Innovazione sostenibile: l'approccio intersezionale per ridurre le diseguaglianze

di Nicole Ticchi
  • Obiettivo Primario: 10 - Ridurre le diseguaglianze

Innovazione sostenibile: l'approccio intersezionale per ridurre le diseguaglianze

“Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali di altri”. È una delle citazioni che compaiono nel famoso libro “La fattoria degli animali” di George Orwell, pubblicato nel 1945, dove si descrive una società composta da animali con personalità costruite sulla base di famosi personaggi storici e dinamiche di convivenza modellate sui regimi politici del tempo.

Che significato ha questa frase, che potremmo trasportare anche al di fuori del mondo animale e applicare ad una società fatta di persone come la nostra?

Possiamo dividere la frase in due parti: la premessa sull’uguaglianza tra tutti, che ci parla di diritti, e la seconda parte che, invece, parla di privilegi. In sostanza, possiamo leggerla così: nonostante oggi ogni legge imponga che ogni persona debba godere degli stessi diritti fondamentali e che quindi tutte le persone siano trattate in maniera uguale quando si parla di assicurare tali diritti, ciò che si verifica nella realtà dei fatti è che le persone godono di un diverso livello di privilegio e che quindi vedono la propria possibilità di esercitare tali diritti in maniera maggiore o minore. In questo senso, appunto, alcuni gruppi di persone sono tra loro più uguali di altri, nel bene e nel male. Si parla ad esempio di avere o non avere le stesse opportunità nell’accesso a determinati servizi, o del fatto che persone che godono di minori privilegi in una certa società hanno in partenza meno mezzi per raggiungere un certo obiettivo. Godere di un privilegio, spesso, non è una condizione volontaria, ma acquisita dal proprio contesto di riferimento. E questo fa una grande differenza.

Il tema delle diseguaglianze all’interno della società è trattato da decenni da chi si occupa di scienze sociali, abbraccia molti ambiti della quotidianità ed è cruciale al punto da rappresentare uno degli obiettivi di cui l’Agenda 2030 si occupa (il numero 10) per raggiungere uno sviluppo sostenibile a tutti gli effetti. Sono tante le variabili che entrano in gioco quando si parla di disuguaglianze e affondano le proprie radici nella storia che ci ha portati fino a questo momento storico. Ma dato che le società sono in continuo movimento, anche i fattori stessi evolvono e le dinamiche che possono portare ad accentuare o ridurre le diseguaglianze cambiano con loro. I fattori possono essere socio-culturali, legati al contesto ambientale o biologici: genere, etnia, lingua, età, livello economico, stato di salute, livello di istruzione, colore della pelle, quadro politico in cui si vive e tanti altri influenzano il modo in cui, come persone, siamo percepite nel mondo e in cui possiamo aspirare ad accedere alle risorse che ci servono non solo per vivere, ma per vivere bene e dignitosamente. Questo termine, purtroppo, non assume lo stesso significato in tutti i contesti non solo tra le diverse parti del mondo, ma spesso anche all’interno di uno stesso spazio urbano.

 

Intersezionalità: un quadro di pensiero

Considerare allo stesso tempo tutte le variabili non è semplice, ma soprattutto non è stato semplice rendersi conto della necessità di farlo. L’approccio che meglio lo consente è quello dell’intersezionalità, un termine che sempre più sentiamo nominare in diversi ambiti e che permette di tenere conto della complessità di un sistema come quello delle società in cui viviamo.

La teoria dell’intersezionalità, in particolare, suggerisce che molteplici forme di disuguaglianza (che fanno riferimento a diverse “sezioni” meno privilegiate della società) debbano essere considerate simultaneamente, soprattutto ai fini di trovare soluzioni per ridurle e raggiungere una maggiore inclusione.

Perché è importante studiare questi fattori sotto una lente intersezionale per promuovere uno sviluppo sostenibile?

Un approccio come questo aiuta a comprendere i bias (meccanismi spesso inconsci) con cui vengono pensati servizi e soluzioni e a determinare se questi sono effettivamente accessibili solo ad una fascia di persone o tengono in considerazione le necessità, le peculiarità e lo stato di chi potrebbe beneficiarne in maniera inclusiva. Questo è un ragionamento che nel campo dell’innovazione, ad esempio, è necessario fare proprio affinché le risorse impiegate e le invenzioni portate sul mercato abbiano una ricaduta il più possibile ampia. Le domande da farsi, inevitabilmente, aumentano, ma le possibilità di avere un impatto reale anche.

L’intersezionalità è infatti sempre più considerata come una cornice innovativa di pensiero, con il potenziale di promuovere la comprensione e l’azione sulle disuguaglianze, perché può aiutare a mettere in luce il modo in cui le strutture e le dinamiche di potere danno origine ad esse. Inoltre, incoraggia la riflessione critica per andare oltre le singole categorie, mette in primo piano le questioni di equità ed è innovativa nell’evidenziare i processi di stigmatizzazione e il modo in cui il potere influenza il processo decisionale.

 

Salute e tecnologia

Prendiamo come esempio la salute, un campo dove le diseguaglianze sono spesso molto accentuate e problematiche. Le cause fondamentali di queste disuguaglianze possono essere una distribuzione ineguale del reddito, del potere e della ricchezza che riflette una più ampia disuguaglianza socioeconomica. I fattori a monte che portano ad esse includono le politiche che regolano l’accesso all’istruzione, i diritti riproduttivi, l’alloggio, l’occupazione sicura, la struttura stessa dell’assistenza sanitaria. Questi, a loro volta, fluiscono a valle verso gli effetti delle cause, compresi i comportamenti individuali, lo stile di vita e i fattori biologici.

