Donne e filosofia: la scuola di Platone

Giornata mondiale della Filosofia

Il mondo greco-romano è considerato, a ragione, una società patriarcale in cui pochissimo spazio era concesso alle donne. La filosofia non faceva eccezione. Sarebbe però sbagliato pensare che la filosofia antica fosse solo riservata agli uomini. La situazione fu diversa da scuola a scuola. Un caso di esclusione delle donne è dato dalla scuola peripatetica, fondata da Aristotele. Nel suo pensiero politico Aristotele legittima aspetti tipici della società greca, a cominciare dal ruolo subordinato delle donne. Non abbiamo quasi notizie di filosofe aristoteliche nel mondo antico e non è un fatto sorprendente.

La situazione è diversa per altre scuole. Secondo le fonti antiche ci furono donne filosofe nella scuola di Pitagora e la prima sarebbe stata Teano, moglie del sapiente. Alcune opere trasmesse dall’antichità sono attribuite a filosofe pitagoriche. Come spesso accade per il pitagorismo, però, non è semplice separare la realtà e la leggenda. Le cose stanno diversamente per la scuola di Epicuro e, soprattutto, per le scuole di filosofia ispirate a Platone. Per prima cosa, nella filosofia di Platone il mondo femminile assume un ruolo importante e rivoluzionario rispetto alla mentalità dell’epoca. Nella città giusta teorizzata nella Repubblica le donne che hanno natura adatta posso svolgere le stesse funzioni degli uomini e accedono al loro tipo di educazione. Le donne governanti sono liberate dai compiti domestici e dall’accudimento dei figli. In un contesto sociale in cui il termine “cittadino” è usato solo al maschile, Platone lo impiega anche al femminile: egli parla dunque di “cittadini” e “cittadine”. Nel Simposio, inoltre, è una donna, Diotima, a rivelare a Socrate le verità sull’eros e la filosofia. Diotima non è una figura storicamente esistita, ma è importante che Platone affidi proprio a questo personaggio immaginario l’insegnamento delle verità più profonde. Non bisogna esagerare la portata di questi fatti: per quello che sappiamo l’Accademia di Platone condivideva in tutto e per tutto l’impostazione rigidamente maschilista della società ateniese. Ciò nonostante, sarebbe sbagliato sminuire la portata delle tesi platoniche. Non è un caso che gli esempi più interessanti di donne filosofe nel mondo antico appartengano proprio alla scuola di Platone. La storia comincia con Assiotea, una donna di Fliunte (nel Peloponneso) che, dopo aver letto la Repubblica, venne ad Atene per diventare allieva di Platone. A dimostrazione di quanto fosse complessa la situazione, le fonti dicono che Assiotea dovette nascondere la sua identità e si finse uomo per essere ammesse nella scuola. 

L’Accademia fondata da Platone finisce di esistere nel I secolo a.C. ma dopo questa data scuole di filosofia platoniche fioriscono in tutto il mondo mediterraneo. Molti secoli dopo Platone, alla fine del mondo antico – un’epoca a torto associata alla decadenza e all’oscurantismo – le donne acquistano un ruolo di grande rilievo nelle scuole di filosofia. Il caso più celebre è la filosofa platonica Ipazia (morta nel 415 d.C.), diventata un vero e proprio simbolo della lotta per la cultura e i diritti. Ipazia era figlia di un matematico (Teone di Alessandria). Purtroppo le sue opere sono andate perdute ed è difficile avere notizie certe sul suo pensiero. Sappiamo però che ebbe grande prestigio e tra i suoi discepoli vi fu il filosofo (poi convertitosi al cristianesimo) Sinesio di Cirene. Ipazia si dedicò alla matematica all’astronomia e alla filosofia. Visse ad Alessandria. La sua fine è tanto tragica quanto celebre: fu uccisa dai cristiani, probabilmente su istigazione del vescovo Cirillo di Alessandria, per ragioni su cui gli studiosi ancora dibattono. Proprio queste circostanze hanno fatto di Ipazia una specie di martire pagana della filosofia; una libera pensatrice opposta al fanatismo religioso. Ipazia è entrata nell’immaginario collettivo: di alcuni anni fa è il Film Agorà, che ne rievoca la figura. 

Su questi punti occorre forse essere prudenti: certamente Ipazia non fu la sola che nell’antichità morì per le sue idee; le concezioni moderne di tolleranza e libero pensiero sono estranee al mondo antico. I rapporti tra pagani e cristiani alla fine dell’antichità furono molto sfaccettati: vi era ostilità ma anche reciproca assimilazione culturale. Resta il fatto che Ipazia esercita ancora, dopo tanti secoli, un fascino eccezionale e possiamo solo rimpiangere la perdita delle sue opere. Ipazia non fu però l’unica filosofa alla fine del mondo antico. Il platonismo ci offre altri esempi interessanti. Di alcuni decenni anteriore a Ipazia è Sosipatra, vissuta nel IV secolo nella città siriaca di Pergamo, dove godette di immenso prestigio e insegnò filosofia. I biografi narrano delle sue eccezionali qualità e le attribuiscono persino doti sovrannaturali. Sappiamo che Sosipatra insegnò sulla dottrina dell’anima e del suo rapporto col corpo. Anche ad Atene abbiamo notizia sappiamo di un’importante donna filosofa: è Asclepigenia, figlia del filosofo Plutarco di Atene (V secolo d.C.).

Queste notizie offrono un panorama interessante. Le donne filosofe antiche sono descritte come figure eccezionali, quasi sovrumane. In fondo anche questo riflette la mentalità dell’epoca: per diventare filosofa, una donna doveva rivelare qualità straordinarie e ben diverse dalle altre donne. Tuttavia, nell’antichità le donne filosofe ci furono e furono figure importanti, tutt’altro che marginali: per quanto possiamo capire le scuole di filosofia furono un ambiente più favorevole di altri perché le donne potessero sviluppare il loro talento e acquistassero ruoli di prestigio. La filosofia antica creò luoghi in cui le donne potevano talora occupare un posto equivalente a quello degli uomini, e occupare persino il primo posto.