Gli effetti economici del superbonus edilizio

La politica fiscale durante la pandemia 

di Giuseppe Bacceli, 13 aprile 2023

Nel 2020 è stato introdotto nel nostro ordinamento il Superbonus 110% con un duplice obiettivo: l’efficientamento energetico delle abitazioni (per favorire la transizione verde) e l’aumento del reddito nazionale e dell’occupazione. Non può essere dato un giudizio definitivo sull’efficacia di tale provvedimento, ma l’analisi fornisce l’occasione per comprendere il ruolo della politica fiscale durante la pandemia, un argomento di indubbio interesse didattico.

L’autore: Giuseppe Bacceli è docente di Economia politica presso l'Università Gabriele D'Annunzio di Chieti-Pescara, ha insegnato Diritto ed Economia nelle scuole secondarie di secondo grado. Si occupa di Didattica dell'economia, materia che ha insegnato presso le scuole di specializzazione all'insegnamento secondario. Per Mondadori Education è coautore dei corsi A scuola di democrazia e A scuola di diritto e di economia.

 

Premessa

L’avvio di una politica di incentivazione per il recupero del patrimonio edilizio nel nostro Paese risale alla fine degli anni Novanta del secolo scorso. Si trattava, in origine, di agevolazioni fiscali consistenti nel diritto di detrarre dalle imposte sul reddito una parte delle spese per il recupero edilizio; tale detrazione veniva distribuita nel tempo giacché il contribuente aveva la possibilità di utilizzarla per un certo numero di anni. Questi bonus erano stati introdotti come strumento di politica fiscale per far emergere il sommerso (bonus casa) e per incentivare specifici interventi (ecobonus, sismabonus, bonus facciate).

Nel 2020, nel pieno della crisi pandemica, è stato approvato il c.d. Decreto Rilancio (d.l. n. 34/2020) che alle precedenti incentivazioni ha aggiunto il superbonus 110%. La misura segna una vera e propria linea di cesura, sia per l’entità del rimborso delle spese sostenute, sia per l’ampliamento delle possibilità di utilizzo dell’incentivo. Infatti, viene data la possibilità, oltre alla detrazione, di ottenere uno sconto direttamente dal fornitore e la possibilità di cessione del credito.

Il provvedimento è stato oggetto di numerose revisioni e ciò ha provocato una notevole incertezza nei soggetti coinvolti (imprese, banche e cittadini). Per comprendere la portata del provvedimento, gli effetti che ha prodotto e i motivi che hanno indotto a tali modifiche, occorre contestualizzarlo.

 

Gli effetti della pandemia sul sistema economico

Nel 2020 la pandemia ha provocato una crisi in tutta Europa; si è trattato di una crisi simmetrica, ma con effetti asimmetrici in funzione della gravità della diffusione del virus e della rigidità delle misure di contenimento. Queste ultime hanno provocato inizialmente uno shock di offerta (chiusura di molte imprese e forte riduzione degli approvvigionamenti di materie prime e semilavorati) a cui si è subito aggiunto un brusco shock di domanda, dovuto alla riduzione del reddito causata dalla chiusura di molte attività produttive (soprattutto nel settore dei servizi). Questo circolo vizioso (minore offerta/minore domanda/minore offerta…) nel 2020 ha causato in Italia una contrazione del PIL dell’8,9% (nell’Eurozona del -6,6%). Se si tiene conto del fatto che nel 2008, l’anno di inizio della crisi finanziaria, il PIL italiano è sceso del 5,5%, si comprende bene quali effetti devastanti abbia avuto la pandemia sul nostro sistema economico.

 

La politica monetaria introdotta dalla BCE

Dopo la crisi finanziaria del 2008, l’Eurozona ha tardato a introdurre politiche anticicliche e solo con l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza della BCE si è assistito a un cambiamento sul piano della politica monetaria. Con il varo del Quantitive Easing, la BCE si è allontanata dalla cosiddetta ortodossia monetaria, in base a cui la banca centrale ha un singolo mandato (la stabilità dei prezzi) e le è vietato il finanziamento dei debiti pubblici nazionali (Tamborini). In presenza di deflazione, la BCE, constatata l’impraticabilità di una politica monetaria convenzionale consistente nella riduzione del tasso di interesse, giunto ormai a livello zero, ha introdotto una politica non convenzionale consistente nell’acquisto di titoli di Stato dei Paesi membri. A fronte di questo allentamento dell’ortodossia monetaria, però, è rimasta in piedi l’ortodossia fiscale, ossia il rispetto di quei vincoli alla politica fiscale degli Stati membri dell’Eurozona contenuti prima nel Patto di stabilità e crescita e poi nelle ancora più stringenti regole del Fiscal compact. Se da un lato questo mix di politica economica ha permesso di ridurre il divario tra i tassi di interesse sui titoli di Stato dei Paesi membri, riducendo il peso degli interessi sul bilancio dello Stato, dall’altro lato la politica di austerità fiscale non ha permesso di ridurre il gap apertosi, soprattutto con la crisi finanziaria, tra i Paesi mediterranei e quelli del Nord Europa.

