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L’impressionismo


Il termine “impressionismo” compare a partire dal 1874 quando Monet espose una sua tela dal titolo Impression: soleil levant. Un critico che aveva visto la mostra trovò ridicolo il quadro e chiamò Monet e il suo gruppo «impressionisti».

Nel 1863 i pittori accademici rifiutarono i lavori di Eduard Manet. Ne nacque una famosa disputa che portò all’apertura di un Salon alternativo a quello ufficiale: il Salon des Refusés. Questa data può essere considerata la data di nascita dell’impressionismo. Lo stesso Zola cita il Salon des Refusés nell’Opera e mostra una evidente simpatia per gli artisti innovatori.

Il pittore intorno a cui si riunirà la scuola impressionista fu Eduard Manet. Su di lui Zola pubblicherà uno studio nel 1867. Al gruppo aderirà episodicamente anche Cézanne.


La luce e il movimento

Zola scrive su «Le Voltaire» (18-22 giugno 1880) parlando dell’impressionismo: «una ricerca esatta delle cause e degli effetti della luce, che influisce sia sul disegno che sul colore». Zola offre dell’impressionismo una interpretazione personale che ne sottolinea il carattere trasgressivo più nella forma che non nei temi. In altri momenti entra in polemica con gli impressionisti, di cui era amico, perché notava la loro estraneità ai problemi sociali più scottanti e il loro disinteresse per un lavoro di denuncia.

Gli impressionisti si fecero assertori di una pittura en plen air, cioè all’aria aperta. Simbolo di questo tipo di pittura sarà Le déjeuner sur l’herbe di Manet (esposto nel 1866 al Salon des Refusés). La tela presenta forti somiglianze col quadro di Claude Lantier Plein air e anche le reazioni al quadro di Lantier sono simili alle reazioni suscitate dall’opera di Manet. Dice Gombrich: «In realtà, però, all’aria aperta e in piena luce le forme rotonde appaiono talvolta piatte, come semplici macchie di colore: Manet voleva approfondire proprio questi effetti» (La storia dell’arte raccontata da E.H. Gombrich). Molti impressionisti rappresenteranno in modo quasi ossessivo gli stessi paesaggi al variare delle ore del giorno per studiare la luce e tutti i suoi effetti. Famose a questo riguardo sono le cattedrali di Rouen e le ninfee di Monet.

Le nuove tecniche dovevano servire per rendere la realtà nei suoi aspetti. Per la pittura risultava particolarmente difficile rendere il movimento. Manet ne Le corse di Longchamp produce un’opera che a un primo sguardo sembra una macchia informe, ma poi essa appare come una corsa di cavalli dove per rendere la velocità si ricorre a forme sconnesse. I cavalli, per esempio, non hanno quattro zampe perché noi non le vedremmo assistendo a una corsa. E anche la folla tumultuante che assiste è un’unica massa indefinita. La pittura impressionista vuole introdurre lo sguardo dello spettatore dentro la scena rappresentata mettendone in rilievo la confusione e la mobilità.


Soggetti tratti dalla realtà quotidiana

«Dai pittori ha dapprima preso il gusto del mondo contemporaneo. Egli [Zola] ha trattato gli stessi soggetti: scene di strada, di caffè, di teatro, folle, ferrovie e stazioni, architetture di ferro e vetro, operai al lavoro, paesaggi di Parigi e del mondo moderno di cui egli assapora la poesia, periferie della grande città, scene di plein air, bordi della Senna o del mare, paesaggi di alberi e d’acqua, bagnanti e canottieri» (Dictionnaire d’Emile Zola, Lafont, Parigi 1993). Il quadro di Monet La stazione Saint Lazare venne considerato una vera impudenza perché trattava un aspetto troppo quotidiano.

Gli impressionisti amavano cogliere i paesaggi nella loro naturalità: «Il nuovo senso di libertà e di potenza che questi artisti provavano doveva essere inebriante … All’improvviso il mondo intero offriva soggetti al pennello del pittore» (La storia dell’arte raccontata da E. H. Gombrich).