Il futuro dell’agricoltura: fare di più con meno

di Stefania Franco
  • Obiettivo Primario: 2 – Sconfiggere la fame
  • Obiettivo Secondario: 12 – Consumo e produzione responsabili
  • Materia: Biologia

Attualmente la popolazione mondiale si attesta intorno agli otto miliardi di persone, ma secondo le attuali proiezioni demografiche è destinata a raggiungere gli undici miliardi entro la fine del secolo. Una delle più grandi sfide per l’umanità è quella di garantire la sicurezza alimentare a una popolazione in crescita

 

L’invenzione dell’agricoltura: la prima biotecnologia

Nella storia dell’umanità la crescita demografica è stata lenta e discontinua, segnata da eventi improvvisi e catastrofici come guerre, carestie ed epidemie. Il primo significativo aumento della popolazione mondiale è avvenuto circa dieci mila anni fa: non è casuale che ciò si sia verificato in concomitanza con l’invenzione dell’agricoltura, che ha garantito la prima forma di sicurezza alimentare. Grazie a questa epocale innovazione, l’approvvigionamento di cibo non dipendeva più soltanto dalla caccia e dalla raccolta, ma era possibile pianificare la produzione e conservare le eccedenze in modo da disporre di riserve abbastanza costanti.

Con l’agricoltura nascono anche le prime biotecnologie, se si intende questo termine nel senso più ampio di “qualsiasi applicazione tecnologica che utilizza sistemi biologici, organismi viventi o loro derivati, per realizzare o modificare prodotti o processi per un uso specifico” (definizione della Convenzione sulla diversità biologica del 1992). Secondo questa definizione rientra nelle biotecnologie anche la selezione operata dai coltivatori sulle sementi per ottenere piante con le caratteristiche più utili, come chicchi più grandi e abbondanti. Il mais, per esempio, è la versione addomesticata del teosinte, una pianta erbacea che presenta una pannocchia delle dimensioni di una spiga.

Per millenni l’agricoltura è stata comunque soggetta ai capricci della natura: la produttività dei terreni dipendeva dalla loro fertilità e poteva essere minacciata dall’aggressione di insetti e parassiti, oltre che dagli eventi atmosferici, per cui una cattiva annata poteva decretare carestia e morte per fame per intere popolazioni.

La rivoluzione verde

Il primo significativo aumento della popolazione si è verificato a partire dal XVIII secolo, ma la crescita si è fatta esponenziale nel corso del XX secolo: tra il 1960 e il 1999 la popolazione mondiale è raddoppiata, passando da tre a sei miliardi. Una tale esplosione demografica non sarebbe stata possibile senza la rivoluzione verde. A partire dalla metà del secolo scorso una serie di innovazioni nelle tecnologie agricole hanno permesso di ottenere un incredibile aumento della produzione. Un ruolo importante lo ha avuto la meccanizzazione del lavoro agricolo: ciò che prima richiedeva il tempo e la fatica di un esercito di lavoratori ora può essere svolto comodamente da poche persone alla guida di un trattore. Altrettanto importante è stato lo sviluppo di prodotti chimici di sintesi come fertilizzanti e prodotti fitosanitari (come antiparassitari e diserbanti), senza dimenticare la selezione genetica operata sulle sementi per ottenere piante dotate di caratteristiche desiderabili, come fusti più bassi e spighe più abbondanti. Il risultato della cosiddetta rivoluzione verde è ciò che oggi chiamiamo “agricoltura convenzionale” perché è in questo modo che si ottiene la maggior parte della produzione agricola mondiale.

Una tale abbondanza non è però senza prezzo: i costi nascosti sono le emissioni di gas serra come metano, protossido di azoto e diossido di carbonio che contribuiscono per circa il 15% alle emissioni totali. Si tratta di un calcolo al ribasso, che non considera l’impatto provocato dal trasporto, dalla lavorazione e dal confezionamento dei prodotti agricoli: nel complesso si stima che il comparto agroalimentare contribuisca per circa il 45% all’emissione di gas serra. L’aumento della produzione agricola, inoltre, non può avvenire soltanto grazie ad un aumento della resa dei terreni, ma necessita un ampliamento della superficie coltivabile attraverso la deforestazione.

Oltre ad avere un notevole impatto ambientale, l’agricoltura convenzionale non riesce a garantire la sicurezza alimentare per tutti: in alcune aree del mondo la pratica della monocoltura determina la dipendenza economica delle popolazioni che devono contare sulla vendita dei loro prodotti per acquistare tutti gli altri prodotti necessari al fabbisogno alimentare. Tale situazione è resa ancora più precaria dal fatto che un cattivo raccolto può gettare i coltivatori in condizioni di povertà assoluta.

