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D'Annunzio: Il trionfo della morte
D'Annunzio: Le vergini delle rocce
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D'Annunzio: Le vergini delle rocce (1895)


Il destino eccezionale e straordinario di Claudio Cantelmo

Claudio Cantelmo si considera una nuova incarnazione del suo antenato Alessandro, uomo d’arme, vissuto a Milano ai tempi degli Sforza. Si sente erede di una delle più grandi famiglie che sono vissute in Italia e che hanno compiuto eccezionali imprese.

« Tra le imagini dei miei maggiori una m’è sopra tutte le altre carissima, e sacra come una icona votiva. È il più nobile e il più vivido fiore di mia stirpe, rappresentato dal pennello di un artefice divino. È il ritratto di Alessandro Cantelmo conte di Volturana, dipinto dal Vinci tra l’anno 1493 e il ’94 a Milano dove Alessandro aveva preso stanza con una sua compagnia di gente d’arme, attratto dall’inaudita magnificenza di quello Sforza che voleva fare della città lombarda una nuova Atene» (Libro primo).

Il motto di Cantelmo è lo stesso del suo antenato: diventare un grande uomo, dar vita a quel destino di magnificenza che già si era manifestato in passato.

«Tal visse e morì il giovine eroe [Alessandro Cantelmo] in cui parve sublimata la genuina virtù della mia stirpe militante....“O tu”, egli mi diceva impadronendosi della mia anima col suo magnetico sguardo “sii quale devi essere”» (Libro primo).

«E io vedevo, nella mia immaginazione, dietro le vetrate fiammeggianti del balcone regale, una fronte pallida e contratta su cui, come su quella del Còrso, era inciso il segno d’un destino sovrumano» (Libro primo).

Cantelmo si identifica con Napoleone (il Còrso) e vede davanti a sé una vita che sarà superiore alla vita degli altri uomini.

«Quella solitudine poteva dunque dare, più d’ogni altra, il grado di follia e il grado di lucidità necessari a un asceta ambizioso: a un asceta il quale, rinnovellando il senso originario della parola austera, volesse come gli antichi agonisti prepararsi con rigida disciplina alle lotte e alle dominazioni terrene» (Libro primo).

Cantelmo, come Zarathustra, cerca un’ascesi in cui follia e lucidità siano uniti. La solitudine è il segno distintivo dell’uomo superiore che, attraverso una nuova parola, ottiene la vittoria. D’Annunzio sottolinea l’importanza della parola, che crea. Il poeta modella le parole come modella la vita. Vita e letteratura si fondono.

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