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L’espressionismo
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Dadaismo e postdadaismo

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Un precursore: Marcel Duchamp

Poco prima della nascita del movimento vero e proprio, bisogna segnalare un precursore.
A Parigi tra il 1913 e il ’14 Marcel Duchamp (Blainville, 1887-Parigi, 1968) che fino ad allora era stato notevole pittore in ambito cubofuturista (è per esempio interessante la sua serie dedicata a Nudo che scende le scale) spingendo all’estremo procedure già avviate dalle avanguardie, quelle di astrarre un oggetto dal suo contesto e dalla sua funzione, per risemantizzarlo, cioè per caricarlo di un valore e significato completamente originali (poetica dell’object trouvé, o del ready made), espone cose che suscitano subito sconcerto e scandalo: un aggeggio di ferro su cui si mettono in cerchio le bottiglie a scolare, uno sgabello su cui piazza una forcella di bicicletta con la ruota in alto. Invia a New York, per l’esposizione al Salone degli indipendenti, un orinatoio in ceramica, prodotto sanitario di serie, e lo intitola Fontana.

In questo sberleffo, portato avanti individualmente, è già presente lo spirito dada che tuttavia avrà il suo atto di nascita un paio d’anni più tardi, in Svizzera.


Caratteri generali del dadaismo: il gruppo del Cabaret Voltaire


Nasce nel corso della prima guerra mondiale e si caratterizza subito per la sua carica estremistica, eversiva, nichilista.
I dadaisti non hanno all’interno del loro gruppo linee comuni, non hanno nulla da comunicare su un piano propositivo, nessuna scelta formale o contenutistica, ma solo gesti di provocazione e rottura nei confronti di tutte le istituzioni, che siano culturali o politiche.
Mentre infuria la prima guerra mondiale, la Confederazione, per la sua collocazione e il suo neutralismo, diventa un rifugio per personaggi eccentrici, esuli o uomini in rivolta. Disertori, giovani artisti schifati dal fanatico nazionalismo, leader rivoluzionari come Lenin, si trovano a Zurigo, che acquista grazie a loro un sapore cosmopolita ed eccitante.
A Zurigo un eterogeneo manipolo di giovani artisti (Tristan Tzara, rumeno, Hans Arp, alsaziano, Hugo Ball, tedesco, renitente alla leva, e altri) si ritrova al Cabaret Voltaire e dà vita nel 1916 al dadaismo.

Oltre che per l’antimilitarismo i dadaisti si caratterizzano per manifestare, con estrema radicalità di parole e di gesti, posizioni dissacratorie verso tutto.
Sull’origine del nome non esiste una versione univoca: nella sua insignificanza (un balbettio infantile, un vezzeggiativo…) piace ai fondatori e viene adottato. È ribadito dallo stesso Tristan Tzara, nel Manifesto Dada che esce nel 1918, che «Dada non significa nulla». L’attività del gruppo è concentrata più che altro in happening dissacratori e in manifestazioni anticonformistiche per farsi notare.
Con l’armistizio i dadaisti si disperdono: chi si infatua di nuove prospettive (per esempio, l’entusiasmo per le speranze accese dalla rivoluzione russa) e abbandona il terreno artistico per trasformarsi in intellettuale militante; chi si dedica a una tranquilla professione borghese; chi avvia nuove sperimentazioni. Alcuni con più spiccata personalità, per esempio Max Ernst (vedi il percorso Psicoanalisi, letteratura e arte) confluirà nel surrealismo, dando più spessore alla propria attività sperimentale); altri tengono acceso un focolaio dada a Berlino per buona parte degli anni Venti, ma con forme originali per la situazione politica locale molto tesa e conflittuale, tanto che è più appropriato il termine di postdadaismo; altri rimangono fedeli alla fase ludica e trasgressiva della loro giovinezza, pur evolvendosi e adottando nuove tecniche. La personalità più significativa al riguardo è lo statunitense Man Ray.


Man Ray e la fotografia sperimentale

Dopo la stagione dadaista si trasferisce a Parigi e continua a esprimersi fondamentalmente su due terreni: quello dell’object trouvé attraverso contaminazioni geniali, e quello della foto elaborata. Crea e denomina Rayogrammes degli esperimenti da camera oscura con cui ottiene immagini col contatto diretto di oggetti sulla carta sensibile, con la solarizzazione, con viraggi e trattamenti chimici. A questo affianca anche una pellicola girata con soluzioni innovative, Il ritorno della ragione, del 1923.

Una ricerca trasversale sull’impiego d’avanguardia di questo mezzo potrebbe abbracciare, oltre a Ray, anche Heartfield (vedi sotto), alcuni esponenti del futurismo italiano (Bragaglia), di quello russo (Lissitzkij, Rodcenko…), un certo numero di surrealisti ecc.

Il postdadaismo berlinese: i percorsi di Georg Grosz e John Heartfield