 

Il Recovery Fund e la sospensione del Patto di stabilità e crescita

La crisi scatenata dalla pandemia ha messo in evidenza i limiti di questo mix di politica economica e ha portato l’Eurozona ad adottare una politica fiscale espansiva, attraverso l’adozione del fondo denominato Next Generation EU (NGEU, anche noto come Recovery Fund). Recovery and Resilience Facility (RRF) è lo strumento più corposo del NGEU, che assorbe l’intero ammontare dei prestiti (loans) ed eroga ulteriori 312,5 miliardi come sovvenzioni (grants) per un totale di 672,5 miliardi. Tali risorse hanno una destinazione predeterminata: almeno il 37% deve essere destinato alle misure per realizzare la transizione verde.

Accanto a questo piano, che configura una vera e propria rottura rispetto al passato, è stata sospesa l’applicazione del Patto di stabilità e crescita e i suoi sviluppi successivi. L’Eurozona, quindi, ha riconosciuto in questo modo l’importanza della politica fiscale per uscire da una crisi così profonda.

 

Il superbonus 110%

In questo contesto nel 2020 matura l’idea del superbonus 110%, presentato dal Governo dell’epoca in questo modo: «Il superbonus 110 per cento è una misura di incentivazione […] che punta a rendere più efficienti e più sicure le nostre abitazioni. Il meccanismo prevede che gli interventi possano essere svolti anche a costo zero per il cittadino! […] Questa misura crea un meccanismo virtuoso di mercato che offre benefici a tutti i soggetti coinvolti: il cittadino può ristrutturare casa gratuitamente, ridurre il costo delle bollette e valorizzare il proprio patrimonio immobiliare; l’impresa può aumentare il proprio fatturato grazie al maggior volume di lavori; lo Stato può rendere più efficienti e più sicure le abitazioni e sostenere l’aumento dell’occupazione e del reddito».

 

Gli obiettivi del provvedimento

In questa descrizione del provvedimento sono evidenti i suoi due obiettivi fondamentali:

  • l’efficientamento energetico delle abitazioni;

  • il sostegno alla crescita del reddito e all’occupazione.


Per quanto riguarda il primo obiettivo, il giudizio della Banca d’Italia è stato poco lusinghiero: «secondo le stime ufficiali, il superbonus ridurrà le emissioni di CO2 di circa 0.677 milioni di tonnellate a partire dal 2027. Nostre analisi suggeriscono però che, se valutato solo sotto l’aspetto ambientale, lo strumento andrebbe considerato relativamente poco efficiente» (Cfr. Alpino, Citino e Zeni, Audizione Senato).

Con riferimento al secondo obiettivo, la prima osservazione da fare è che nel 2021 il PIL in Italia è cresciuto del 6,6%. Dopo il “tonfo” del 2020, dunque, nel 2021 la crescita è stata sostanziosa. Nel 2021 è stato registrato inoltre un aumento del numero di occupati (+169 mila; +0,8%) e del tasso di occupazione delle persone tra 15 e 64 anni (+0,8 punti), che però non recupera il forte calo del 2020.

Nel 2022 il PIL corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato è aumentato del 3,7% rispetto al 2021; la crescita quindi ha rallentato, ma è rimasta significativa.

Quanto di questo aumento del PIL sia da ascrivere al superbonus è difficile da stabilire. Molto dipende dall’entità del moltiplicatore di questo tipo di agevolazione. Dal punto di vista teorico, il moltiplicatore della spesa pubblica in un’economia aperta è dato dalla formula:
1
1 - c (1 - t) + m
Il suo valore, dunque, dipende dalla propensione marginale al consumo (c), dalla propensione marginale alla tassazione (t) e dalla propensione marginale all’importazione (m).

In Italia la propensione al risparmio è stata dell’8,2% nel 2019, del 15,6% nel 2020 e del 13,1% nel 2021. Ciò significa che durante la pandemia si è registrata una diminuzione della propensione al consumo.

