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Italo Calvino: la prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno


«L’esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo.
«Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani – che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, “bruciati”, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d’una sua eredità.
«[…] Molte cose nacquero da quel clima, e anche il piglio dei miei primi racconti e del primo romanzo.
«[…] L’essere usciti da un’esperienza – guerra, guerra civile – che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci si strappava la parola di bocca»
(Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino).

Calvino coglie in questo passo l’atmosfera del dopoguerra in cui matura la letteratura neorealista. Nella prefazione, che ha lo scopo di collocare il testo nelle sue coordinate culturali e spazio-temporali, Calvino, costruendo un fitto gioco di interruzioni, riprese, riflessioni, si interroga su vari aspetti: la propria memoria autobiografica, la ricostruzione storica di un movimento letterario, la propria concezione di letteratura, la genesi del romanzo: «Lo scenario quotidiano di tutta la mia vita era divenuto interamente straordinario e romanzesco». Questa frase può essere considerata una chiave di lettura del romanzo, che vede la resistenza, senza retorica né ideologismi, attraverso gli occhi di Pin, un bambino che si unisce a una banda partigiana che opera sulle montagne liguri. La rievocazione della lotta assume una dimensione avventurosa e fantastica.