Istruzione: partire dalle fondamenta dello sviluppo sostenibile

di Nicole Ticchi
  • Obiettivo Primario: 4 - Istruzione di qualità
  • Obiettivo Secondario: 5 - Parità di genere
  • Materie: Matematica, Fisica, Scienze Naturali, Informatica

Istruzione: partire dalle fondamenta dello sviluppo sostenibile

Quali tecnologie e quali conoscenze ci permetteranno, nei prossimi decenni, di realizzare le condizioni per un futuro all’insegna della sostenibilità? La domanda è forse tra le più gettonate: per rispondere occorre fare un passo indietro e partire dalle persone che, grazie alle proprie competenze, le metteranno in atto.
Spesso, infatti, la scienza e il sapere in generale vengono percepiti come entità astratte, ma sono proprio le persone a costruirli, attuarli e a fare la differenza con i propri contributi. E l’istruzione, in questo, gioca il ruolo più importante. Non a caso, rientra proprio nella top five degli obiettivi per uno sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, accanto a diritti fondamentali come la salute, il cibo e la lotta alla povertà.
La percezione che oggi abbiamo sull’urgenza di introdurre azioni concrete deriva, in buona parte, proprio dal fermento e dal coinvolgimento dei più giovani: persone che si stanno formando ora e che percepiscono con grande importanza sia i problemi che i semi per possibili soluzioni. Possiamo dire, quindi, che l’investimento sempre maggiore nella formazione dei primi anni della vita sta dando i suoi frutti.


 

Istruzione: alcuni numeri

L’istruzione scolastica, per come la intendiamo oggi, ha una storia piuttosto recente e l’obbligo a frequentare almeno fino ai 16 anni presente in alcuni Paesi è frutto di un’evoluzione culturale e sociale che ha ben compreso l’importanza dell’educazione per la società stessa. L’OECD Better life Index, che raccoglie i dati su indicatori relativi alla qualità della vita, riporta che attualmente, in media, nei 36 paesi (fra cui l’Italia) che fanno parte della Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), il 79% degli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni ha completato gli studi secondari superiori. Un altro dato importante è che, in media, il 42% delle donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni ha conseguito un titolo di studio universitario rispetto al 35% degli uomini. Sono risultati importanti e, soprattutto, non scontati, perché i bambini che non riescono ad accedere ad alcun livello di istruzione sono ancora troppi. 
Nonostante l’istruzione venga ormai percepita, soprattutto nei Paesi occidentali, come un dato di fatto, un diritto di cui tutti nel mondo godono, le cose non sono così semplici e le disparità in termini di accesso alle prime fasi si fanno ancora sentire. Questo fenomeno si verifica, tra le altre cose, proprio in zone problematiche, dove lo sviluppo dal punto di vista sociale, economico e tecnologico sarebbe necessario, da incentivare e dove spesso conflitti e povertà spengono sul nascere le possibilità di emancipazione delle figure più fragili della società come le donne e, appunto, i bambini. Secondo i dati dell’Unicef, un bambino su cinque in età scolastica non accede all’istruzione e i bambini delle aree rurali hanno più del doppio delle probabilità di essere esclusi dalla scuola elementare, rispetto ai loro coetanei che vivono in contesti urbani.
Misurare l’equità è proprio uno degli obiettivi che i recenti report si sono dati, per capire come portare il divario presente nell’istruzione a ridursi sempre di più. Tuttavia, è difficile per diverse ragioni: sia perché il concetto stesso può differire tra paesi e culture, portando a conclusioni diverse sul grado di disuguaglianza in un determinato paese, sia perché gli indicatori spesso richiedono dati raffinati che consentano la disaggregazione tra i diversi gruppi della popolazione. Alle competenze di base come leggere, scrivere e far di conto, imprescindibili per raggiungere un minimo livello di autonomia, sono stati man mano aggiunti ulteriori livelli di conoscenza, che vanno incontro alla sempre maggiore richiesta di competenze e specializzazione, ma questo rischia di non essere un obiettivo perseguito e perseguibile dappertutto nella stessa maniera. Anche perché, prima ancora di parlare di livelli di conoscenza elevati, dobbiamo fare i conti con quelli di base. Un report della Banca Mondiale riporta che più della metà dei bambini che vivono nei Paesi a basso e medio reddito non sa leggere o comprendere un testo semplice entro la fine della scuola primaria. Nei Paesi più poveri, il livello raggiunge l’80 per cento. 

 

Sviluppo sostenibile e STEM: un binomio necessario

L’integrazione di un approccio più trasversale alle STEM, le cosiddette scienze dure (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) nei programmi scolastici sta giocando in particolare un ruolo fondamentale nel favorire l’avanzamento tecnologico e l’innovazione in tanti ambiti. Che si parli di digitalizzazione, di lotta al cambiamento climatico, di efficienza energetica o, più in generale, di sostenibilità, le sfide della modernità richiedono un approccio che non può più fare a meno delle conoscenze scientifiche. L’avanzamento in questo settore ha ricadute positive da molteplici punti di vista: il risvolto occupazionale, con sviluppo di nuove figure professionali e di progressione nei livelli di carriera, ha ricadute positive anche dal punto di vista economico e sociale, permettendo una crescita progressiva per tutta la comunità e la società.
Si tratta di un approccio che, allo stesso tempo, deve però tenere conto di una sempre maggiore integrazione della scienza in una cornice più ampia, superando l’antica diatriba con la parte umanistica. Oggi, proprio perché abbiamo più consapevolezza della complessità del contesto in cui viviamo, perché l’Agenda 2030 stessa ci pone davanti ad una maggiore trasversalità, serve un nuovo sguardo che non separi troppo la tecnica dalle scienze che studiano la nostra società e ne capiscono i bisogni. Saper progettare infrastrutture e fornire nuove tecnologie abilitanti non può prescindere dal conoscere le dinamiche e l’evoluzione della società che le dovrà utilizzare.

