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Il neorealismo letterario


Il dibattito sul «Politecnico» e i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci

La rivista «Il Politecnico» (1945-1947) diretta da Vittorini sostiene la necessità di una nuova cultura tecnico-scientifica oltreché umanistica e la concezione di una letteratura schierata per una trasformazione progressista della società. Tuttavia secondo Vittorini l’arte non deve essere subordinata alla politica, contrariamente a quanto ritiene su «Rinascita» Mario Alicata, del comitato centrale del PCI, secondo il quale l’intellettuale organico alla classe operaia deve seguire le direttive del partito in ambito di politica culturale, adattando alla situazione italiana il modello sostenuto e messo in pratica nell’URSS.

La pubblicazione dei Quaderni del carcere di Gramsci diffonde la concezione di una letteratura nazional-popolare e propone il modello dell’intellettuale organico al partito, nuovo “principe”, secondo una lettura machiavelliana alla luce della rivoluzione del 1917.


L’eredità verghiana

Il modello di riferimento del neorealismo è quello verista verghiano, di cui si riprende l’impegno a ritrarre oggettivamente la realtà umana e sociale contemporanea e a cui si attribuisce una volontà di denuncia, in Verga solo implicita. Nel dopoguerra l’opera di Verga viene rivalutata da due importanti saggi critici di Sapegno e Trombatore.


Temi e stile

Nel clima del dopoguerra, il neorealismo si propone di rappresentare le dure condizioni di vita, gli ideali, la lotta delle masse impegnate nell’antifascismo e nella Resistenza e di denunciare i problemi sociali e politici dell’Italia (l’arretratezza delle campagne, lo sfruttamento, la miseria ecc.).

La poetica neorealista si fonda sia su nuovi contenuti (scioperi, lotta partigiana, occupazioni di terre, scenari di guerra, disoccupazione ecc.), che su nuovi linguaggi: la ricerca di forme espressive e linguistiche inerenti i soggetti (presa diretta sulla realtà, dialetti, gerghi ecc.); formulazione di nuovi generi letterari (documento, cronaca, poesia corale ecc.) e rinnovamento della narrativa, che riprende il modello verista.

Viene abbandonata la letteratura consolatoria per una concezione militante dell’arte, impegnata a trasformare la realtà, non soltanto a descriverla e narrarla.
La letteratura si rifà al cinema per temi e stile. Comune a scrittori e cineasti è l’impegno spesso nelle fila del Partito comunista, a favore delle classi popolari, di cui si intende sostenere le lotte ed esprimere le aspirazioni, nella prospettiva del socialismo.
Rifacendosi alla politica culturale della sinistra, gli scrittori neorealisti intendono esprimere la cultura nazional-popolare, ovvero le profonde tradizioni del paese attraverso la rappresentazione della vita del popolo.


La narrativa autobiografica e documentaristica

Il bisogno diffuso di narrare le vicende dell’opposizione al fascismo, della guerra e della lotta partigiana si esprime anche in testimonianze dirette e immediate, non sempre filtrate letterariamente, come diari di guerra, cronache, lettere ecc. Tra queste opere di stampo autobiografico ricordiamo: Lettere di condannati a morte della Resistenza (1958), Giacomo Debenedetti; 16 ottobre 1943 (1944), Primo Levi, Se questo è un uomo (1947), Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve (1953), Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli (1945), Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra (1956).


La poesia

In poesia si contrappone l’intonazione epica e corale al lirismo e all’espressione del sentire individuale. La svolta e il superamento dell’ermetismo sono inaugurati da Alle fronde dei salici (1947) di Salvatore Quasimodo.

Altri testi significativi di questa tendenza realista sono Teatro degli Artigianelli (1944) di Umberto Saba; Foglio di via (1947) di Franco Fortini; Quaderno di M. Rossetti (1950), di Sergio Solmi; fino a Le ceneri di Gramsci (1957) di Pier Paolo Pasolini, che segna la crisi del neorealismo.