All’origine della vita

Di Edwige Pezzulli
  • Materie coinvolte: Biologia, Scienze Naturali

Quali siano le caratteristiche fondamentali di un organismo vivente e come abbiano fatto le prime forme di vita a emergere da semplici molecole e reazioni chimiche, sono domande che cercano ancora risposta. Ad aiutarci in questa esplorazione, però, si stanno facendo strada degli strani soccorritori, che assomigliano a quanto di più lontano ci sia dall’idea di “vivo".

 

Una questione antica

Nel 1864 il chimico e microbiologo Louis Pasteur vinse il premio messo in palio dall’Accademia francese delle scienze destinato allo studioso che avesse chiarito il meccanismo alla base dell’origine della vita. A quel tempo, infatti, era in corso un acceso dibattito su quale teoria spiegasse la comparsa degli esseri viventi. Da una parte c’era quella della generazione spontanea, che ipotizzava la nascita degli organismi semplici, come i moscerini, dalla materia inanimata, in modo praticamente istantaneo. Dall’altra la biogenesi, secondo la quale i viventi possono derivare soltanto da altre forme di vita.
L’idea della generazione spontanea ha in verità origini antichissime: già Democrito e Aristotele credevano che animali come pulci o vermi si formassero spontaneamente a partire dal fango o dalla terra in putrefazione. Quella che oggi può sembrarci una teoria strampalata, rispondeva in modo semplice alla domanda sull’origine degli organismi e, soprattutto, si basava sulle osservazioni: lasciando all’aria una bistecca, per esempio, è facile assistere in poco tempo alla comparsa prima delle larve e poi delle mosche.
Ecco spiegato perché ci vollero quasi 2000 anni e un esperimento ben congegnato per confutare questa teoria. Sulla scia delle scoperte dei naturalisti Francesco Redi e Lazzaro Spallanzani, Pasteur realizzò il seguente test: prese del brodo di pollo e lo mise in un recipiente con un lungo collo a forma di S. In questo modo, il brodo veniva in contatto con l'aria, che secondo la teoria della generazione spontanea poteva trasportare una sorta di fluido vitale, ma non con la polvere e i microrganismi in essa presenti. Lo scienziato fece allora bollire il brodo a lungo, per uccidere tutti i microrganismi al suo interno e nell'apparato sperimentale. Osservò che, in queste condizioni, nel brodo non cresceva nulla. Al contrario, se si rompeva il collo a S e il brodo veniva esposto sia all’aria sia alla polvere, nel liquido appariva della “vita”.
Da questo esperimento Pasteur dedusse che gli organismi possono nascere solo da altri organismi e che la generazione spontanea era una teoria da scartare:«la dottrina della generazione spontanea non si riprenderà mai dal colpo mortale di questo semplice esperimento», affermò subito dopo quello che passò alla storia proprio come esperimento di Pasteur sulla generazione spontanea.
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Ma se tutti gli organismi derivano da alcuni “genitori”, come sono nate le prime forme di vita da cui discendono tutti gli esseri viventi del nostro Pianeta?

 

Domande e ancora domande

Le teorie moderne sull'origine della vita condividono con la generazione spontanea l'idea che gli organismi possano nascere dalla materia non vivente. Non si tratta però di un processo istantaneo né tantomeno semplice: per arrivare alla comparsa delle prime forme di vita si sono susseguiti, con molta probabilità, una serie di complicati eventi, in un pianeta Terra appena nato e molto diverso da quello che conosciamo oggi.
Dalla formazione delle prime molecole organiche al progressivo aumento della complessità molecolare, fino alla comparsa di unità capaci di organizzarsi spontaneamente e formare i primi esseri viventi, la strada è stata lunga.
In un famoso esperimento del 1952, i chimici Stanley Miller e Harold Urey cercarono di ricreare le condizioni chimico-fisiche che si pensava fossero caratteristiche della Terra primordiale, e bombardarono con scariche elettriche quell’ambiente, mimando l’effetto di fulmini o altre fonti di energia. Il risultato fu la comparsa di diversi composti del carbonio, tra cui alcuni amminoacidi. I due scienziati statunitensi dimostrarono così che, nelle giuste condizioni ambientali, le molecole organiche possono formarsi a partire da sostanze inorganiche più semplici.
Come passare da questi mattoncini all’intero palazzo, però, è tutt’altro che scontato.
Anzi, a essere ancora in dubbio è quali siano stati i mattoncini fondamentali e come si siano combinati tra di loro. C’è chi sostiene per esempio che la vita abbia avuto origine dagli acidi nucleici. Altri ipotizzano invece che le macromolecole fondamentali siano state le proteine. Altri ancora spostano l’attenzione dalle molecole alle interazioni tra molecole, individuando nei processi metabolici gli elementi fondanti degli esseri viventi.
Anche arrivando a una conferma di una delle tre ipotesi, però, resterebbe la domanda delle domande: e poi? Che la vita sia basata sull’RNA o sulle proteine, come si parte da singoli pezzi e si arriva a un organismo vivente complesso, fatto di pezzi che invece lavorano insieme?

