Delfi
(gr. Delphoí, lat. Delphi)

Generalità
Località della Fòcide, situata presso una delle pendici meridionali del monte Parnasso (ca. 610 m. s.l.m.). Sacra ad Apollo, era uno dei più importanti santuari panellenici della Grecia antica, nonché la sede del più autorevole oracolo del mondo greco-latino: considerata perciò ‘l’ombelico del mondo’ (il mito della sua designazione a tale ruolo, da parte di Zeus, è già noto a Pindaro), fu al centro di forti interessi politici che ne fecero una delle roccaforti dell’aristocrazia arcaica.

Protostoria e periodo arcaico
Alla fine dell’età del bronzo sul sito di Delfi sorgeva un villaggio miceneo di ragguardevoli dimensioni. Nel corso del X sec. a.C. l’area subì una ristrutturazione e i primi segni di un culto (materiale votivo) datano all’inizio dell’VIII sec. a.C.

Il tempio più antico della zona sorse nella seconda metà del VII sec. a.C. (a tale momento risale probabilmente una lieve dislocazione del sito delfico) e fu distrutto da un incendio nel 548 a.C. Le competizioni atletiche note come giochi Pìtici (o Pìtie, o Pìtiche), e considerate fra le più importanti manifestazioni panelleniche di età arcaica e classica, ebbero inizio nel 591 o nel 586 a.C., ma già dal VII sec. si svolgevano nella zona importanti competizioni poetiche.

Un ruolo notevolissimo esercitarono le caste sacerdotali della città durante la cosiddetta ‘seconda colonizzazione’ greca (VIII-VI sec. a.C.): i pronunciamenti dell’oracolo costituirono un costante e autorevole indirizzo per le decisioni prese da molti stati greci, ed è comprensibile che le grandi famiglie aristocratiche dell’epoca arcaica si siano sempre impegnate per garantirsene i favori e l’alleanza. Nel frattempo una cospicua ricchezza andava accumulandosi nel santuario, dove le poleis presero a porre i loro ‘tesori’ votivi, di grande impatto propagandistico.

Il controllo politico e amministrativo dell’importante complesso fu affidato in età arcaica a un’organizzazione interstatale detta ‘Anfizionia di Delfi’. Essa fu al centro di numerosi conflitti armati noti con il nome di ‘guerre sacre’ – la più antica delle quali, di dubbia storicità, si data all’inizio del VI sec. a.C. e ha forse coinvolto l’Atene di Solone – e costante fu il tentativo, da parte delle potenze confinanti, di attrarre nella propria sfera di influenza la lega e i territori da essa controllati.

Mire di tal genere mostrò a più riprese la Fòcide, che nella prima metà del V sec. a.C. ottenne il sostegno di Atene, dando luogo a uno scontro con Sparta che attraverso vicende non chiarite dovette svolgersi lungo gli anni 458-446 a.C.. Nel frattempo, il santuario distrutto dall’incendio del 548 a.C. era stato ricostruito per iniziativa degli Alcmeonidi di Atene (il tempio resistette sino al 373 a.C., quando fu nuovamente abbattuto e ricostruito). Delfi conobbe l’invasione dei Persiani nel 480 a.C., ma senza subirne gravi danni.

Dall’età classica all’età romana

La storia di Delfi durante l’età classica è ancora la storia dei numerosi tentativi, da parte delle principali poleis greche, di stabilire un controllo su quello che era ormai il maggior centro di propaganda del mondo ellenico. Nel corso della guerra peloponnesiaca – almeno nella sua fase iniziale – la zona fu probabilmente sotto il sostanziale controllo di Sparta. Negli anni 357-346 a.C. si combatté la cosiddetta ‘terza guerra sacra’, che nacque dal rinnovato tentativo della Fòcide di stabilire il suo controllo sulla piana crisea, appartenente al territorio del santuario.

Sostenuta da Sparta e da Atene, la Fòcide trovò però l’opposizione di Tebe, che promosse l’intervento di Filippo II il Macedone: la guerra si concluse con la sconfitta della Fòcide, che equivalse a un grande successo propagandistico della Macedonia, da allora leader dell’anfizionia delfica.

La quarta e ultima ‘guerra sacra’ si consumò negli anni 340-338, quando Atene si schierò contro la città di Anfissa (colpevole, a suo dire, di essersi annessa alcuni territori dell’area): il nuovo intervento della Macedonia si concluse con la battaglia di Cheronea (338 a.C.), che segnò la definitiva egemonia di Filippo II sulle poleis della Grecia centrale.

Nel corso dell’età ellenistica Delfi rimase prima sotto il controllo della Macedonia, quindi – a partire dal 277 a.C. – sotto quella della Lega Etolica, che nel 279 a.C. aveva respinto un attacco dei Gàlati contro la città. Dal 168 a.C. furono i Romani a esercitare una stabile influenza sul santuario, che subì importanti ristrutturazioni sia sotto Augusto, sia sotto Domiziano e soprattutto Adriano. Il ruolo di ‘città sacra’ le fu riconosciuto ancora nella prima metà del IV sec. d.C., quando ormai la diffusione del cristianesimo aveva però compromesso definitivamente il già logorato prestigio della sede apollinea, ridotta ben presto a località marginale. Gli scavi moderni sul sito dell’antica Delfi ebbero inizio nel 1880.

L’oracolo di Delfi
Il mito secondo cui Apollo avrebbe scelto la località come sede del proprio oracolo è narrato nel terzo degli Inni omerici (che però a più riprese sembra obbedire agli interessi di Delo, l’altro grande centro cultuale apollineo della grecità). Il dio si sarebbe sostituito a un precedente culto di Gea, uccidendo il drago che controllava la sede: ma l’archeologia non conferma la presenza di una più antica realtà sacrale.

Il primo tempio di Apollo fu eretto nella seconda metà del VII sec. a.C., ricostruito dopo l’incendio del 548 a.C. e quindi nuovamente riedificato nel IV sec. a.C. (sono le rovine attualmente visibili).

All’oracolo potevano aver accesso tanto i privati cittadini, quanto i rappresentanti delle poleis o degli stati. Il consultante era tenuto a pagare una tassa (il cosiddetto pélanos, «offerta») ai custodi del santuario: essa, insieme alle grandi offerte votive, fu la principale entrata del tempio, che dovette conoscere un cospicuo giro d’affari. La consultazione avveniva nel recesso interno del santuario ed era preceduta da un sacrificio sull’altare antistante (la cosiddetta próthysis, sacrificio preliminare). Il vaticinio vero e proprio era affidato alla sacerdotessa detta Pizia, che secondo la tradizione masticava foglie di alloro dopo essersi purificata alle acque della fonte Castalia. Il pronunciamento della sacerdotessa presso il trìpode del santuario era considerato frutto dell’ispirazione divina: i moderni tendono a vedervi piuttosto un caso interessante di trance allucinatoria, forse favorita dall’assunzione di sostanze psicogene. Non è sicuro che le parole della Pizia venissero immediatamente riferite al consultante: ciò accadeva tramite la mediazione di un apparato di ‘interpreti’, che imprimevano al messaggio – non senza interessate manipolazioni, dettate dalle ingerenze della politica ellenica – quell’ambiguità e quell’oscurità che fu in antico la cifra caratteristica delle profezie apollinee.

[Federico Condello]