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Elio Vittorini, scrittore e organizzatore di cultura


«Non potrei nemmeno cominciare senza parlarti del modo un po’ speciale in cui sono comunista, il quale, in Italia, è un modo un po’ speciale di numerosi militanti. Io non mi sono iscritto al Partito comunista per motivi ideologici. Quando mi sono iscritto non avevo ancora avuto l’opportunità di leggere una sola opera di Marx, di Lenin o di Stalin. […] Dunque io non aderii ad una filosofia aderendo al vostro Partito. Aderii ad una lotta e a degli uomini. Io seppi che cosa fosse il nostro Partito da come vidi che erano i comunisti […]. Erano i migliori tra tutti coloro che avessi mai conosciuto, e migliori anche nella vita di ogni giorno, i più onesti, i più seri, i più sensibili, i più decisi e nello stesso tempo i più allegri e i più vivi. Per questo ho voluto essere nel Partito comunista: per essere con i soli che fossero buoni e insieme coraggiosi, e insieme non disperati, non avviliti, non aridi, non vuoti; per essere con i soli che già allora (nel ’41, nel ’42) lottassero e credessero nella lotta loro; per essere con i soli che, quando ragionavano, ragionassero da rivoluzionari. […] Il diritto di parlare non deriva agli uomini dal fatto di “possedere la verità”. Deriva piuttosto dal fatto che “si cerca la verità”» (Vittorini, Politica e cultura. Lettera a Togliatti, in «Il Politecnico», 35, gennaio-marzo 1947).

La lettera da cui sono tratti i brani è indirizzata da Vittorini a Togliatti, segretario del Partito comunista italiano. Vittorini difende l’autonomia della cultura, la ricerca di contatti con le esperienze d’avanguardia e la libertà di intervenire in modo spregiudicato su qualsiasi tema politico e sociale. I dirigenti del PCI rivendicavano il ruolo di direzione della politica culturale al movimento operaio e al partito, criticavano una concezione «autonoma e corporativa della cultura», polemizzavano contro le correnti decadenti della cultura borghese, proponevano una linea nazional-popolare.

Non solo scrittore, ma intellettuale militante e organizzatore di cultura, Vittorini fonda nel 1945 la rivista «Il Politecnico», su cui svolge la sua battaglia per una cultura impegnata «a proteggere l’uomo dalle sofferenze, invece di limitarsi a consolarlo»; respinge ogni letteratura retorica e subordinata alla politica, rifiutandosi, nella polemica con i massimi dirigenti del PCI, di «suonare il piffero per la rivoluzione».

Tra le sue opere di narrativa ricordiamo Il garofano rosso (’33-36), dove si narrano le vicende di un liceale sotto il fascismo; Conversazione in Sicilia (’37-39), narrazione in prima persona in cui si interroga sullo sfondo della terra nativa e sul rapporto con la madre e la civiltà contadina; ambientato a Milano nel 1943 è Uomini e no (1945), dove si racconta la guerriglia dell’intellettuale partigiano Enne 2, con un linguaggio innovativo (dialoghi ripresi dal vero secondo i modi del giornalismo, montaggio cinematografico ecc.), in cui permangono tuttavia aspetti di interiorizzazione e trasfigurazione lirica.