La Corte di Cassazione compie 100 anni

Una difficile funzione in un contesto che cambia velocemente

di Giacomo Stalla, gennaio 2024

Riforme processuali e informatizzazione sono necessarie, ma non sufficienti a risolvere il problema dell’arretrato: occorre focalizzare maggiormente la funzione della Corte chiamata alle sfide di una società complessa.

L'autore: Giacomo Stalla è Consigliere della Corte di Cassazione ed è coautore del corso “Diritto”, edito da Le Monnier Scuola.

 

1. Un ruolo in continua evoluzione

Nello scorso mese di novembre si è tenuto a Roma, nel “Palazzaccio” di Piazza Cavour, un importante convegno alla presenza del Presidente della Repubblica e delle massime Autorità dello Stato (il programma e gli atti al link https://q3.hubscuola.it/54jq).

L’occasione era data dai cento anni dalla istituzione della Corte di Cassazione unica che sostituì le Corti di Cassazione operanti negli Stati preunitari e che avevano continuato a funzionare, per oltre sessant’anni, anche dopo l’Unità d’Italia (Regio Decreto 24 marzo 1923 n. 601. art. 1: «Le Corti di Cassazione di Firenze, Napoli, Palermo e Torino, sono soppresse. La Corte di Cassazione di Roma eserciterà tutte le attribuzioni ora spettanti alle altre Corti soppresse e prenderà il nome di Corte di Cassazione del Regno»).

Lo Stato unitario aveva bisogno di un unico organo giurisdizionale di vertice perché unica e costante, su tutto il territorio nazionale, fosse l’interpretazione della legge.

Questa necessità venne resa esplicita e rafforzata, sotto il regime fascista, con una disposizione tuttora in vigore (Regio Decreto 30 gennaio 1941 n. 12, Ordinamento Giudiziario, art. 65), la quale assegna alla Corte di Cassazione – centralizzata in Roma – i compiti di:

  • «assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge»;

  • garantire «l’unità del diritto oggettivo nazionale» ( 111, co. 7 della Costituzione).


La Costituzione Repubblicana ha tenuto fermi questi scopi, aggiungendo la regola, di massima tutela dei diritti soggettivi dei cittadini, per cui contro le sentenze (intendendosi per tali tutti i provvedimenti sostanzialmente decisori, anche se con forma di ordinanza o decreto), «è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge».

Nel sistema che ne è derivato, la Corte di Cassazione ha quindi oggi una duplice funzione:

  • l’affermazione, in occasione dei singoli processi, dell’esatta e unitaria interpretazione della legge, cioè l’attuazione del diritto in senso “oggettivo”; si parla, in proposito, di “nomofilachia” o di funzione nomofilattica;

  • l’ultima istanza a tutela dei diritti soggettivi delle parti coinvolte in un giudizio civile o penale; in questo senso, la Corte di Cassazione è un giudice di impugnazione (dopo il primo e il secondo grado), che però giudica solo sulla legittimità della sentenza impugnata (violazione di legge) e non sul fatto, già definitivamente accertato e ricostruito dai giudici di merito nei gradi precedenti.


In questo secolo di attività la Corte di Cassazione ha svolto la propria attività interpretativa in un contesto normativo (definito plurilivello) che è diventato via via più articolato, venendo in ciò chiamata a dare attuazione, nell’interpretazione della legge e nella tutela dei diritti fondamentali, non solo alla Costituzione Repubblicana, ma anche al diritto dell’Unione Europea (che deve essere direttamente applicato dai giudici nazionali, anche in deroga al diritto interno) e ai principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, firmata a Roma nel 1950. Ciò avviene tenendo conto delle decisioni e degli orientamenti delle altre Corti superiori che cooperano, sia nell’ordinamento interno (Corte Costituzionale, Consiglio di Stato, Corte dei Conti) sia in quello europeo (Corte di Giustizia UE di Lussemburgo, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo), alla formazione di quegli indirizzi giurisprudenziali che, se costanti e uniformi nel tempo, formano il c.d. diritto vivente.