 

OGM e NBT

Il futuro dell’agricoltura imporrà di fare di più con meno risorse, in particolare un minor consumo di suolo e di prodotti chimici di sintesi. Le biotecnologie offrono alcune strategie promettenti come l’utilizzo di organismi geneticamente modificati (OGM) e di nuove tecniche di incrocio o nuove tecniche di ingegneri a vegetale (NBT). Gli OGM sono organismi il cui materiale genetico è stato modificato artificialmente allo scopo di ottenere alcune specifiche caratteristiche, come la resistenza a determinati parassiti (è questo il caso del mais BT) o diserbanti (la soia resistente al glifosato). 

Le NBT rappresentano un ulteriore passo avanti perché utilizzano tecniche come la CRISPR-Cas9 per compiere operazioni mirate di editing genomico: in pratica si interviene in un punto specifico e noto del genoma bersaglio per ottenere la modifica desiderata. 

Queste tecnologie si presentano come promettenti perché permetterebbero di ottenere varietà di piante che si adattano a particolari terreni, alla siccità (minor uso di acqua e possibilità di coltivare in aree caratterizzate da scarse precipitazioni) o all’aggressione dei parassiti (evitando così l’utilizzo di prodotti antiparassitari).

 

OGM in tavola

In alcuni Paesi, tra cui l’Italia, è vietato produrre OGM per ragioni di sicurezza, sebbene tali prodotti non si siano finora dimostrati dannosi per l’uomo. È possibile invece importarli e utilizzarli per l’alimentazione animale e sono talvolta presenti nei prodotti per il consumo umano. Il Ministero della Salute in collaborazione con l’istituto Superiore di Sanità e il Centro Nazionale di Referenza per la Ricerca degli (CROGM) effettua periodicamente il monitoraggio degli OGM negli alimenti per uso umano: si stima che la presenza di prodotti OGM sulle nostre tavole non superi il 4%. Tuttavia l’87% dei mangimi per animali contiene prodotti OGM come la soia, che per l’80% della produzione mondiale è OGM. In pratica, gli OGM che non finiscono sulle nostre tavole li ritroviamo nelle mangiatoie degli animali di cui ci nutriamo.

 

Che cos’è un OGM?

Secondo la normativa europea, un OGM è “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale”. In tale definizione non rientrano le mutagenesi ottenute per mezzo di radiazioni (è il caso del grano Creso, una varietà ottenuta intorno agli anni Cinquanta e tuttora molto diffusa), sebbene sia innegabile che si tratti di varietà ottenute artificialmente modificando il genoma.

È in corso un dibattito che cerca di stabilire se gli organismi modificati con le NBT debbano essere considerati OGM, perché di fatto il risultato ottenuto non è distinguibile dalle mutazioni che si verificano in natura, mentre gli OGM possono comportare l’inserimento di geni provenienti anche da specie estranee. La questione è spinosa perché l’oggetto del dibattito non sono categorie “biologiche”, ma frutto di definizioni giuridiche: in pratica, è il diritto a stabilire che cosa sia un “organismo geneticamente modificato” perché dal punto di vista del “risultato” una mutazione indotta per mezzo di tecniche di editing genomico non è distinguibile da quelle dovute alla naturale variabilità genetica. In altre parole, le biotecnologie realizzano in laboratorio ciò che in natura avviene casualmente.

 

Tornare indietro per andare avanti: il miglioramento genetico partecipativo

OGM e NBT non sono biotecnologie prive di svantaggi poiché mantengono alcuni aspetti dell’agricoltura convenzionale, come le monocolture e il monopolio del mercato dei semi, che attualmente è per il 70% nelle mani di sei grandi multinazionali. Tali concentrazioni economiche, oltre a sfavorire gli interessi dei piccoli produttori, ostacolano la ricerca e l’innovazione perché imprimono al mercato una direzione unica. Le monocolture sono molto redditizie, ma determinano una perdita di biodiversità: qualora si sviluppassero nuovi parassiti a cui le piante non sono resistenti la conseguenza sarebbe la distruzione di interi raccolti. 

Una strada alternativa è quella del miglioramento genetico partecipativo, propugnata dal genetista italiano Salvatore Ceccarelli: si tratta di una metodologia di ricerca che si avvale della collaborazione di agronomi, genetisti e coltivatori, che consiste nell’utilizzare un’ampia varietà di semi su terreni diversi per selezionare le varietà più adatte a specifici luoghi e climi. Si tratta di recuperare le antiche pratiche di selezione agricola, ma sfruttando le conoscenze scientifiche più avanzate.

La soluzione al problema della sicurezza non potrà essere una sola, ma è auspicabile che vengano percorse diverse strade, che oltre a considerare i cambiamenti climatici in atto non trascurino le esigenze dei piccoli produttori.

 

ATTIVITÀ PER LA CLASSE

Che cosa sono gli OGM secondo la normativa europea? Quali organismi non sono classificati come OGM e per quale motivo? Svolgi una ricerca e prepara una presentazione sull’argomento.

 

Riferimenti bibliografici

Dario Bressanini, Beatrice Mautino, Contro natura. Dagli OGM al «bio», falsi allarmi e verità nascoste del cibo che portiamo in tavola, BUR 2016