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E. Hemingway: Addio alle armi (1929)


Addio alle armi rispecchia un’esperienza autobiografica che lo scrittore americano (1899-1961) ha vissuto sul fronte italiano e, ferito, a Milano nelle retrovie. Con una prosa asciutta, di grande rigore stilistico, Hemingway scrive il romanzo una decina d’anni dopo gli eventi. Il suo realismo lo tiene lontano da analisi ed elucubrazioni, la sua scrittura asciutta non si compiace mai di un ingiustificato descrittivismo, il suo stesso ruolo di “osservatore esterno” lo porta a dipingere uomini e ambienti, senza astrazioni o moralismi, con uno sguardo teso costantemente alle cose, alieno dalle generalizzazioni. Il volontario e lo straniero di fronte al conflitto quasi mai lascia trapelare un giudizio o un’analisi. Solo a tratti emerge una visione globale, comunque sobria e in cui il messaggio è sotto forma di simbolo o di misurata nota. L’uomo d’azione, lo scrittore dei valori virili e l’appassionato d’avventura con una sorta di pudore, e, se vogliamo, con una evidente contraddizione, lascia trasparire la sua condanna della guerra. Lo stile senza prosopopea, e tuttavia partecipe, ha fatto rammentare a qualche critico la lezione di Stendhal che descrive le battaglie napoleoniche.

Proponiamo due passi emblematici. Il primo è l’incipit del romanzo dove mondo di pace e teatro di guerra sono intenzionalmente giustapposti:

«… si vedevano le truppe marciare lungo la strada e la polvere che si sollevava e le foglie che, mosse dal vento, cadevano e i soldati che marciavano e poi la strada nuda e bianca, se non per le foglie. La pianura era ricca di messi; c’erano molti frutteti e al di là della pianura le montagne erano brune e spoglie. Sulle montagne si combatteva e di notte vedevamo i lampi delle artiglierie. Nell’oscurità erano come fulmini estivi…»

Il secondo esprime la frustrazione e l’empasse dei momenti centrali del conflitto: la critica alle tragiche strategie dei comandi italiani è sommessa e senza animosità. Siamo nel capitolo XIX:

« Gli italiani stavano logorando una quantità terribile di uomini. Non vedevo come potesse continuare. Anche se prendevano la Bainsizza e il Monte San Gabriele c’erano moltissime montagne di là di questi per gli austriaci. Le avevo viste. Tutte le montagne più alte erano dall’altra parte … Napoleone avrebbe battuto gli austriaci sulle pianure. Non li avrebbe mai combattuti sulle montagne. Li avrebbe lasciati scendere … Per il momento nessuno stava battendo nessun altro sul fronte occidentale. Forse le guerre non si vincevano più. Forse continuavano sempre …».