Guardare verso l'alba dei tempi

di Alberto Monte
  • Materie coinvolte: Fisica

Nel dicembre del 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha indetto la Settimana mondiale dello Spazio, una celebrazione internazionale della scienza e della tecnologia, focalizzata sull’esplorazione dell’Universo e sulle attività spaziali, in programma ogni anno dal 4 al 10 ottobre. Nell’ultimo secolo, la nostra conoscenza dell’Universo è “dilagata” portando a un duplice effetto, stimolante e paradossale a un tempo: se da un lato ha arricchito enormemente il bagaglio del nostro sapere, dall’altro ha portato alla luce quanto sia ancora sconfinata la nostra ignoranza.


 

1. Introduzione: conoscere e osservare l’Universo

Da millenni, lo Spazio è oggetto del bisogno primordiale di conoscere che stimola e muove l’essere umano. Basta pensare alle prime mappe del cielo e alle costellazioni, al calendario astronomico dei Maya, alle piramidi egizie allineate con le stelle, al modello tolemaico, a quello copernicano, oppure alle iconiche illustrazioni che ritraggono Galileo intento a osservare il cielo con i suoi cannocchiali, fino ad arrivare alle immagini mozzafiato che ci forniscono i telescopi in orbita attorno alla Terra. Oggi viviamo in un’epoca privilegiata: disponiamo di strumenti all’avanguardia che ci permettono di osservare l’Universo con un livello di dettaglio senza precedenti e – benché le questioni irrisolte siano ancora innumerevoli – di comprendere sempre più a fondo la sua struttura e i fenomeni che lo caratterizzano.


Fino al 1924 si credeva che l’intero Universo coincidesse con la nostra galassia, la Via Lattea, che ha un diametro di circa 100.000 anni luce. Fu grazie alle osservazioni di Edwin Hubble che si scoprì che alcuni oggetti erano ben più distanti del previsto ed erano a loro volta delle galassie. Sempre a Hubble si deve la scoperta dell’espansione dell’Universo, che comporta un progressivo allontanamento reciproco delle galassie: in particolare, la legge di Hubble afferma che più una galassia è lontana e più è elevata la sua velocità di recessione.
Secondo le stime più recenti, a causa di questa espansione, la cui velocità non è limitata da quella della luce, il diametro dell’Universo osservabile – una regione centrata sull’osservatore che racchiude tutto ciò che egli può osservare – è di 93 miliardi di anni luce; inoltre, si stima che in esso vi siano più di 100 miliardi di galassie.


Altrettanto rivoluzionarie sono state le scoperte in merito alle componenti dell’Universo: i dati di cui disponiamo attualmente ci dicono che esso è composto per circa il 5% dalla materia ordinaria, ovvero idrogeno, elio ed elementi più pesanti, che vanno a formare le stelle, per circa il 27% di materia oscura e per circa il 68% di energia oscura [Figura 1].

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Figura 1. La composizione dell’Universo: approssimativamente, solo il 5% di esso è composto dalla materia ordinaria, mentre, secondo le stime, circa il 27% è composto da materia oscura e circa il 68% da energia oscura. Materia oscura ed energia oscura sono entità di cui sappiamo ancora molto poco, se non che hanno un ruolo chiave nella dinamica e nell’evoluzione dell’Universo. La materia oscura non emette radiazione elettromagnetica, ma la sua presenza si manifesta attraverso effetti gravitazionali. Ancor più sfuggente è l’energia oscura, che è responsabile dell’espansione dell’Universo. In conclusione, allo stato attuale, possiamo affermare di conoscere relativamente bene solo il 5% del nostro Universo.

2. Osservare l’Universo in tutte le bande dello spettro elettromagnetico

La luce visibile costituisce una porzione limitata dello spettro elettromagnetico, che è composto da diverse bande corrispondenti a diverse lunghezze d’onda [Figura 2]. Di conseguenza, possiamo affermare che osservare l’Universo nella banda del visibile – ovvero attraverso telescopi ottici – equivale a osservarne una porzione limitata. Le stelle simili al nostro Sole presentano un picco di emissione elettromagnetica nella banda visibile. Tuttavia, vi sono molti altri oggetti e fenomeni che non possono essere osservati attraverso i telescopi ottici, poiché le radiazioni elettromagnetiche in gioco hanno diverse lunghezze d’onda.


Per avere una conoscenza esaustiva dell’Universo è dunque fondamentale osservarlo in tutte le bande dello spettro elettromagnetico, dai raggi gamma alle onde radio. Per farlo, sono necessari rivelatori o telescopi con caratteristiche molto diverse tra loro: si parla dunque di telescopi a raggi gamma, telescopi a raggi X e così via fino ai radiotelescopi. Analogamente, a seconda della banda considerata, si parla di astronomia a raggi gamma, astronomia a raggi X e così via fino alla radioastronomia.

