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Il futurismo italiano nelle arti figurative

Nell’ambito delle arti figurative il futurismo italiano elabora i suoi risultati più interessanti e di rilievo internazionale. Sa esprimere con efficacia nuovi temi: le periferie industriali, i cantieri, i tram, le luci elettriche, i movimenti della folla, la frenesia della vita metropolitana e notturna.

I pittori futuristi proclamano il loro credo in vari manifesti. Ecco una loro frase significativa: «Il gesto per noi non sarà più un movimento fermato dal dinamismo universale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale». La pittura futurista, a parte questi presupposti d’ordine generale, non ha una sua estetica: per esprimere l’energia di cui è pregna e la sua sfida per rendere il movimento si avvarrà in buona parte di esperimenti già praticati da divisionisti e cubisti.

Sarà il talento dei singoli maestri a spiccare nei rispettivi percorsi e sarà merito dei più bravi conciliare l’uso di un linguaggio “vecchio” come la pittura con la loro poetica eversiva.


Umberto Boccioni

La formazione di Umberto Boccioni (Reggio Calabria 1882 – Verona 1916) si compie attraverso gli incontri con Severini e Balla a Roma, un soggiorno a Parigi, il periodo milanese, che favorisce un’acquisizione fondamentale: il contatto con il divisionismo. Per evidenziare lo scarto stilistico che separa la prima fase da quella futurista si possono mettere a confronto alcune opere.

Nell’Autoritratto (Pinacoteca di Brera, Milano, 1908) il pittore si pone in obliquo sulla destra del quadro, lasciando spazio allo sfondo, che presenta una periferia urbana in costruzione. Questo panorama moderno è tracciato con i tratti fitti e filamentosi del divisionismo, con un’impostazione ordinata e prospettica.
L’adesione al futurismo avviene nel 1910; l’artista ne sarà uno degli esponenti più rappresentativi, autore anche di vari manifesti. Allo scoppio della guerra si arruola come volontario, come altri futuristi, tutti interventisti. Muore prematuramente in seguito a una caduta da cavallo durante un’esercitazione.

La città che sale (1910/11, New York, The Museum of Modern Art) è un grande quadro (2 x 3 m ca.) in cui trovano la loro realizzazione, come in un manifesto, i vari enunciati dei proclami futuristi: i diversi elementi della scena cittadina si compenetrano, esaltando la velocità e il dinamismo; forme e colori esplodono in forti e marcate pennellate di un divisionismo estremo, vorticoso. Le criniere di cavalli, i lavoratori che sotto sforzo si piegano in diagonale, la compenetrazione e “il mosso” di tutte le figure imprimono una rara potenza a tutta la composizione. In essa si avverte un cosciente omaggio al mondo del lavoro.

Stati d’animo: quelli che vanno (1911, Milano, Galleria d’arte moderna) fa parte di una serie in cui Boccioni vuole tradurre in immagini diversi stati psichici (Quelli che restano; Gli addii); forme smaterializzate traspaiono attraverso una fitta trama di linee di forza.

Forme uniche nella continuità dello spazio (1913, Milano, Galleria d’arte moderna) è un bronzo che rappresenta l’integrazione tra lo spazio e una figura antropomorfa nell’atto di muovere un passo. Il rigonfiamento, la torsione delle forme a mo’ di bandiere e il gioco dei muscoli intersecati da forti spigoli (evidente influsso cubista) danno la sensazione d’un movimento ininterrotto, che si dilata, in base alle enunciazioni teoriche citate.


Giacomo Balla

Giacomo Balla (Torino 1874 – Roma 1958) percorre nel corso della sua lunga attività, oltre l’intensa stagione con Marinetti e compagni, varie fasi. A coronamento del periodo futurista pubblica con Depero nel 1915 il manifesto Ricostruzione futurista dell’universo. Il suo stile porta alle estreme conseguenze le parole d’ordine futuriste fino a una sorta di astrattismo geometrico e verso il “complesso plastico”, cioè la realizzazione di oggetti costituiti di vari materiali di uso comune assemblati. Questa genialità inventiva e lo spirito ludico rappresentano l’eredità più autenticamente moderna del tardo futurismo, in sintonia con i risultati degli altri movimenti d’avanguardia.

Per quanto concerne la fase più prettamente futurista c’è da osservare che la produzione di Balla diverge dalla concezione delle linee-forza di Boccioni e si avvicina invece alle ricerche del fotografo Anton Giulio Bragaglia, autore in quegli stessi anni di una raccolta di immagini sperimentali, il Fotodinamismo futurista. Questi, coi montaggi, fotogrammi in sequenza e lunghe esposizioni, intendeva esprimere il movimento e una nuova concezione del rapporto spazio/tempo. In un punto del manifesto i pittori affermavano: «Un cavallo in corsa non ha quattro gambe, ma ne ha venti».

Lo studio del moto lineare entra in molte sue opere, dove ad esempio analizza figure che camminano, il movimento dell’archetto sul violino che vibra, le automobili in corsa, il volo degli uccelli. Con “linee andamentali”, come una sequenza di fotogrammi successivi, scompone gli spostamenti.

Due quadri del periodo clou del futurismo illustrano il talento dell’artista e la sua piena adesione alla poetica del movimento.

Lampada ad arco (1909/10, New York, Museum of Modern Art): nel manifesto di Marinetti si voleva «uccidere il chiaro di luna», qui una sottile falce viene assorbita dal bagliore diffuso a raggiera da una lampada, unico soggetto del quadro. Dal globo incandescente la luce si proietta con decisi tratti multicolori svirgolati che trasmettono energia.

Dinamismo di un cane al guinzaglio (1912, Buffalo, N.Y., Albright-Knox Art Gallery): la camminata di un bassotto viene scomposta e le sue zampette si dispongono a raggiera; al suo fianco si coglie della padrona solo l’orlo della gonna svolazzante e le scarpe moltiplicate. Il fondo bianco e la stesura monocroma del colore bruno denotano l’interesse dell’artista per il solo movimento.



I manifesti

Il futurismo italiano in letteratura

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