 

Il valore del moltiplicatore

Nella tradizione keynesiana, il valore del moltiplicatore è nettamente superiore a 1, mentre nella tradizione neoclassica si tende ad attribuire al moltiplicatore un valore inferiore a 1, poiché si ritiene che l’aumento del saggio d’interesse, conseguente a una politica espansiva, faccia ridurre gli investimenti privati.

Il dibattito sul valore dei moltiplicatori è stato molto vivace, soprattutto dopo la crisi del 2008. Da una serie di studi è emerso che i moltiplicatori assumono valori molto diversi nelle varie fasi del ciclo economico:

  • nelle fasi espansive il moltiplicatore della spesa pubblica è molto basso, nettamente inferiore all’unità (si stima un valore vicino allo 0,5);

  • nelle fasi recessive e, in particolare, di depressione, il moltiplicatore della spesa pubblica è invece assai superiore all’unità, secondo alcuni studi tra 1,5 e 3 (Cozzi, 2013).


Un moltiplicatore maggiore di 1 comporta che la politica fiscale espansiva sia molto efficace, in quanto causa una crescita del PIL maggiore del valore dello stimolo fiscale.

Per quanto riguarda il superbonus, è stato stimato che la spesa di 38,7 mld di euro, registrata fino al 30 giugno, dovrebbe produrre, tra effetti diretti, indiretti e indotti, un valore aggiunto di 124,8 miliardi (Nomisma, 2022); il moltiplicatore sarebbe quindi superiore a 3. Questa stima è sembrata eccessiva a molti ricercatori, che ritengono che il moltiplicatore sia superiore a 1, ma non così elevato. Il Consiglio nazionale ingegneri, ad esempio, ha stimato un moltiplicatore del superbonus pari a 2,1 (CNI, 2021).

 

Costi e benefici per lo Stato

La determinazione del valore del moltiplicatore è importante per stimare l’effetto del superbonus sul bilancio dello Stato.

Questa agevolazione comporta in prima battuta una riduzione delle entrate dello Stato per effetto delle detrazioni alle imposte da pagare da parte del committente, del fornitore o del cessionario. A fronte di questa riduzione, però, c’è un aumento delle entrate indotto dal provvedimento: poiché il PIL aumenta in misura significativa, aumentano anche le imposte (IVA e IRPEF) e i contributi sulle maggiori basi imponibili che non si sarebbero palesate se l’agevolazione non ci fosse stata.

Bisogna tuttavia tenere presente che il beneficio per le casse dello Stato (le maggiori entrate) si verifica nello stesso anno in cui il contribuente usufruisce dell’agevolazione (per l’IVA; per l’IRPEF nell’anno successivo) mentre i costi (le minori entrate) si distribuiscono negli anni.

In uno studio dell’Ordine dei commercialisti, applicando una metodologia di calcolo che prevede un moltiplicatore di 3,2 si stima che nel 2021 a fronte di un costo dell’agevolazione di 28 miliardi (che quindi crea un aumento del PIL di 90 miliardi), l’effetto fiscale indotto (maggiori entrate) sia stato di 12 miliardi, con un costo netto per lo Stato di 16 miliardi. In pratica, per ogni euro speso per il bonus rientrano nelle casse dello Stato 43 centesimi.

Queste cifre sono contestate da chi rileva che il moltiplicatore applicato sia troppo elevato e siano applicate aliquote di imposta troppo basse. Utilizzando criteri di calcolo diversi, ad esempio, l’Osservatorio dei conti pubblici stima un aumento dell’onere sul bilancio dello Stato tra i 40 e i 55 miliardi. In ogni caso, che il superbonus comporti un onere per le casse dello Stato sembra essere indiscutibile.

Si capisce perché la Banca d’Italia, nell’audizione del 21 febbraio 2023 concluda lapidaria: «Anche tenendo conto delle imposte e dei contributi sociali versati a fronte dell’aumento dell’attività del settore, gli oneri della misura per il bilancio pubblico restano comunque ingenti. Sulla base di prime valutazioni, questi oneri netti hanno avuto un profilo crescente nel biennio, riflettendo la forte accelerazione nel ricorso alla misura; si ridimensioneranno a partire dall’anno in corso (2023) per effetto della riduzione dell’aliquota prevista dalla normativa».

