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Zola: L’opera (1886), un manifesto del naturalismo


La Parigi del secondo impero

I romanzi naturalisti hanno come loro peculiarità quella di essere ambientati, per lo più, in realtà urbane. Zola privilegia Parigi, che sarà lo sfondo di gran parte dei suoi lavori. La grande città è il milieu ideale per rappresentare le passioni umane e le loro complicazioni. Zola è un attento osservatore dei cambiamenti sociali e le sue opere sono dei significativi documenti storici sull’età del secondo impero. L’industrializzazione del paese ha cambiato profondamente la vita degli uomini e il loro ambiente naturale è ormai diventato la città in cui risiedono.

Parigi è la città che deve essere conquistata: «Erano le quattro, e la bella giornata finiva in un glorioso pulviscolo dorato. A destra e a sinistra, verso la Madeleine e verso il Corps législatif, le facciate degli edifici si allineavano in lontane prospettive, stagliandosi nettamente sul limite del cielo, mentre il giardino delle Tuileries innalzava le cime rotonde dei suoi grandi castagni. E fra le strisce verdi dei controviali, l’avenue degli Champs-Elysées saliva verso l’alto, a perdita d’occhio, chiusa dalla porta colossale dell’Arc de Triomphe, spalancata sull’infinito». Claude dirà: «Ah! Questa è Parigi!... È tutta per noi, non dobbiamo far altro che prenderla!» La città, nella sua grandezza e magnificenza, è il teatro dove si giocano le ambizioni umane, siano esse quelle di artisti, Claude o Sandoz, siano quelle dei nuovi ricchi e dei politicanti che tanto spazio avranno nei romanzi del ciclo dei Rougon-Macquart.

La città non è solo l’ambiente fisico fatto di palazzi, viali, ristoranti, teatri, ma anche e soprattutto la folla che l’attraversa: «Una doppia corrente di folla, un doppio flusso scorreva, coi risucchi animati dei tiri, le ondate fuggenti delle carrozze che il riflesso d’un cartellone, la scintilla d’un vetro di lanterna rendevano biancheggianti di una sorta di spuma. La piazza laggiù, coi marciapiedi immensi e la carreggiata vasta come un lago, si colmava di questo flusso continuo, solcata in tutti i sensi dal brillio delle ruote, popolata di puntini neri che erano uomini: e le due fontane zampillavano ed esalavano un senso di fresco in quell’ardore di vita». È questa stessa folla che Zola descrive nel romanzo Al paradiso delle signore, dove si narra dell’apertura del primo grande magazzino a Parigi, e nel Ventre di Parigi, dove il vero protagonista è il mercato delle Halles con la sua massa di gente che vende e acquista.

La folla delle grandi città può fare paura e può essere crudele. All’inaugurazione del Salon des Rèfusés in cui Claude espone Plein air, la gente che si accalca ride senza pietà: «Ma Claude, rimasto indietro, udiva sempre salire le risate, un clamore crescente, come il rombo d’una marea al suo culmine. E quando riuscì finalmente a entrare nella sala vide una massa enorme, brulicante, confusa, ammucchiata, che s’accalcava davanti al quadro».
La città attrae e respinge. Attraverso gli occhi di Claude Parigi si distende davanti al lettore nella sua bellezza struggente; è il luogo del suo amore per Christine, il luogo di passeggiate lunghissime. Prima di uccidersi Claude fa un ultimo desolato giro della città e giunge davanti all’Île de la Cité che è «quel cuore di Parigi di cui si portava dietro l’ossessione, dovunque».

Ma la città è anche sofferenza. Così Claude e Christine sceglieranno di vivere una vacanza a Bennecourt, sulla riva destra della Senna, a contatto con la natura. La loro vita è di «monotona felicità». In quei mesi Claude non riuscirà a dipingere. Parigi sembra rivelarsi come indispensabile all’estro creativo; essa tormenta, ma l’arte stessa è tormento. Quando ci sarà il funerale di Claude, è di nuovo Parigi che assiste al doloroso evento. Una Parigi periferica evocata dal fischiare dei treni che passano. La città osserva inerte, in un giorno di pioggia, e continua i suoi ritmi incessanti: «Una grossa locomotiva era arrivata sbuffando, e faceva manovra proprio sopra il luogo della cerimonia. Questa aveva una voce enorme e grassa, un fischio gutturale, di una malinconia immane. Andava, veniva, si fermava, col suo profilo di mostro massiccio. Bruscamente lanciò il suo vapore in un soffio tremendo di tempesta. “Requiescat in pace”, diceva il prete».



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