 

Alla radice delle domande

Tra le domande a cui stiamo cercando di dare una risposta, ce ne è una forse ancora più profonda: che cos’è, esattamente, la vita?
Spinta dalla necessità di trovarne altre forme nell’Universo, la NASA ha proposto la seguente definizione:

“La vita è un sistema chimico autosufficiente in grado di evolversi in modo darwiniano"

Questa descrizione racchiude in sé due caratteristiche distinte associate al vivente: quella di essere dei sistemi chimici autosufficienti, sistemi cioè che non hanno bisogno di un intervento esterno per sostenersi, e di evolvere in modo darwiniano, ossia di modificarsi casualmente, acquisendo nuove caratteristiche che possono cambiare le proprie probabilità di sopravvivenza in un certo ambiente.
Anche in questo caso, però, la comunità scientifica non è in completo accordo. Se per alcuni la definizione di vita si regge sulla replicazione e sull’evoluzione darwiniana, secondo altri a essere fondamentale è invece la capacità degli organismi di autosostenersi, ossia di riuscire a utilizzare l’energia e i nutrienti dell’ambiente per mantenere continuamente stabile la propria struttura. In questo caso, replicarsi sarebbe solo una proprietà accessoria - certamente utile ma non essenziale.
A venirci in aiuto nella comprensione di cosa sia la vita e come si sia originata c’è, da un po’ di anni ormai, la tecnologia: il filone di ricerca battezzato nel 1986 dal biologo teorico Christopher Langton come a-life (artificial life), che utilizza sistemi artificiali per simulare quelli viventi, sta sviluppando delle radici sempre più forti all’interno della comunità scientifica. In questo contesto, i sistemi legati alla vita naturale, i processi che la caratterizzano e la sua evoluzione, vengono studiati attraverso robot, molecole sintetiche e simulazioni al computer. L’idea alla base dell’a-life è infatti quella di decifrare quali siano i principi più semplici e generali della vita e implementarli in una simulazione.
All’inizio degli anni ‘90, per esempio, l’ecologista Thomas Ray ha sviluppato Tierra, una simulazione al computer i cui programmi informatici competono sia per l’utilizzo del tempo del processore che per lo spazio, che in un sistema come Tierra si traduce nell’accesso alla memoria centrale.
I programmi in Tierra possono evolvere, mutare, autoreplicarsi e ricombinarsi. Ecco che Tierra rappresenta allora un modello di vita artificiale all’interno del quale i programmi competono per l’energia (il tempo CPU) e le risorse (lo spazio memoria), e permette così di esplorare sperimentalmente i processi alla base delle dinamiche evolutive e biologiche.
Per chi sposa la cosiddetta posizione strong a-life, la vita è un processo che può essere astratto dal mezzo particolare in cui avviene e Tierra, perciò, non simulerebbe la vita in un computer, bensì la sintetizzerebbe.I sostenitori della vita artificiale debole, invece, sono convinti che un processo vitale possa generarsi esclusivamente in soluzioni chimiche basate sul carbonio.
A oggi, la definizione di vita comunemente accettata non considera viventi le simulazioni a-life, ma il loro potenziale rimane senza dubbio molto grande. L’a-life tutta, più in generale, rappresenta un campo di studi che si sta facendo strada come valido strumento per analizzare e comprendere i sistemi viventi. È la vita un processo, o è “qualcosa” in cui questo processo avviene? Che accada nella memoria di un computer o nella chimica di un vivente, è la stessa cosa?
Queste domande potrebbero indicare strade di viaggi lunghi e tortuosi, dove per arrivare a tracciare il piccolo perimetro di una risposta è necessario attraversare prima tutto lo spazio delle possibili non risposte. Tragitti di questo tipo, dove si disegna una figura geometrica regolare dopo giri e scarabocchi di ogni forma, sono molto comuni nella scienza. Chissà che stavolta la sorte non sia ironica, e il cammino ci venga suggerito proprio dal mondo artificiale. E che sia proprio la vita artificiale a permetterci finalmente di capire da dove venga ciò che definiremmo vita (naturale).

 

Bibliografia

Kauffman, S. A. The origins of order. Self-organization and selection in evolution. New York/Oxford: Oxford University Press. 1993.
Gilbert, W. Origin of life: The RNA world. Nature 319, 618. 1986).
Luisi, Pier Luigi. The emergence of life: from chemical origins to synthetic biology. Cambridge University Press. 2016.
Adami, Christoph. Introduction to artificial life. Springer Science & Business Media. 1998.
https://www.science.org/doi/10.1126/science.117.3046.528
https://astrobiology.nasa.gov/research/life-detection/about/
https://www.britannica.com/technology/artificial-life