Molti dei bambini delle scuole di oggi svolgeranno nuovi tipi di lavoro che non esistono ancora, la maggior parte delle quali è destinata ad aumentare proprio sulle competenze digitali. Oltre il 50% dell'attuale forza lavoro richiederà una riqualificazione a breve, tuttavia la capacità di adattarsi ai cambiamenti e impegnarsi nell'apprendimento permanente deve essere sviluppata fin dalla tenera età. I primi investimenti nell'apprendimento e nell'istruzione dei bambini generano ritorni economici significativi; quindi, investire nello sviluppo di competenze trasversali nell'istruzione primaria e secondaria sarà fondamentale per affrontare le cause profonde del divario di competenze a livello mondiale e preparare la prossima generazione di talenti a impegnarsi nell'apprendimento permanente.

STEM e disparità: il rischio di perdere risorse preziose

STEM: è proprio qui che si incontra un ulteriore nodo da sciogliere. Una disparità che si traduce in una minoranza femminile coinvolta proprio in quei settori trainanti che stanno rappresentando il futuro dell’innovazione. Negli ultimi decenni è aumentata la percentuale di donne che studiano e perseguono carriere nel settore scientifico, soprattutto nel campo delle scienze della vita e delle scienze ambientali. Un report 2020 del World Economic Forum rivela che in Europa, su 73 milioni di persone che completano studi in materie STEM, più della metà sono donne. Ma è ancora accentuata la disparità in quei settori che guidano la corsa verso nuove tecnologie, come l’ingegneria e l’informatica. Una disparità che ha ripercussioni su molti altri ambiti e che pregiudica gli stessi obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.
Prendiamo il settore informatico, uno di quelli dove si sta investendo di più, proprio in virtù della digitalizzazione dei processi: il mercato del lavoro richiede sempre più queste competenze e si stima che nei prossimi dieci anni le occupazioni in questo campo cresceranno due volte più velocemente rispetto alle altre occupazioni, garantendo maggiori possibilità di carriera e di guadagno.
La situazione però racconta che, per ogni 1.000 laureate, solo ventiquattro hanno frequentato corsi relativi alle tecnologie informatiche (IT) e di queste solo sei continuano a lavorare in un ambito correlato. Attualmente i laureati maschi nel settore superano le femmine di quasi quattro volte, quelli che intraprendono una carriera nell’IT fanno raddoppiare il divario. La stessa disparità si nota tra insegnanti, relatori a eventi tecnologici, dirigenti in aziende IT e fondatori di startup digitali. Una situazione che rischia di lasciar fuori le donne, intensificando il gender gap.
Ma non è solo una questione di carriere e guadagni a preoccupare. Si è visto che proprio in quei contesti dove intelligenza artificiale e machine learning stanno portando ad una vera e propria rivoluzione, l’esistenza di bias (pregiudizi) e di limitazioni che ci portiamo dietro per questioni culturali rischiano di influenzare ulteriormente ciò che verrà sviluppato in futuro. Chi progetta fornisce un proprio stampo mentale ai prodotti e ai servizi e avere una prevalenza maschile fa perdere opportunità preziose di ampliamento delle vedute e delle possibilità. Questo vale per tanti ambiti tecnologici, da quello medico a quello ambientale ed è uno dei motivi fondamentali per cui una maggiore diversità nello sviluppo e nell’innovazione è oggi piuttosto urgente. Si deve quindi partire proprio dai primi livelli dell’istruzione, lavorando anche sugli stereotipi e sui fattori sociali e culturali che possono favorire questo maggiore coinvolgimento. E anche sui primi livelli, come già detto, si dovrebbe prestare attenzione proprio alle pari opportunità: i tassi più alti di ragazze che non frequentano la scuola si registrano in Africa Sub-Sahariana e nel Sud-Est Asiatico, con una media del 50%, a differenza dell’Europa e del Nord America dove questa cifra raggiunge appena il 6%. Che si tratti di retaggi culturali o di necessità legate alla povertà e al sostentamento della famiglia, è anche qui che si misura quella perdita di preziose occasioni per ipotizzare un futuro più sostenibile.


Istruzione di qualità significa fornire i mezzi alla società per raggiungere in maniera più corale e agevole tutti gli obiettivi che ci siamo dati per il 2030. Motivo per cui molte istituzioni, organizzazioni e fondazioni stanno concentrando sforzi e risorse proprio in cui quei contesti dove la povertà educativa pregiudica l’uscita da un circolo vizioso: l’obiettivo è, al contrario, instaurare un circolo virtuoso.


 

Attività per la classe (a gruppi/singolarmente)

Osserva tutti gli obiettivi dell’Agenda 2030 e cerca di spiegare come il diritto all’istruzione influisce positivamente sul raggiungimento di ognuno di essi. Per raccontarlo ai compagni, poi, puoi scegliere una modalità creativa come un piccolo video o un disegno.