Isòcrate
(gr. Isokrátes, lat. Isocrates)

Cenni biografici
Isocrate, considerato uno dei massimi oratori di età classica, nacque ad Atene nel 436 a.C., da famiglia impegnata nel grande artigianato (su scala ‘preindustriale’) e nel commercio (il padre era un fabbricante di flauti). La sua giovinezza coincide quindi con l’apogeo e con la crisi dell’Atene periclea e post-periclea, e la stessa guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) dovette influire grandemente sulla sua vita, se è vero che la sua famiglia ne uscì sostanzialmente povera. La tradizione fa di lui un discepolo di alcuni fra i più celebri sofisti dell’epoca (Gorgia, Protagora, Pròdico), ma anche di Socrate, con la cui cerchia non mostra però di aver avuto rapporti troppo cordiali. A partire dal 402 a.C. si dedicò alla professione di logògrafo (la stessa cui fu costretto, per analoghi motivi economici, Demostene), ovvero alla stesura di orazioni giudiziarie che venivano vendute alle parti in causa (accusa o difesa). Solo nel 388 a.C., dopo il ritorno da una permanenza di qualche anno a Chio, Isocrate fondò una propria scuola, nella quale si formarono alcuni importanti intellettuali del IV secolo a.C. (dagli storici Androzione, Èforo e Teopompo, agli oratori Isèo, Iperìde e Licurgo, nonché il tragediografo Teodette); principale materia di insegnamento vi era la ‘retorica’, intesa però come complesso di dottrine indispensabili alla formazione della classe dirigente, perché comprensive di ogni strumento necessario a un efficace confronto assembleare o a una convincente argomentazione dialettica. In questo senso si comprende come la scuola isocratea abbia potuto, per qualche aspetto, porsi quale alternativa alla scuola propriamente filosofica di Platone. Alla sua professione di insegnante, e maestro riconosciuto dell’arte retorica e dialettica, Isocrate attese sino alla morte, che lo colse pressoché centenario, nell’anno della battaglia di Cheronea (338 a.C.).

Opere e fortuna
Sotto il nome di Isocrate sono giunte sino a noi ventuno orazioni, di cui sei risalgono al periodo trascorso esercitando la professione di logografo: Contro Eutino (del 403 o 402 a.C., che probabilmente trovò come autore dell’orazione avversaria nientemeno che Lisia), Contro Callimaco, Contro Lochite, La biga (scritte fra il 402 e il 395 a.C.), infine il Trapezitico e l’Eginetico (di datazione incerta, ma sempre di carattere giudiziario); tali orazioni sono importanti, fra l’altro, per ricostruire alcuni dei quadri storici o sociali più complessi dell’Atene a cavallo fra V e IV secolo a.C. Nel corpus isocrateo sono inoltre comprese 4 esercitazioni retoriche alla maniera di Gorgia (Elena, Busiride, Contro i sofisti, Antidosi), cioè tese a una pura esemplificazione delle potenzialità insite nell’impiego dei mezzi retorici; di particolare rilievo l’orazione Contro i sofisti, che gli studiosi tendono a considerare un autentico manifesto della scuola fondata da Isocrate nel 388 a.C.: contro il relativismo e il convenzionalismo etico che, secondo la più fortunata linea della sofistica, costituiva il fondamento della pratica retorica, Isocrate sostiene che l’oratoria possa rappresentare una sorta di summa dell’educazione tradizionale greca, ponendosi come valida alternativa alla stessa filosofia.

Ma la fama di Isocrate è legata soprattutto alle undici orazioni di carattere politico, e affidate a una comunicazione che certo non fu orale, bensì scritta: esse erano destinate cioè a circolare in forma ‘pamphlettistica’, e a prendere posizione in questo modo nel dibattito che impegnò gli intellettuali attici, dopo la crisi del 404-403 a.C. (sconfitta nella guerra contro Sparta e restaurazione democratica dopo il golpe oligarchico dei Trenta Tiranni), sulle sorti di Atene e della Grecia intera. Convinto sostenitore dell’unità panellenica contro un nemico che a lungo Isocrate individuò – secondo tradizione – nel Barbaro persiano, l’oratore, con il Panegirico del 380 a.C., invitò Atene ad assumere nuovamente il ruolo imperialistico che le era stato proprio durante il periodo pericleo della Lega Delio-Attica (rifondata, ma con scarsa fortuna, nel 386 a.C.); l’idea di ‘democrazia’ ateniese che emerge da questo e dagli altri scritti isocratei rimanda alla tradizione moderata che fu della classe dirigente pre-periclea (Milziade, Temistocle, Cimone, e in parte lo stesso Pericle, che per analoghe ragioni riscosse la simpatia del filo-oligarchico Tucidide). Si trattava evidentemente di una concezione anacronistica, che inizia a scricchiolare durante il periodo della cosiddetta egemonia di Tebe (Isocrate se ne occupa nel Plataico e nell’Archidamo), sicché non stupisce che l’oratore, sempre alla ricerca di un possibile Stato-guida per la nazione ellenica, abbia progressivamente spostato il suo interesse verso tiranni moderati o signori locali (per esempio nell’orazione A Nicocle del 374 a.C.). È ancora un’Atene idealizzata e moderatamente democratica quella che torna ad essere protagonista nelle più note delle pubblicazioni isocratee, l’Areopagitico (del 357 o del 354 a.C.) e il Panatenaico (scritto fra il 342 e il 339 a.C.). Isocrate, in ogni caso, guarda con estremo favore all’emergere della potenza macedone (in questo senso va il Filippo del 346 a.C.), soprattutto nella consueta prospettiva di antagonismo verso i Persiani, e anche per questa via si conferma quell’ideale opposizione rispetto all’antimacedone Demostene, che divenne un luogo comune sul piano delle forme d’arte e dello stile oratorio.

Considerato sin dall’antichità uno dei più grandi oratori di tutti i tempi, Isocrate è considerato il più alto esito della tradizione risalente a Gorgia, ossia di un’oratoria che da una lato intende recuperare (anche grazie alla minuziosa cura formale) l’autorità e la prestigiosa funzione che fu propria della poesia, dall’altra vuole porsi quale disciplina principe in un’ideale curriculum umanistico che possa assorbire – in un’ipotetica cultura ‘enciclopedica’ – ogni altro aspetto del sapere; ed è una concezione della retorica, questa, destinata a dominare pressoché senza contrasti per tutta la latinità e per buona parte del Medioevo.

[Federico Condello]