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Figura 2. La luce visibile rappresenta solo una porzione limitata dello spettro elettromagnetico. Nella nostra comprensione dell’Universo, ogni banda – da quella dei raggi gamma fino a quella delle onde radio – riveste un ruolo di prim’ordine e ci permette di ricavare informazioni.

3. Verso l’alba dei tempi: la radiazione cosmica di fondo

Una delle previsioni fondamentali della teoria del Big Bang – la teoria più accreditata per descrivere l’evoluzione dell’Universo da quando ha avuto origine, 13,8 miliardi di anni fa, fino ai giorni nostri – è la presenza della radiazione cosmica di fondo, nota con l’acronimo CMB, dall’inglese Cosmic Microwave Background.


A prescindere dalla sua lunghezza d’onda, perché sia possibile rilevare una radiazione elettromagnetica questa deve avere modo di propagarsi nello spazio: non sempre, nella storia dell’Universo, ciò è stato possibile. Nella prima fase della sua vita, infatti, l’Universo appariva come una “nebbia opaca” ad alta densità e alta temperatura. Materia e radiazione erano fortemente accoppiate, e quest’ultima non poteva propagarsi. Via via, l’Universo si è espanso e raffreddato. Finché, all’incirca 380.000 anni dopo il Big Bang, radiazione e materia si sono disaccoppiate, e per la prima volta la radiazione è stata libera di propagarsi: la radiazione cosmica di fondo è la più antica radiazione elettromagnetica che è possibile rilevare, e anche per questa ragione, talvolta, viene chiamata “eco del Big Bang”.


La radiazione cosmica di fondo fu predetta nel 1948 dai cosmologi George GamowRalph Alpher e Robert Herman. Da allora partì una “caccia” a questa radiazione primordiale. In particolare, i fisici si aspettavano che permeasse tutto l’Universo osservabile, che avesse una lunghezza d’onda corrispondente alle microonde e, a meno di piccole fluttuazioni, fosse isotropa, ovvero che le sue caratteristiche fossero indipendenti dalla direzione di osservazione.


La rilevazione della radiazione cosmica di fondo arrivò nel 1965, per puro caso, a opera degli astronomi Arno Penzias e Robert Woodrow Wilson. Penzias e Wilson lavoravano ai Bell Laboratories, nel New Jersey, e l’antenna [Figura 3] che utilizzavano rilevava un disturbo che non riuscivano a spiegarsi: si trattava proprio della radiazione cosmica di fondo.

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Figura 3. L’antenna radio con cui Arno Penzias e Robert Woodrow Wilson rilevarono per la prima volta la radiazione cosmica di fondo (NASA).

4. Il telescopio James Webb: l’ultima frontiera dell’osservazione dell’Universo

Il 25 dicembre 2021, alle 12:20 UTC, a Kourou, nella Guiana Francese, è stato lanciato il James Webb Space Telescope (JWST), frutto della collaborazione tra tre delle principali agenzie spaziali del mondo: quella statunitense, la NASA, quella europea, l’ESA, e quella canadese, la CSA.


Il JWST è il telescopio più grande che sia mai stato lanciato nello Spazio e le sue strumentazioni all’avanguardia gli consentono di osservare l’Universo nella banda dei raggi infrarossi con un livello di dettaglio senza precedenti nella storia dell’astronomia. Tra gli obiettivi principali vi è quello di ricavare informazioni sulla formazione delle prime stelle e delle prime galassie, nonché sulle caratteristiche degli esopianeti potenzialmente abitabili.


Da quando ha iniziato la sua missione – la cui durata stimata è di vent’anni – il James Webb sta continuando a fornirci immagini mozzafiato [Figura 4].

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Figura 4. Alcune immagini del telescopio James Webb. In alto a sinistra: la Nebulosa Anello (Ring Nebula), nella costellazione boreale della Lira, a circa 2500 anni luce dalla Terra. In alto a destra: la Nube di Rho Ophiuchi, la regione di formazione stellare più vicina alla Terra. In basso a sinistra: i Pilastri della Creazione, una regione di formazione stellare situata nella Nebulosa Aquila. In basso a destra: l’ammasso di galassie WHL0137-08.
Crediti: https://webbtelescope.org/.