 

2. Le difficoltà che la Corte deve affrontare

La ricorrenza del primo secolo di vita della Corte di Cassazione “unica” è stata però anche l’occasione per far emergere una preoccupazione: quella che essa non sia più in condizione, vista l’enorme mole di contenzioso dalla quale viene da tempo investita, di svolgere appieno e con rapidità ed efficienza il proprio compito.

In ambito civile (ivi compreso il tributario) – al quale questo scritto principalmente si riferisce – la Corte di Cassazione ha negli ultimi anni emanato un numero di sentenze e ordinanze (intorno a 40.000 l’anno) che non trova uguali in nessuna Corte suprema di altri Paesi, non solo quelli di common law, ma anche quelli di tradizione giuridica più vicina al nostro, di civil law. Questa abnorme produttività è comunque lontana da riuscire a smaltire - con processi di ragionevole durata - la domanda di giustizia che proviene dai vari settori della società italiana: particolarmente gravi sono i ritardi in materia tributaria, e assai critica resta la situazione in materia di protezione internazionale e diritto d’asilo.

Soltanto nel settore civile, negli ultimi anni sono stati presentati in Cassazione circa 30.000 nuovi ricorsi l’anno (di cui più di un terzo nella sola materia tributaria), con una pendenza arretrata complessiva di oltre 100.000 ricorsi (di cui quasi la metà in materia tributaria). I processi civili vengono definiti – ma si tratta di un valore medio - in poco più di 1000 giorni (che diventano circa 1400 nel settore tributario).

Questa situazione – determinata da molteplici e concorrenti cause che non è qui possibile esaminare – è caratterizzata dalla patologica e soverchiante prevalenza quantitativa della funzione di impugnazione rispetto a quella nomofilattica.

Purtroppo il ritardo e le oscillazioni (di solito anche queste indotte dallo squilibrio che si è indicato) nel fornire l’esatta e uniforme interpretazione della legge alimentano un circolo vizioso: lasciando permanere uno stato di dubbio e incertezza applicativa presso i giudici di merito, gli avvocati e, più in generale, i cittadini e gli operatori economici, producono a loro volta ulteriore contenzioso.

Dalla Relazione Ministeriale (primo semestre 2023) sul monitoraggio statistico degli indicatori sul raggiungimento degli obiettivi del PNRR nel settore della giustizia (entro giugno 2026 abbattimento dell’arretrato civile in tutti i gradi di giudizio del 90% e riduzione della durata dei procedimenti del 40%), emerge qualche segnale positivo (riduzione del 14% dei nuovi ricorsi e di circa il 6% dell’arretrato della Corte), tuttavia ancora lontano da una vera inversione di tendenza e dai target delle altre Corti supreme europee.

 

3. Informatizzazione e riforme per migliorare la situazione

Molte misure sono state adottate, negli anni, per cercare di fronteggiare la crisi del Giudice di legittimità, sia sul piano organizzativo interno sia su quello della disciplina processuale (quest’ultimo di esclusiva competenza del Legislatore).

Tra le misure organizzative, vanno in particolare ricordate:

  • l’estensione alla Corte di Cassazione del processo civile telematico (PCT) per il deposito dei ricorsi e degli altri atti processuali di parte, per le comunicazioni e notifiche di Cancelleria, per il deposito e la pubblicazione dei provvedimenti del giudice;

  • l’implementazione dell’attività di classificazione e spoglio dei ricorsi all’interno delle singole sezioni della Corte, così da permettere la formazione dei ruoli di udienza secondo criteri di omogeneità delle questioni giuridiche da decidere e, per quanto possibile, da prevenire e limitare scostamenti e contrasti giurisprudenziali;

  • l’istituzione (al pari di quanto avvenuto nei Tribunali e nelle Corti di appello) dell’Ufficio per il processo (UPP), formato da esperti di diritto con funzioni di studio preliminare dei ricorsi e organizzazione dei ruoli, formazione e studio, supporto alla decisione dei giudici con lo svolgimento di ricerche dottrinali e giurisprudenziali attraverso la banca dati della Corte (Italgiure Web).


