Quando la violenza di genere è anche simbolica

di Edwige Pezzulli

  • Obiettivo Primario: 5 - Parità di genere
  • Materie STEM: Biologia, Chimica, Scienze della Terra, Matematica, Fisica, Informatica

Nei contesti di produzione del sapere, anche in quei settori dove le donne sono da sempre la maggioranza, le disuguaglianze di genere continuano a essere presenti. Una delle violenze alle quali assistiamo più frequentemente è in realtà difficile da riconoscere e viaggia sottotraccia, lasciando però segni indelebili nella cultura e nella costruzione della propria identità. Si tratta della violenza simbolica, presente anche in campo scientifico e capace di manifestarsi nelle forme più disparate, come quella di innocui stereotipi.

 

Quando la violenza di genere è anche simbolica

Dal 1999, il 25 novembre rappresenta la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Si tratta di una ricorrenza, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si inserisce nel quadro più ampio del contrasto alle violazioni dei diritti umani, poiché la violenza di genere costituisce uno dei meccanismi cruciali attraverso cui il dominio maschile costringe le donne in posizioni subordinate.
Quando si parla di violenza, ci si riferisce spesso a quello che il vocabolario Treccani definisce come “tendenza abituale a usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale, facendo anche ricorso a mezzi di offesa, al fine di imporre la propria volontà e di costringere alla sottomissione, coartando la volontà altrui sia di azione sia di pensiero e di espressione”. In questa precisa accezione della parola, quindi, si nasconde l’idea di potere da un lato, di dominio dall’altro.
Negli anni Settanta il sociologo francese Pierre Bourdieu introdusse il concetto di violenza simbolica, una forma di violenza che riguarda alcune modalità di dominazione più implicite e perciò più difficili da identificare. Non si tratta infatti di un’azione fisica diretta, quanto piuttosto dell’imposizione da parte di soggetti dominanti di una certa visione del mondo, di ruoli sociali definiti o di categorie cognitive attraverso le quali leggere e interpretare la realtà. Nella violenza simbolica il dominante non ha bisogno di mettere in campo la forza, poiché i valori che vuole trasmettere vengono naturalizzati, ossia accolti e assimilati dai soggetti dominati come naturali, e così interiorizzati e riprodotti. Si tratta di una violenza subliminale e sottile, al punto da convincere chi la subisce che le cose siano state sempre così, e perciò che i nostri ruoli e spazi all’interno della società sarebbero (e resterebbero) come sono, senza possibilità di cambiamento.
È in questo quadro complesso che si inseriscono gli stereotipi, una delle tante forme con cui si manifesta la violenza (simbolica) di genere, di cui molto spesso sottovalutiamo la portata.

 

Costruire stereotipi

Seppure stereotipo e pregiudizio siano due parole utilizzate spesso in modo intercambiabile, si tratta in realtà di concetti differenti: mentre il pregiudizio è una valutazione distorta, lo stereotipo è una informazione distorta. Gli stereotipi sono, nello specifico, delle credenze riguardanti le caratteristiche di individui o gruppi, ad esempio la convinzione che le donne al volante siano pericolose. Il problema degli stereotipi è che quando si incontra una donna in automobile ci si aspetterà, più o meno consciamente, che guidi male. La nostra mente assegna caratteristiche stereotipiche prima ancora di osservare le capacità della donna in questione, relegandola in una specifica categoria all'interno delle nostre strutture mentali.
Semplificare, di per sé, non è un’azione intrinsecamente positiva o negativa, e ricopre un ruolo importante per inquadrare rapidamente ciò che ci circonda, comprendere il mondo in pochi istanti e gestire situazioni nell’immediato. Tuttavia, gli stereotipi non rappresentano delle pure descrizioni semplificate della realtà, quanto piuttosto degli schemi, influenzati da elementi culturali e costruiti socialmente, che filtrano la realtà stessa e che possono arrivare a distorcerla o persino a condizionarla.

 

Simbolismo di genere

Ciò che troviamo attendibile dipende anche da quanto ci appaiono attendibili le relative fonti ossia, nel caso di persone, quanto esse ci sembrano competenti rispetto a un determinato ambito. Il più delle volte, però, queste valutazioni vengono fatte dal nostro cervello in modo poco obiettivo, tenendo in conto alcuni stereotipi. Esistono, per esempio, attività simbolicamente associate al genere maschile e altre a quello femminile: mentre le operazioni di cura sono legate al mondo femminile, quelle che riguardano la gestione o il comando vengono associate al mondo maschile. Questo simbolismo di genere influisce, più o meno consciamente, sui nostri giudizi e ci porta a pensare, più o meno consciamente, che le donne siano più adatte alla cura mentre gli uomini siano più capaci come leader. La conseguenza è che attribuiremo maggiore credibilità a una persona se il suo genere è in linea con le aspettative relative all'attività che svolge, ossia ci sembrerà più affidabile chi si conforma agli stereotipi. Come si manifesta tutto questo nella scienza?