 

La distinzione tra debiti non pagabili e pagabili

Nella valutazione dell’impatto del superbonus sul bilancio dello Stato è di recente intervenuto un radicale cambiamento della contabilizzazione del superbonus e del bonus facciate. L’ISTAT, infatti, applicando il Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico (Manual on Government Deficit and Debt, MGDD) aggiornato da Eurostat nel 2022, ha rivisto i criteri di contabilizzazione dei crediti di imposta. In base alle nuove regole, bisogna distinguere tali crediti in due categorie:

  • non pagabili, costituiti dai crediti di imposta che possono essere detratti dalle imposte sul reddito dell’anno di riferimento; vanno contabilizzati come minori entrate nell’anno di utilizzo. Trattandosi di crediti di imposta, il loro ammontare non è predeterminabile perché il contribuente potrebbe non avere la capienza fiscale sufficiente per utilizzare il credito d’imposta e questo comporterebbe per il bilancio dello Stato una riduzione inferiore delle entrate;

  • pagabili, utilizzabili nel corso del tempo, ma nella loro interezza; è il caso dello sconto in fattura e della cessione del credito, che sicuramente saranno utilizzati dai loro fruitori (banche e imprese). In questo caso, le nuove regole prevedono la contabilizzazione di una maggiore spesa per l’intero ammontare dell’importo maturato nell’anno in cui viene sostenuta la spesa agevolata.


Di conseguenza, quando la misura è classificata non pagabile (come il credito d’imposta), l’impatto è distribuito negli anni di utilizzo del credito fiscale; quando la misura è classificata pagabile (come nel caso dello sconto in fattura e della cessione del credito), va a incidere totalmente sulla spesa del primo anno.

 

La revisione del deficit di bilancio

Questo diverso trattamento fiscale dei crediti ha comportato una revisione del deficit di bilancio negli anni 2020-2022. Per il 2020 il deficit passa dal 9,5 al 9,7 per cento, per il 2021 dal 7,2 al 9 per cento e per il 2022 dal 5,6 all’8 per cento. In pratica, i crediti d’imposta per il superbonus tra il 2020 e il 2022 devono essere contabilizzati nel deficit degli scorsi anni.

Grazie alle nuove regole contabili, il Governo scaricherà sugli anni precedenti il costo del superbonus fino al 2022; dal 2023, considerando le agevolazioni come non pagabili, distribuirà negli anni il peso dei nuovi crediti. Bisogna però tener presente che il debito contratto per i bonus edilizi non cambia. Per quanto riguarda il debito pubblico, infatti, la revisione non ha alcun effetto perché per il debito si segue sempre un criterio di cassa e quindi la registrazione ha luogo quando c’è il pagamento effettivo.

 

Un nuovo decreto

Alla luce di questa nuova registrazione contabile, se la cessione del credito e lo sconto in fattura fossero stati confermati anche per il 2023, l’intera agevolazione si sarebbe scaricata come maggiore spesa nel bilancio del 2023 e questo avrebbe esaurito tutti i margini per una manovra di bilancio. Per evitare questo, il Governo ha varato un decreto (16 febbraio 2023) che mette fine alla cessione del credito e allo sconto in fattura (crediti pagabili) e ha conservato il solo credito d’imposta (crediti non pagabili). Se, quindi, la revisione contabile consente al Governo un maggiore spazio di manovra nell’impostare la legge di bilancio per il 2024, non si può non notare come l’interruzione della cessione del credito e dello sconto in fattura abbia un effetto regressivo, poiché l’unica possibilità che rimane per ridurre le spese di ristrutturazione rimane il credito d’imposta, che penalizza i contribuenti più poveri, che non hanno capienza fiscale sufficiente per godere dell’agevolazione.

 

I provvedimenti sul piano della distribuzione dell’inflazione

Per trarre dall’analisi degli effetti di questo provvedimento insegnamenti di carattere generale in materia di politica fiscale è importante capire se l’onere netto per le casse dello Stato (che si è sicuramente verificato) avrebbe potuto essere utilizzato diversamente.

Per rispondere a questa domanda, occorre allargare il campo di analisi e prendere in esame anche gli effetti di tale provvedimento sul piano della distribuzione e dell’inflazione. Dal primo punto di vista, l’ENEA ha messo in evidenza nel maggio 2021 che oltre due terzi delle detrazioni sono relative a immobili di categorie catastali A1 (abitazioni di tipo signorile), A2 (abitazioni di tipo civile) o A7 (villini). L’agevolazione, quindi, sembra aver avuto un carattere regressivo.

