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Il futurismo italiano in letteratura


Filippo Tommaso Marinetti

I vari documenti propagandistici del futurismo contengono una parte di derisione e attacco alle istituzioni e una parte propositiva e di poetica vera e propria. Una minuziosa messa a fuoco di questi testi porterebbe a distinguere i cascami che derivano dalla cultura corrente rispetto al messaggio eversivo. In generale tutte le avanguardie, nonostante i propositi di netta rottura, pagano un tributo alla cultura loro contemporanea. Già il manifesto di fondazione mescola tono tribunizio e gusto orientaleggiante, il tutto condito – forse – con un pizzico di ironia. Presentiamo l’incipit del famoso articolo comparso su «Le Figaro» del 20 febbraio 1909.

«Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io – sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso folgore di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia…»

Anche la produzione letteraria del fondatore del movimento, Marinetti, presenta un duplice aspetto: da un lato non riesce a scrollarsi di dosso il retaggio dannunziano e decadente, dall’altro sperimenta nuove soluzioni quanto a grafica, sintassi rivoluzionata, parole in libertà, onomatopee. Una prosa con gli ingredienti del feuilleton al servizio di una trama stralunata si rivela in un romanzo che scrive nel 1910, un anno dopo lo storico manifesto. Il romanzo si chiama Mafarka il futurista. Un brano qualsiasi rivelerebbe subito una sensualità decadente, in questo caso intrisa anche di horror. Scena di delitto in un’alcova con sovrabbondanza di tinte forti:

«Il letto era tutto imbrattato di una specie di fango scarlatto, e pareva sfondato da una lotta diabolica. Tra i cuscini inzuppati di sangue, si scorgevano ciuffi di capelli, vertebre e ossa che sembravano essere state masticate dai denti di una tigre in foia. E Mafarka, col cuore oscillante, e come in sogno, fissò lungamente quei resti miserevoli, da cui trasudava un nero odore di lussuria. Null’altro, null’altro rimaneva della divina Mirabelli-Ciarciar!».


Aldo Palazzeschi

Il poeta Aldo Palazzeschi, che come altri condivide parte del percorso futurista (frequenta il gruppo marinettiano negli anni Dieci, ma poi se ne distacca perché non ne condivide il militarismo e l’interventismo), dà ai suoi versi connotazioni in parte divergenti dalla poetica futurista. La sua è stemperata e priva di aggressività. In componimenti come La passeggiata, si mischiano il parlato e il gusto del collage, quando enumera le insegne dei negozi che a mano a mano vede, è giocosa, con una vena di malinconia quando ricorre all’onomatopea nella Fontana malata, è autoironica quando in Chi sono? inizia negandosi:

« Son forse un poeta? / No, certo…», ma conclude con sorridente garbo: «Io metto una lente / davanti al mio cuore / per farlo vedere alla gente. / Chi sono? / Il saltimbanco dell’anima mia».

È evidente in Palazzeschi una vena quasi crepuscolare, un’ironia e un tono intimistico che solo alla lontana si imparentano con le parole d’ordine di Marinetti. In questi c’è l’attacco frontale, nel poeta toscano una sorridente demistificazione.
Illuminante è l’enunciato principale del suo «manifesto del contro-dolore»: «invece di fermarsi nel buio del dolore, attraversarlo con slancio, per entrare nella luce della risata».


Il teatro

I testi delle messe in scena dei marinettiani sono anch’essi intrisi di spirito dissacratorio e ludico, sono pervasi dal gusto dello sberleffo, dell’esibizione assurda, del non sense, o dei discutibili e cerebrali tentativi di fondere arti figurative e pièces senza personaggi, come in Colori - sintesi teatrale astratta di Fortunato Depero di cui si riporta l’inizio e l’indicazione dei personaggi.

La stesura delle battute è un esempio di applicazione delle indicazioni contenute nel Manifesto tecnico. I risultati possono essere divertenti, ma restano, in genere, superficiali.

I manifesti

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