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Il nazionalismo italiano

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Il nazionalismo italiano


Il congresso di fondazione del 1910 sotto la presidenza di Corradini

«Sul piano delle ideologie politiche, nell’Europa di fine ’800 trovò larga diffusione il nazionalismo, ormai divenuto una corrente prevalentemente conservatrice. In varia commistione con esso si diffusero tendenze apertamente razziste e antisemite»
(Giardina, Sabbatucci, Vidotto, L’età contemporanea).

Il nazionalismo italiano nasce ufficialmente nel congresso di Firenze del 1910 con la fondazione della “Associazione nazionalista italiana”, presieduta da Enrico Corradini:

«[il nazionalismo] era la nuova Italia del lavoro e della produzione, della frugalità e del risparmio, della sanità fisica e morale che preparava il risollevamento degli animi il quale avrebbe dovuto portare ad una ripresa, con maggiori forze, della politica italiana in Europa» (Corradini).


Una forza vitalista, antisocialista e antiparlamentarista

Nel suo programma il nazionalismo si presenta come una forza modernizzatrice che ha il compito di creare una élite borghese capace di frenare le masse proletarie. Proprio l’industrializzazione dell’Italia aveva creato le premesse per la nascita di questo movimento politico: stava scomparendo il passato con le sue millenarie tradizioni e si stava affermando un presente minaccioso in cui le masse aspiravano a governare. I nazionalisti vogliono gestire il cambiamento che sta vivendo l’Italia e garantire alla nazione un destino glorioso.

Il nazionalismo è imperialista. Crede che l’Italia debba espandere i propri domini coloniali e affermarsi come una potenza di primo livello.

Il nazionalismo italiano si situa in quella più ampia corrente vitalistica che si oppone al positivismo e al sapere scientifico (vedi Positivismo). La fine dell’Ottocento si caratterizza come una crisi del sapere scientifico e come l’emergere di filosofie irrazionaliste (vedi Crisi delle scienze). La stessa riflessione nietzschiana può essere letta come un attacco frontale al razionalismo della cultura occidentale.
Così scrive Prezzolini nel 1903 sulla rivista «Leonardo»:

Positivismo, erudizione, arte verista [...], varietà borghesi e collettiviste della democrazia – tutto questo puzzo di acido fenico, di grasso e di fumo, di sudor popolare, questo stridor di macchine, questo affaccendarsi commerciale, questo chiasso di réclame – sono cose legate...».

Se il potere deve essere dei più forti non ha senso, per i nazionalisti, il sistema parlamentare che dà alla maggioranza il compito di governare. La massa senza un capo è niente.

Solo pochi uomini eletti hanno la dignità per emergere dalla massa e per guidarla.
Le teorie darwiniane vengono rilette come giustificazione per la creazione di nuove aristocrazie. La selezione della specie sarebbe quel meccanismo tramite il quale gli stati più forti e gli uomini più forti si affermano. Il nazionalismo è attivista, predica la superiorità dell’agire sul pensare. Il mondo va trasformato con violenza fino a sovvertire le ultime fondamenta della civiltà.


A favore dell’intervento in guerra nel 1915

Tra il 1914 e il 1915 i nazionalisti furono tra i principali sostenitori dell’intervento dell’Italia in guerra (vedi La Grande guerra). La guerra viene intesa come una forza rigeneratrice attraverso la quale i popoli riscoprono la propria vitalità assopita.

« O giovinezza di Roma, credi in ciò ch’ei credette; credi, sopra tutto e sopra tutti, contro tutto e contro tutti, che veramente Iddio creò schiava di Roma la Vittoria. Com’è romano forti cose operare e patire, così è romano vincere e vivere nella vita eterna della Patria. Spazzate, dunque, spazzate tutte le lordure, ricacciate nella Cloaca tutte le putredini!» (D’Annunzio, Arringa ai romani, 1915).