Per quanto riguarda l’inflazione, sempre secondo i dati ENEA, i costi per unità di prodotto dell’edilizia nel 2021 sono aumentati di circa il 30%, il che va ad alimentare una spinta inflazionistica già in atto per le strozzature nelle catene del valore generatesi a livello globale in seguito alla forte ripresa della domanda, dopo che è stata messa sotto controllo la pandemia.

 

Le criticità del superbonus: l’azzeramento del prezzo delle ristrutturazioni

Come si può vedere, il superbonus presenta luci e ombre ma non si può non notare la presenza di alcune criticità.

L’aver previsto un azzeramento del prezzo delle ristrutturazioni (con un credito del 110%) ha eliminato quel conflitto di interessi tra committente e prestatore d’opera che è indispensabile per assicurare l’efficienza (minor costo) del provvedimento.

Anche Francia, Germania e Regno Unito hanno introdotto agevolazioni per l’edilizia, ma in tutti questi Paesi la percentuale della spesa sostenuta per l’efficientamento rimborsata dallo Stato è stata nettamente inferiore al 100% e la concessione dell’agevolazione è stata limitata alle fasce della popolazione meno abbienti e alle famiglie più numerose. Si tratta di limitazioni necessarie per assicurare l’efficienza e l’equità del provvedimento e la loro mancanza finisce per causare effetti “perversi” (Figari, Gandullia, Piacentino).

Inoltre, si sarebbe da subito dovuto stabilire un filtro per l’accesso alle ristrutturazioni da parte delle imprese edili, ad esempio prevedendo una presenza attiva nel settore già da un certo periodo di tempo e una verifica dei requisiti per l’accesso all’agevolazione. La possibilità di cessione plurima del credito, poi, ha reso poco trasparente la sua circolazione. Secondo la Banca d’Italia, infatti, soprattutto nella prima fase del provvedimento i controlli sono stati nulli perché le pratiche erano “prive in origine di un rigoroso apparato di controlli di natura preventiva”.

 

Le criticità del superbonus: la mancata distinzione in base all’APE

Inoltre, la legge non prevedeva alcuna distinzione tra gli edifici in relazione alla vetustà o alla classe di prestazione energetica (APE). Per raggiungere l’obiettivo dell’efficientamento del patrimonio edilizio del Paese, sarebbe stato necessario limitare l’agevolazione alle sole abitazioni di più antica costruzione e di classe energetica molto bassa. Anche sotto il profilo dell’equità una simile distinzione sarebbe stata determinante, se consideriamo che le abitazioni più vetuste e meno efficienti appartengono in genere alle persone meno abbienti.

 

Le criticità del superbonus: un’opportunità per pochi

Una più radicale critica riguarda l’opportunità di riversare risorse pubbliche in misura così consistente a favore di una platea molto ridotta di persone. Si stima, infatti, che le ristrutturazioni abbiano riguardato solo l’1-2% del patrimonio immobiliare nazionale. Se le stesse risorse fossero state impiegate per ristrutturare e rendere più efficienti edifici scolastici e ospedali, avremmo avuto sicuramente notevoli benefici in termini di crescita del prodotto aggregato e un beneficio che avrebbe riguardato l’intera popolazione. Sebbene, infatti, anche il superbonus produca esternalità positive, poiché favorisce la transizione verde che interessa tutti, la maggior parte del beneficio è in testa al privato che ristruttura. Questa scelta alternativa, tuttavia, avrebbe comportato la necessità di indire una gran quantità di appalti pubblici e, come è noto, questa procedura è molto complessa: tale difficoltà di realizzazione, infatti, è alla base dei rallentamenti che si profilano all’orizzonte per l’utilizzazione delle risorse messe a disposizione dal Recovery Fund.

 

Conclusioni

La vicenda del superbonus edilizio ci porta a concludere che la politica fiscale nel nostro Paese, per essere efficiente, richiede preventivamente un miglioramento della capacità di spesa della Pubblica amministrazione. Senza tale intervento, i programmi di spesa pubblica in grado di determinare i maggiori effetti economici non sono praticabili e quindi si fa ricorso a programmi, come il superbonus, che non sono privi di criticità. Questa difficoltà di effettuare spese pone una pericolosa ipoteca sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) ed è quindi giunto il momento di porvi mano.

 

Riferimenti bibliografici

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Senato della Repubblica Commissione 6a (Finanze e Tesoro), Audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli strumenti di incentivazione fiscale con particolare riferimento ai crediti di imposta, Testimonianza del Capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, Giacomo Ricotti, Roma, 21 febbraio 2023

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