutte quelle sostanze non solubili in acqua e che, alla fine, necessitano di essere gestiti con grande cautela. Non possiamo certamente lasciarli andare giù per il lavandino, perché hanno un forte potere inquinante e devono quindi essere smaltiti correttamente: nella maggior parte dei casi, infatti, vengono mandati a impianti di termovalorizzazione per uno smaltimento in condizioni controllate.
E in un laboratorio di biologia cellulare? Qui si lavora solitamente su colture cellulari, su microrganismi o tessuti complessi per capire, per esempio, l’effetto di una sostanza su cellule, ma le possibilità di ricerca sono molteplici. C’è un requisito fondamentale, però, che non può mancare e riguarda la conservazione delle colture cellulari stesse: la sterilità è fondamentale per chi lavora in questo ambito, ed è anche il motivo per cui è necessario che si adottino materiali monouso per la maggior parte delle procedure. Tutti gli strumenti quotidiani del biologo sono in plastica, spesso imballati uno a uno, trattati con metodi sterilizzanti e venduti con una scadenza: una volta utilizzati, anche se solo per qualche secondo, vanno gettati nell’apposito contenitore dei rifiuti speciali e non sono riutilizzabili. Provate a moltiplicare questo gesto per tutte le persone che lavorano in un laboratorio biologico e per tutti i laboratori che, nel mondo, svolgono questo lavoro ogni giorno e vedrete che la quantità di plastica ammucchiata nei bidoni fa presto a crescere. Un'università inglese ha calcolato che il solo dipartimento di bioscienze, con i suoi 280 scienziati, ha utilizzato in un solo anno abbastanza plastica per produrre 5,7 milioni di bottiglie da due litri. Usando questo valore per ottenere una stima su scala globale, hanno ipotizzato che nel 2014 i rifiuti di plastica totali provenienti da circa 20.000 istituti di ricerca sparsi nel mondo sono stati pari a circa 5,5 milioni di tonnellate. Tutto questo scarto deve poi essere gestito e, ancora una volta, non è previsto che venga riciclato in alcun modo, si tratta di rifiuto speciale (perché entrato in contatto con materiali biologici) e come tale viene trattato mediante termovalorizzazione.

E chi non indossa camice e guanti e usa solo computer inquina meno? Non proprio. Oggi, molte fasi della ricerca basate su modelli e calcoli vengono svolte mediante tecniche
informatiche, per le quali è sufficiente avere un computer, un programma apposito e un calcolatore grande come una stanza. Si potrebbe pensare che si tratti di un laboratorio a impatto quasi zero, ma per elaborare tutte queste informazioni sono necessari server e supercomputer, strumenti che hanno bisogno di tanta energia elettrica. Quindi è vero, i rifiuti prodotti non sono visibili e abbiamo eliminato gli scarti tangibili, ma l’impatto ambientale non è nullo.

 

Quali soluzioni ci sono?

Ogni misura mirata a portare un cambiamento parte dalla consapevolezza. Nelle nostre case abbiamo imparato a mettere in atto alcuni accorgimenti che ci permettono sia di risparmiare che di avere un minore impatto ambientale. La stessa cosa si sta facendo all’interno dei laboratori dove, grazie alla sensibilità e alla voglia di cambiamento delle giovani generazioni di ricercatori e ricercatrici, gli aspetti di sostenibilità sono sempre più curati, nel rispetto dei requisiti che la ricerca impone, ovviamente.
Diverse organizzazioni a livello mondiale si stanno muovendo per creare una cultura della sostenibilità anche all’interno dei laboratori di ricerca, affiancando le università e le aziende nella valutazione di quali sono gli elementi di maggiore impatto e dando consigli su come migliorare la situazione di ogni specifico contesto. Un’azione non facile, che si scontra spesso con problemi di normative ma anche culturali, dovuti al fatto che lo spirito di precauzione è sempre difficile da sconfiggere.
Tra gli aspetti su cui si lavora molto, in particolare, c’è la riduzione del consumo di energia elettrica e degli scarti da materiale usa e getta, laddove possibile, anche se questo a volte porta ad un allungamento dei tempi delle procedure e può richiedere una riorganizzazione degli spazi e della gestione logistica in laboratorio. Su questo fronte è necessario che tutte le persone siano coinvolte e allineate, nell’ottica che un maggiore sforzo iniziale verrà poi ripagato in futuro non solo con risparmi economici, ma anche con un minore impatto sull’ambiente.
Anche all’interno dei laboratori scolastici è possibile agire in questa direzione, proprio per considerare ogni singola azione della nostra quotidianità e capire come anche le attività pratiche e la ricerca di conoscenza possano essere più sostenibili e rispettose dell’ambiente. Ogni contributo, a partire dalla presa di consapevolezza, è prezioso.

 

Attività per la classe

Se nella tua scuola c’è un laboratorio scientifico e la tua classe lo utilizza, prenditi un momento per valutare insieme a compagni e compagne i seguenti aspetti.

  • Che tipo di attrezzatura c’è e quale di questa necessita di alimentazione con energia elettrica? Viene spenta regolarmente o lasciata accesa?

  • Che tipo di rifiuti vengono prodotti nel laboratorio? C’è qualche procedura che potrebbe essere condotta diversamente? Parlane con le persone addette al ruolo tecnico e trovate insieme delle soluzioni per ridurre la quantità di scarti prodotti