 

Il genere nella scienza

"Draw a scientist" è un esperimento che viene condotto dagli anni Sessanta per esaminare la nostra percezione della scienza. Nel test, viene chiesto a bambine e bambini di disegnare com’è fatta, secondo loro, una persona di scienza.
La maggior parte dei disegni effettuati vede raffigurato un uomo bianco, spesso anziano, con un camice da laboratorio, occhiali e barba o baffi. Tra le prime 5000 immagini, solo 28 disegni rappresentano scienziate, percentuale che ha raggiunto uno scarso 29% nel periodo che va dal 1985 al 2016.
Il modello che abbiamo assimilato è quello di una scienza costituita da individui estremamente intelligenti, con notevoli abilità di astrazione, dotate di brillante pensiero logico matematico e capaci di tenere fuori dall’indagine scientifica le emozioni o la propria soggettività. Vere o false che siano queste qualità, si tratta di caratteristiche che possono essere presenti in individui di qualsiasi genere, ma che vengono storicamente associate agli uomini. L’asimmetria che ne consegue ha diversi effetti, uno dei quali riguarda il riconoscere una minore autorevolezza scientifica alle donne e porta, di conseguenza, a una loro più bassa credibilità nei contesti scientifici. Non sorprende che le chirurghe siano raramente scelte come prime operatrici in casi medici di alta complessità, sebbene possiedano competenze ed esperienza paragonabili a quelle dei colleghi, oppure che il curriculum di uno scienziato sia ritenuto più valido di quello di una scienziata solo perché firmato da un nome maschile. Letteralmente.

 

Quanto può pesare un nome?

Nel 2012 un gruppo di ricerca dell'Università di Yale creò un finto curriculum vitae di una persona laureata in biologia, e lo inviò a 127 docenti di fisica, chimica e biologia provenienti dalle più importanti università degli Stati Uniti. Al gruppo docenti venne chiesto di valutare la competenza scientifica della persona candidata, la sua idoneità a ricoprire una posizione di manager di laboratorio e quale fosse il salario adeguato a un suo eventuale ingaggio lavorativo. Chi effettuava le valutazioni doveva rispondere esaminando esclusivamente il profilo scientifico che si poteva evincere dal curriculum, nel quale venivano descritti studi immaginari, attività scientifiche, esperienze di ricerca, conferenze e articoli pubblicati. Il curriculum ricevuto era identico per tutti a eccezione di una parola: il nome della persona candidata. A metà dei docenti, infatti, la domanda era stata inviata con il nome "John", all'altra metà con il nome "Jennifer".
Stesso curriculum dovrebbe corrispondere a valutazioni coerenti, e invece i risultati di questo studio descrivono una situazione diversa: John fu giudicato più competente di Jennifer, scientificamente più valido e più idoneo per essere assunto. Anche la differenza negli stipendi offerti era evidente: a John venivano proposti in media più di 30 mila dollari all'anno, a Jennifer solo 26. Questa disparità apparentemente ingiustificata era attribuibile all'unico elemento che differenziava i curriculum: il genere, in grado di condizionare inconsciamente, ma in modo significativo e a parità di capacità, il giudizio scientifico di un individuo.
I problemi legati alla violenza simbolica esercitata dagli stereotipi di genere nella scienza non si esauriscono, purtroppo, con le discriminazioni che subiscono le donne in termini lavorativi e professionali o con il processo di invisibilizzazione che ha cancellato dalla storia gran parte dei contributi delle donne nella scienza. Gli effetti sono anche più subliminali, impliciti ma in grado di influenzare, per esempio, le ambizioni delle giovani ragazze. In assenza di modelli di riferimento equilibrati, le bambine saranno costrette a sforzarsi più dei compagni per proiettare sé stesse in un futuro scientifico, poiché potrebbero percepire questa professione come legata al genere maschile. Come sempre, per vedere con chiarezza l’impatto di questo tipo di violenza simbolica, basta rovesciare i ruoli: dopo 16 anni di Angela Merkel al governo, il figlio di una giornalista del  Rheinische Post ha chiesto alla madre se anche un uomo potesse diventare cancelliera.

 

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