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Canetti: Massa e potere


Lo scrittore dalle multiformi radici e lingue e dalle più ampie migrazioni (1905-1994), ebreo sefardita, di antica famiglia spagnola, nato in Bulgaria, divenne scrittore nella lingua, il tedesco, che con più fatica apprese. A essa rimase fedele, anche negli anni del nazismo e dell’esilio londinese. Tra gli anni Venti e Trenta, si formò a contatto con la più vivace intellighenzia del mondo tedesco, fra Vienna e Berlino. In quegli anni tesi e tumultuosi, anche in seguito a cortei e sommosse in cui si trovò coinvolto, incominciò ad appassionarsi alle dinamiche che trascinano le folle e alle ascendenze che hanno i detentori del potere. Il suo libro Massa e potere, risultato di una più che trentennale ricerca, sfugge a qualsiasi catalogazione di genere, in quanto è nel contempo speculazione filosofica, analisi antropologica, studio storico...

Si riporta un brano dell’epilogo, in sostanza l’ultima pagina del corposo volume. Nel prototipo del dominatore, in questo “egli” a cui Canetti non dà un nome, noi riconosciamo una sorta di superuomo realizzato, di tragica personalità effettivamente vissuta come incarnazione di quell’ideale. Dai caratteri presentati evinciamo che un siffatto superuomo è in realtà quanto di più antiumano si può immaginare.

«Che egli sia o no effettivamente messo in pericolo da nemici, sempre proverà la sensazione d’essere minacciato. La minaccia più pericolosa procede dalla sua stessa gente, da coloro che egli comanda continuamente, che gli sono vicinissimi, che lo conoscono bene. Il mezzo per liberarsi, cui egli ricorre non senza esitazioni, pur non rinunciandovi mai, è l’ordine subitaneo di una morte di massa. Egli dà inizio a una guerra e manda i suoi là dove devono uccidere. Molti di loro, d’altronde, potranno morire anch’essi. Non gli rincrescerà. Comunque si atteggi esternamente, c’è in lui un profondo e segreto bisogno che anche le fila della sua stessa gente si diradino. Affinché egli sia liberato dall’angoscia del comando, è necessario che muoiano anche molti di coloro che combattono per lui. La selva della sua angoscia è divenuta troppo fitta: egli anela a che si diradi. Se ha esitato, troppo, non vede più chiaro e può gravemente danneggiare la sua posizione. La sua angoscia del comando assume allora dimensioni che portano alla catastrofe. Ma prima che la catastrofe abbia raggiunto lui, il suo corpo – che per lui rappresenta il mondo – prima di ciò, egli avrà portato alla rovina innumerevoli altri»
(Massa e potere).