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J. Roth: La ribellione (1924)


Lo scrittore austriaco (1894-1939) dà alla vicenda del protagonista, Andreas Pum, reduce mutilato, un tono da parabola chassidica, secondo l’antica tradizione ebraica che osserva con sguardo amaro, malinconicamente ironico, le sventure di un infelice. In questo caso Roth risulta, più che in altri romanzi, acre perché troppo urgente si fa sentire la vis antimilitarista e antiborghese. Linfa vitale della formazione di Roth sono l’ascendenza materna, perché sua madre, ebrea russa, e il luogo natale Brody, in Galizia, lo mettono a contatto con l’ebraismo orientale e, parimenti importante, la formazione giovanile a Vienna, quand’era ineguagliabile centro culturale e cuore dell’Austria felix.

Nell’avvio del I capitolo de La ribellione viene presentato l’antieroe nel suo contesto, «il XXIV ospedale»:

« Erano ciechi o paralitici. Zoppicavano. Una pallottola li aveva colpiti alla spina dorsale. Aspettavano un’amputazione o erano già amputati. La guerra era finita ormai da un pezzo. Avevano dimenticato le istruzioni, il sergente, il signor capitano, la compagnia in marcia, il cappellano militare, il genetliaco dell’imperatore, il rancio, la trincea, l’assalto. La loro pace col nemico era firmata. E già si attrezzavano a sostenere una nuova guerra: contro i dolori, le protesi, le membra storpiate, la schiena curva, le notti insonni; e contro i sani.
«Soltanto Andreas Pum era soddisfatto di come andavano le cose. Aveva perso una gamba e ricevuto una decorazione... era contento quando vedeva che gli altri soffrivano.
«... Credeva in un Dio giusto: il suo Dio distribuiva pallottole nella spina dorsale, amputazioni, ma anche medaglie a chi se le meritava».