5. Le onde gravitazionali: un nuovo modo di osservare l’Universo

Le radiazioni elettromagnetiche non sono gli unici segnali attraverso cui è possibile indagare il cosmo. Esistono altre onde, di natura diversa, che sono state rilevate per la prima volta nel 2015, dopo decenni di tentativi: si tratta delle onde gravitazionali, perturbazioni dello spaziotempo che si propagano alla velocità della luce, la cui esistenza è prevista dalla teoria della relatività generale, formulata da Albert Einstein nel 1915.


Perché nel cosmo si generino onde gravitazionali abbastanza intense da poter essere rilevate sulla Terra è necessario che si verifichino fenomeni fisici estremi, in cui sono coinvolte grandi masse che subiscono grandi e repentine accelerazioni, come per esempio la collisione tra due buchi neri o tra due stelle di neutroni [Figura 5].

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Figura 5. Una rappresentazione artistica di uno scontro imminente tra stelle di neutroni con la conseguente generazione di onde gravitazionali (ESA).

Le onde gravitazionali rilevate nel 2015 sono state generate da una collisione – avvenuta a più di un miliardo di anni luce dalla Terra – tra due buchi neri aventi rispettivamente masse pari a 36 e 29 masse solari. Gli strumenti che hanno permesso di raggiungere questo risultato storico sono degli interferometri per le onde gravitazionali estremamente sensibili; in particolare, si tratta di apparecchiature che utilizzano sistemi ottici che permettono di rilevare gli effetti dovuti al passaggio di un’onda gravitazionale. La rilevazione è stata annunciata pubblicamente nel febbraio del 2016 dai ricercatori dell’esperimento LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), negli Stati Uniti. È stata inoltre preziosa la collaborazione dell’interferometro Virgo [Figura 6], situato nel comune di Cascina, in provincia di Pisa.


La rilevazione delle onde gravitazionali ha aperto nuove frontiere nel campo dell’astronomia, “inaugurando” un campo di ricerca che avrà un ruolo fondamentale nei prossimi decenni, permettendoci di ricavare informazioni su alcuni degli eventi più “catastrofici” che animano l’Universo e sugli oggetti coinvolti: l’astronomia delle onde gravitazionali.

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Figura 6. Una visuale area dell’interferometro per la rilevazione di onde gravitazionali Virgo, con i suoi bracci lunghi 3 km, nel comune di Cascina. I bracci sono perpendicolari tra loro, e ciascuno è percorso da un raggio laser che viene riflesso da uno specchio alla fine. Il passaggio di un’onda gravitazionale perturba lo spaziotempo e causa un alternato allungarsi e contrarsi dei bracci, cosicché quando uno si allunga l’altro si contrae e viceversa. Il laser impiega quindi un tempo leggermente diverso per attraversarli e ciò comporta la formazione di una figura di interferenza. Per capire quanto questi strumenti siano sensibili basta pensare al fatto che le contrazioni e gli allungamenti in gioco sono dell’ordine di 10−18 m.

Attività per la classe

Parte I – La Settimana mondiale dello Spazio
La Settimana mondiale dello Spazio è in programma dal 4 al 10 ottobre. La scelta di queste date non è casuale: il 4 ottobre 1957 e il 10 ottobre 1967, infatti, sono due date importanti nella storia dell’esplorazione spaziale.




  • Dividetevi in gruppi.

  • Fate una ricerca sugli eventi significativi nella storia dell’esplorazione spaziale occorsi il 4 ottobre 1957 e il 10 ottobre 1967.

  • Scegliete l’evento che vi interessa maggiormente e approfonditelo.


Parte II – Scale cosmologiche: una questione di proporzioni
Immaginare le distanze cosmologiche reali va oltre le capacità di ogni essere umano. Anche i cosmologi più brillanti parlano di “dimensioni impossibili da visualizzare”. Tuttavia, per farsi un’idea “più terrena” di certi ordini di grandezza possono tornare utili le proporzioni.




  • Dividetevi in gruppi (possono essere anche diversi rispetto ai precedenti)

  • Immaginante che la Via Lattea sia un disco avente un diametro d = 1 cm.

  • Provate, facendo una proporzione, a determinare quali sarebbero le dimensioni dell’Universo osservabile sapendo che le sue dimensioni reali sono di 93 miliardi di anni luce e che le dimensioni reali della Via Lattea sono di circa 100.000 anni luce.

  • Confrontatevi con gli altri gruppi: avete ottenuto lo stesso risultato?


Suggerimento – Sin dall’inizio è conveniente esprimere tutte le misure in m o in km. In particolare, ricordate che 1 anno luce equivale a 9,46 1012 km. Inoltre, è utile ricordare che 1 miliardo equivale a 109.


 

Referenze