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Zola: L’opera (1886), un manifesto del naturalismo


La storia di Claude Lantier


Claude dai genitori ha preso caratteristiche ereditarie che condizionano la sua vita personale e artistica: «Ci perdeva la testa, rimaneva sbalordito davanti a quell’enigma ereditario che talvolta lo rendeva così felicemente creativo, tal’altra lo rimbecilliva di sterilità al punto che dimenticava i primi rudimenti del disegno». Claude è un pittore che vuole creare un’arte nuova e rivoluzionaria, ma si scontra con la pittura accademica. Ma le sue opere, e specialmente l’Opera più importante a cui lavora, rimangono spesso incompiute, come se la sua creatività venisse spezzata improvvisamente.
« Per un fenomeno costante, il bisogno di creare correva tanto più veloce delle dita e non lavorava mai a una tela senza ideare la prossima. Lo pungolava sempre la stessa fretta, sbarazzarsi del lavoro in corso, su cui agonizzava… Davanti alla terribile impresa di rappresentare la vita nella sua ricchezza, l’artista abbandona continuamente le opere iniziate cercando in una nuova opera di cogliere ciò che prima gli era sfuggito. È il dramma di Claude».

Il pittore si immerge totalmente nel suo lavoro, ma non ne è mai soddisfatto. Riuscirà a far esporre al Salon des Refusès la sua opera Plein air, ma verrà ferocemente attaccato. Più tardi dipingerà L’enfant mort che andrà alla grande mostra nel Palais de l’Industrie. Anche questa volta l’accoglienza è pessima: «E i giovani sfottevano la grossa testa, una scimmia crepata per avere inghiottito una zucca, evidentemente». Il quadro di Claude rappresenta il proprio figlio, Jacques, che era morto a nove anni e il cui cadavere era stato utilizzato come modello per la tela. L’arte non è mai aliena dal dolore e dalla sofferenza. È ribellione e protesta. Claude si ucciderà la sera stessa dell’esposizione del suo quadro.

Il romanzo si chiude col funerale di Claude, in una giornata di pioggia, al cimitero di Saint-Ouen. Bongrand, un amico, così conclude: «Adesso è felice [Claude] non ha quadri da fare, nella terra dove dorme … Tanto vale andarsene piuttosto che accanirsi come noi a fare creature malate, cui manca sempre qualche pezzo, le gambe o la testa, e che non vivono». L’artista cerca di cogliere la vita della natura, ma il suo compito è impossibile. La sua opera è sempre imperfetta. Occorre, dunque, rinunciare alla creazione? Risponde Sandoz:
« Sì, bisogna abbandonare l’orgoglio, rassegnarsi all’approssimativo … Io che porto i miei libri fino alla fine, io mi disprezzo di sentirli incompleti e menzogneri, malgrado i miei sforzi». Non cessare di produrre, ma confrontarsi continuamente con la natura. Le opere d’arte saranno approssimative, ma questo è il massimo che un uomo può compiere.
Le ultime parole che pongono fine al testo sono di Sandoz: «Andiamo a lavorare». Cioè continuiamo a vivere e dedichiamoci a quello che sappiamo fare cercando di farlo nel miglior modo possibile.



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