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L'intellettuale nel marxismo gramsciano
J.-P. Sartre


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L’intellettuale organico e l’egemonia nel marxismo gramsciano
(filosofia della prassi)



La figura filosofica di maggior spicco in Italia è quella di Antonio Gramsci (1891-1937), tra i fondatori nel 1921 del Partito comunista. Arrestato nel 1926, fu condannato dal Tribunale speciale a vent’anni di reclusione. In prigione scrisse i Quaderni del carcere, pubblicati postumi tra il 1948 e il 1951. In queste pagine Gramsci affronta diverse questioni: il processo unitario italiano visto come «rivoluzione mancata», la questione meridionale; il marxismo come filosofia della prassi, il pensiero di Machiavelli...; egli sostiene l’esigenza di una letteratura nazional-popolare, aperta alla realtà sociale delle masse; considera la questione della lingua su un piano politico; studia la storia degli intellettuali italiani e il loro rapporto con le classi dominanti.

Tra gli aspetti fondamentali del suo pensiero c’è il concetto di egemonia: a forme di consenso basate sul dominio e sull’esercizio della forza, Gramsci contrappone la capacità di persuasione attraverso strutture ideologiche e istituzioni che consentono agli intellettuali di esercitare una funzione di direzione intellettuale. Tra le strutture cui compete un ruolo rilevante per la creazione di un processo rivoluzionario primeggia il partito. L’intellettuale, che finora nella storia d’Italia si è mostrato funzionale alla classe dominante, può scegliere di essere intellettuale organico alle masse popolari, impegnato accanto a esse a trasformare la società.