Biofisica e complessità

di Edwige Pezzulli
  • Obiettivo Primario: 15 - Vita sulla terra
  • Materia: Fisica e Biologia

La teoria dei sistemi complessi si è rivelata uno strumento fondamentale per la comprensione di molti problemi fisici e non solo: la sua potenza predittiva le ha permesso di valicare anche i confini disciplinari, contaminando molte aree del sapere - biologia ed ecologia comprese.

Un approccio complesso

La biofisica è quella disciplina che applica i principi e i metodi della fisica a problemi di tipo biologico: descrivere un organismo come sistema fisico, sviluppare dei modelli per rappresentare l’origine della vita oppure comprendere il funzionamento dei sistemi viventi e la loro evoluzione. Questi sono solo alcuni dei problemi ai quali la biofisica moderna sta cercando di dare una risposta.
Per lungo tempo i metodi tradizionali della fisica applicati ai sistemi biologici, secondo il cosiddetto approccio riduzionistico, hanno introdotto semplificazioni così radicali da impedire una rappresentazione efficace dei sistemi viventi. La svolta è arrivata quando anziché tentare di semplificare la complessità, si è scelto di descriverla. 

 

Sistemi complessi e proprietà emergenti

I sistemi viventi sono strutture complesse, costituite da molte parti che interagiscono tra di loro. Per complessità si intende quella proprietà che impedisce di stabilire il comportamento di un sistema a partire dalle sole caratteristiche delle sue componenti, condizione riassunta nella famosa affermazione “il tutto è maggiore della somma delle parti”. Non si tratta infatti di un limite dovuto all’assenza di informazioni sui pezzi che compongono il complesso: pur conoscendone alla perfezione la struttura interna, non saremmo comunque in grado di determinarne con esattezza il comportamento nel suo insieme. Il motivo risiede nel tipo di interazione che si stabilisce tra gli elementi, detta non lineare: le parti del sistema non possono essere studiate separatamente poiché la loro evoluzione dipende dalla reciproca interazione.
Sistemi di questo tipo manifestano solitamente dei comportamenti emergenti, ossia delle proprietà caratteristiche del solo sistema globale e non riconducibili a quelle dei singoli componenti. Pensiamo, per esempio, al colore di un corpo: gli elementi costitutivi del sistema, i protoni, i neutroni e gli elettroni, non hanno di per sé un colore. Ma quando sono disposti in atomi, e gli atomi sono aggregati, possono riflettere determinate frequenze della luce, dando vita a quello che chiamiamo colore.

 

All'origine della vita

Un modello di sistema complesso è quello costituito dalle reti autocatalitiche, ovvero reti formate da varie entità interagenti tra loro, ognuna delle quali è catalizzata (cioè la sua formazione viene facilitata) da altre entità della rete.
Il concetto di rete autocatalitica è stato sviluppato per spiegare come si sia passati da un insieme di molecole inanimate ai primi organismi. Una delle teorie sull’origine della vita, infatti, suggerisce che questa si basi su semplici molecole organiche capaci di aggregarsi in modo efficace, innescare reazioni chimiche tipiche dei sistemi viventi e formare così strutture più complesse.

Le diverse molecole possono quindi essere rappresentate come le entità di una rete autocatalitica, e le reazioni chimiche come le interazioni tra entità. Ecco così che una delle peculiarità dei sistemi viventi, ossia la loro capacità di produrre in maniera efficace tutte le parti che li compongono (detta self-reproduction), diventa una proprietà emergente del sistema: quando tutte le molecole della rete si sono formate, si innescano delle reazioni che ne sostengono la continua formazione. Le connessioni delle reti autocatalitiche, dunque, potrebbero rappresentare uno degli ingredienti fondamentali per la nascita dei primi organismi da un insieme “disordinato” di molecole.
Come spesso accade nella teoria dei sistemi complessi, modelli nati per spiegare un certo fenomeno fisico trovano poi applicazioni in molti ambiti diversi. La stessa sorte è toccata alle reti autocatalitiche, che possono essere utilizzate anche per descrivere sistemi e processi tipici dell’ecologia.

 

Ecosistemi e biodiversità

Un ecosistema è costituito da una grande quantità di elementi - viventi e non - interagenti tra di loro. L’equilibrio dell’ecosistema e la sopravvivenza delle sue parti dipendono proprio da queste interazioni, la cui complessità rende spesso difficile prevedere come il sistema reagisca al cambiamento delle condizioni ambientali o all’estinzione di una certa specie.
Per cercare di descrivere il comportamento globale di un ecosistema, l’ecologia ha attinto fin da principio ad alcuni concetti tipici della fisica, assumendo che gli ecosistemi siano analizzabili attraverso lo studio di variabili come la massa e l’energia, o che la loro evoluzione segua alcune leggi di conservazione.
Una possibile strada per descrivere l’evoluzione nel tempo di questi sistemi e la loro complessità è quella di considerarli come reti autocatalitiche: in questo caso, gli elementi della rete sono rappresentati dalle specie dell’ecosistema, e le interazioni corrispondono, per esempio, ai trasferimenti di biomassa ed energia che avvengono quando gli individui di una specie vengono mangiati da quelli di un’altra specie.
Inoltre, la catalizzazione trova un’equivalenza ecologica nei diversi meccanismi di facilitazione come le interazioni simbiotiche, l’impollinazione, o la messa a disposizione da parte di una specie di uno spazio sicuro per la creazione di un rifugio.
Pensiamo a un ecosistema costituito da api e alberi da frutto. 

Le api trovano il loro sostentamento nutrendosi del nettare dei fiori, e il loro banchetto può essere visto come l’interazione che trasferisce i nutrienti e l’energia da una specie della rete all’altra. Inoltre, api e alberi facilitano uno la sopravvivenza e lo sviluppo dell’altro, gli alberi mettendo a disposizione delle api tronchi sicuri in cui costruire un alveare e le api aiutando la riproduzione degli alberi grazie alla loro attività di impollinatori.
Ma c’è di più: lo stabilirsi di questa relazione crea le condizioni per l’insediamento nell’ecosistema di nuove specie, ad esempio una popolazione di uccelli che nidifica sugli alberi e si nutre di insetti.

L’applicazione delle reti autocatalitiche all’ecologia potrebbe permettere di studiare quantitativamente le capacità di un ecosistema di sostenersi in funzione delle risorse ambientali, o di prevedere le conseguenze dell’estinzione di una specie sulla sopravvivenza delle altre. In quest’ultimo caso, poi, il modello produce due importanti previsioni. La prima riguarda gli effetti catastrofici dovuti all’estinzione di una singola specie: se nell’ecosistema composto da api e alberi questi ultimi dovessero diminuire a causa del disboscamento, si potrebbero generare degli effetti a cascata anche sulle altre specie dell’ecosistema, ossia le api.
La seconda previsione, invece, è legata alla crescita della biodiversità: se un ecosistema fatto di api e alberi può richiamare uccelli, e quindi incrementare naturalmente la sua biodiversità, la scomparsa di una specie impedisce di fatto questa potenziale espansione.
L’impatto umano, quindi, agirebbe su due livelli: uno più concreto, l’altro in potenza. Sembra che la natura segua la regola “ricchezza chiama ricchezza”, e alterare i suoi sottili equilibri ne limiterebbe di fatto lo spazio di possibilità.

 

Scheda docente

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Bibliografia


  • Kauffman, S.A., 1993. The origins of order: Self-organization and selection in evolution. Oxford University Press, USA.

  • Hordijk, W. and Steel, M., 2017. Chasing the tail: The emergence of autocatalytic networks. Biosystems, 152, pp.1-10.

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