I paesi con una maggiore disuguaglianza di reddito tendono ad avere risultati peggiori in termini di salute della popolazione rispetto ad altri con livelli di reddito comparabili; potremmo quindi dedurre che livelli elevati di disuguaglianza di reddito sono dannosi per tutti e ridurre il divario può migliorare la salute della popolazione. Ma non ci si può fermare qui e il ragionamento investe anche chi si occupa di innovazione.

Concepire una nuova cura, una tecnica diagnostica, un dispositivo medico, un servizio o intervento introdotto dalla sanità per risolvere un problema medico richiede uno sforzo in più rispetto al solo aspetto scientifico-tecnologico; è necessario pensare a come e se le persone potranno accedervi, per esempio, da un punto di vista economico, di adeguata conoscenza tecnologica, di risorse necessarie e luogo in cui si trovano. Una terapia, ad esempio, può dare risultati differenti in termini di efficacia se l’aderenza (ossia la probabilità di seguire le indicazioni terapeutiche) non è ottimale; ma l’aderenza stessa può dipendere da fattori come il modo in cui la terapia deve essere somministrata (es. per bocca, iniettata, a casa o in ospedale?) e dalle caratteristiche del o della paziente, non solo dal punto di vista fisiologico, ma anche di effettiva possibilità di dare continuità ad un processo.

Chi è il target di pazienti di questa cura? Si è visto che alcuni gruppi di donne straniere che vivono lontane dai centri urbani, hanno più difficoltà nell’accesso a cure, diagnosi e interventi sanitari per motivazioni come la minore possibilità di muoversi autonomamente (per mancanza di mezzi propri e disponibilità della patente) e la necessità di conciliare le attività familiari, ma anche per difficoltà linguistiche e culturali o di ridotta autonomia nelle attività fuori casa. Sono già diversi quindi i fattori che si sommano limitando le opportunità di successo o, peggio ancora, di accesso ad un intervento che, pensato a sé stante, può avere tutti i numeri per essere rivoluzionario. Genere, cultura, etnia, livello di istruzione, indipendenza economica sono solo alcuni di questi e serve conoscerli non per discriminare ma, al contrario, per includere in maniera più efficace. Per questo motivo, anche nella ricerca finanziata

sia a livello nazionale che europeo ci sono sempre più progetti che propongono modalità innovative per una maggiore fruibilità di soluzioni già esistenti, che si tratti di cure o servizi.

Un discorso analogo vale per le soluzioni tecnologiche. Diversi studi riportano disparità nella possibilità di accedere, utilizzare e beneficiare delle soluzioni tecnologiche che oggi sono arrivate sul mercato. Ancora una volta, genere, età, livello di istruzione, status sociale ed economico, abilità, per citarne alcuni, sono fattori ricorrenti quando si considerano coloro che hanno meno accesso. L’innovazione tecnologica, in questo caso, vede una perdita di opportunità sia da un punto di vista dell’utilizzo da parte di un numero di persone più ampio di soluzioni già inventate, sia nella possibilità di contribuire alla progettazione e messa a punto di nuove soluzioni. L’esclusione o la ridotta presenza di certi gruppi di persone, in quest’ultimo caso, porta ad una mancata opportunità di ricadute positive su quel gruppo in primis, ma indirettamente verso tutta la società. Un esempio molto dibattuto in questi anni riguarda il bias che gli algoritmi dell’intelligenza artificiale perpetuano, a causa del quale il genere femminile è meno rappresentato nei risultati delle ricerche ed elaborazioni di grandi quantità di dati, ma a questo fattore si aggiungono le minoranze etniche, persone con disabilità e altri tipi di categorie che mediamente sono considerati meno importanti.

Un altro esempio riguarda l’accettabilità e disponibilità ad utilizzare di alcuni tipi di tecnologie, che viene spesso poco considerata e che è strettamente correlata al grado di conoscenza dei principi di funzionamento e delle ricadute, all’età di chi le utilizza e ad altri fattori come genere, età e livello economico. Non considerare questi aspetti quando si progetta una nuova soluzione equivale a tagliare l’opportunità di una parte di popolazione nel suo utilizzo.

Per portare avanti una visione e un approccio intersezionale serve, oltre ad una cultura che ne sposi i principi, anche una maggiore diversità in coloro che pensano e progettano nuove soluzioni. Superare tutti i bias e raggiungere un livello di consapevolezza adeguato della complessità è molto difficile, ma avere al potere persone che rappresentano ed esprimono tale complessità consente di gestire in maniera più efficace la sfida di ridurre le disuguaglianze e promuovere uno sviluppo più sostenibile in tutti i campi. In altre parole, mettere le persone al centro delle soluzioni per le persone. Le politiche di innovazione ad oggi in corso perseguono sempre di più questa visione, ma serve una maggiore cultura in coloro che un domani saranno chiamati a portare avanti il motore dell’innovazione.

 

Attività per la classe

La lente intersezionale può essere applicata a qualsiasi processo della quotidianità. L’immagine che trovi in allegato permette di considerare tutti i fattori che sono alla base dei privilegi e delle diseguaglianze e che si possono considerare quando si cerca di pensare a soluzioni innovative.

  • Fase 1. Riflettete insieme sull’immagine e su qual è la percezione di ogni persona del proprio stato di privilegio.

  • Fase 2. Individua una rosa di iniziative che sono state messe in campo nella vostra città e/o nella vostra scuola e discuti con la classe quali sono i fattori che secondo voi sono stati considerati e quali invece no per rivolgersi e includere ad un pubblico più ampio possibile.


 

Bibliografia