Molte riforme della disciplina processuale si sono poi succedute: leggi n. 40/2006; n. 69/2009; n. 134/2012. Si tratta di interventi legislativi che, pur avendo progressivamente cambiato volto alla Corte – che oggi decide per lo più con ordinanze emesse a seguito di camere di consiglio senza la presenza dei difensori, e solo in pochi casi con sentenze dopo pubblica udienza – non hanno tuttavia risolto le molte criticità.

Nel corso del 2023 ha trovato piena attuazione la c.d. Riforma Cartabia (D.lgs. n. 149/2022) che – per quanto concerne la Cassazione civile – ha introdotto varie novità importanti, fra cui:

  • la necessità che i ricorsi siano scritti con chiarezza e sinteticità (a pena di inammissibilità): art. 366 c.p.c.;

  • la possibilità di estinguere i processi su ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati mediante una proposta di definizione accelerata (PDA) del giudice relatore (monocratico), salvo che la parte ricorrente chieda la decisione del collegio in camera di consiglio (nel qual caso, nell’eventualità di sua soccombenza, più gravose saranno però le spese a carico): art. 380 bis c.p.c.;

  • la possibilità per i giudici di merito (Giudici di pace, Tribunali, Corti di appello) di sospendere il processo pendente davanti a loro e rimettere alla Corte di Cassazione la risoluzione pregiudiziale di una questione di diritto necessaria alla soluzione della causa, di grave difficoltà interpretativa e tale da porsi in numerosi altri giudizi. In questo caso, la Corte di Cassazione risolve la questione di diritto così da chiarire, preventivamente e in tempi brevi, il dubbio interpretativo troncando sul nascere, su tutto il territorio nazionale, un motivo di contenzioso altrimenti destinato a protrarsi per anni: art. 363 bis c.p.c.


 

4. Conclusioni

Insomma, il centenario cade in un contesto storico particolarmente difficile per la Corte di Cassazione, fatto di luci ma anche di molte ombre.

Per recuperare appieno il senso del suo ruolo istituzionale, anche alla luce dei vincoli di appartenenza all’Unione Europea, sembra inevitabile – nel settore civile - affrontare in maniera radicale il problema non solo della capacità di smaltimento (ricorsi in uscita), ma anche quello dei limiti di proponibilità delle cause (ricorsi in entrata).

A sua volta, quest’ultimo aspetto richiede che venga sciolto il nodo di fondo della doppia identità della Corte (nomofilachia o terzo grado di giudizio?), mettendola in grado di svolgere con efficienza e rapidità la sua tipica funzione, più che mai necessaria nella ormai elevatissima complessità del mondo giuridico, di custode dell’esatta e uniforme interpretazione della legge.

Ciò giustificherebbe l’introduzione – al pari di quanto accade in altri ordinamenti europei – di filtri preventivi e preclusioni a fare ricorso per cassazione su questioni che non hanno in realtà alcuna rilevanza interpretativa di interesse generale.

Andrebbe fors’anche sollecitata una riflessione (ma si tratterebbe di una scelta innanzitutto politica) sull’opportunità di una modifica dell’art. 111 co. 7 della Costituzione, nel senso di renderlo più flessibile demandando alla legge ordinaria (salvo che per materie particolarmente delicate e sensibili) il compito di stabilire i casi in cui non è possibile presentare ricorso per cassazione: ad esempio, su liti che non superano una determinata soglia economica, oppure implicanti questioni giuridiche già precedentemente risolte dalla medesima Corte, oppure già decise alla stessa maniera nei due gradi di merito.