Demostene
(gr. Demosthénes, lat. Demosthenes)

Biografia e attività politica
Figlio di un ricco imprenditore del demo attico di Peània, Demostene nasce ad Atene nel 384 a.C.; quando, nel 377 a.C., rimane orfano del padre (suo omonimo), è affidato, insieme alla sorella, ai cugini Àfobo e Demofonte e all’amico di famiglia Terìppide, che in breve tempo dilapidano il suo patrimonio. Giunto alla maggiore età, il ventenne Demostene intenta la sua prima causa proprio contro Afobo (e poco dopo contro Onètore, cognato di Afobo, che con loschi maneggi cercava di favorire quest'ultimo nella vicenda processuale), riuscendo alla fine vincitore, ma recuperando solo una piccola parte dell’eredità paterna.

Il giovane Demostene inizia così, seguendo le istruzioni di Iseo, allievo di Isocrate, la carriera di logografo (scrittore di discorsi giudiziari su commissione) e di maestro di retorica: a questo periodo e agli anni di poco successivi risale un cospicuo gruppo delle orazioni comprese nel suo corpus (per l’esattezza 33, di cui molte però di dubbia autenticità). Intanto, a partire dal 355 a.C. ca., egli si avvicina al parte politica di Eubùlo, avversario di Aristofonte nel difficile periodo che fa seguito alla cosiddetta ‘guerra sociale’ (357-355 a.C.), risoltasi in un disastro per Atene. Accomuna Demostene ad Eubulo il progetto di una radicale (e potenzialmente impopolare) riforma economica, che possa aiutare Atene a risollevarsi dal momento di gravi difficoltà interne ed esterne: risalgono a questi anni (355-353 a.C.) alcune orazioni di carattere politico, che coinvolgono personaggi in vario modo afferenti all’entourage di Aristofonte (fra cui l’attidografo [scrittore di storia e antichità attiche] Androzione).

Negli anni immediatamente successivi, Demostene si distacca da Eubulo, convinto che Atene potesse tornare a giocare un importante ruolo sullo scacchiere internazionale: sono del biennio 352-351 le prime orazioni che intervengono su scottanti questioni di politica estera, e che forse lasciano già intravedere un radicale contrasto fra la linea demostenica e il progetto di espansione politica avviato dalla Macedonia di Filippo II (che si trovava formalmente in stato di guerra con Atene sin dal 357 a.C., a séguito dell’occupazione di Anfipoli). Nel 349 o 348 a.C., mentre Filippo, proseguendo la sua avanzata, si avvia conquistare la città di Olinto nella Calcidica, Demostene pronuncia la prima Filippica, con la quale indica chiaramente nel sovrano macedone il più serio pericolo per Atene e per la Grecia tutta; fra la fine del 349 e l’inizio del 348 a.C. identico tema hanno le tre Olintiache, di poco anteriore alla caduta della città calcidica.

Nel 346 a.C. Demostene partecipa, insieme al politico Filòcrate e all’oratore Èschine (suo futuro rivale), alla delegazione ateniese che in Macedonia si occupa di trattare la pace con Filippo II. Mentre Eschine e Filocrate sono accesi sostenitori dell’alleanza con i macedoni, Demostene – che pure parlò a favore della pace in un discorso del 346 a.C., quando Filippo già aveva occupato la Focide – intende soltanto rimandare lo scontro; all’interno di Atene si fronteggiano ormai due parti politiche, quella dei filomacedoni e quella degli antimacedoni, per ora minoritaria ma validamente capeggiata da Demostene, che sa ben muoversi anche sul piano internazionale. Fra il 344 e il 341 l’oratore si scaglia più volte sia contro Eschine (accusato di corruzione per i fatti riguardanti l’ambasceria del 346 a.C.), sia contro lo stesso Filippo (vengono pronunciate le Filippiche seconda e terza, nonché l'orazione Sui fatti del Chersoneso).

Nel frattempo Demostene si muove sul piano panellenico promuovendo la formazione di una lega che si opponga unanime ai Macedoni, che nel frattempo erano avanzati nel Chersoneso e stavano attaccando la città di Perinto. Dopo diversi scontri minori, alla battaglia campale si giunge nell’agosto del 338, a Cheronea: Demostene è riuscito a riunire in una sola lega l’Eubea, Megara, l’Acaia, l’Acarnania, Corinto, Corcira, Tebe e altre poleis ancora, ma i Macedoni hanno la meglio, e impongono dure condizioni di pace ad Atene.

Nonostante la sconfitta Demostene continua a godere del favore popolare, e solo nel 336 a.C., quando il buleuta [membro della Bulè ateniese] Ctesifonte propone che a Demostene sia concessa una corona aurea per i meriti nei confronti della città, i suoi avversari si oppongono, ed Eschine riesce a far bloccare la proposta. Nel frattempo Filippo II muore e gli succede il figlio Alessandro: le dure reazioni di quest’ultimo agli sporadici tentativi di rivolta greca (Tebe è rasa al suolo, Sparta gravemente sconfitta) avevano ormai del tutto allontanato le speranze di Demostene. Nel 330 a.C., quando il processo del 336 può essere ripreso ed Eschine formalizza la sua accusa nell’orazione Contro Ctesifonte, Demostene risponde con quello che è considerato sin da età antica il suo capolavoro, il discorso Per la corona: una lunga panoramica retrospettiva in difesa delle proprie scelte politiche. Eschine, sconfitto, è costretto a ritirarsi a Rodi.

Solo sei anni dopo, nel 324 a.C., Demostene viene però travolto da uno scandalo politico che gli sarà fatale: quando il tesoriere di Alessandro Magno, Àrpalo, trova rifugio ad Atene carico di ricchezze sottratte alla corte macedone, il sovrano chiede l’immediata consegna del fuggitivo e del bottino; Arpalo viene lasciato andare senza il denaro, nell’intenzione di ottemperare almeno alla più importante delle richieste di Alessandro: ma al momento della consegna, si scopre un ammanco di ben 350 talenti (una cifra enorme), di cui viene incriminato, fra gli altri, Demostene. Processato e condannato, l’oratore fugge a Egina e quindi a Trezene, ma già poco dopo (nel giugno del 323 a.C.) può far ritorno ad Atene, quando si sparge la notizia della morte di Alessandro.

La città spera in una riscossa e Demostene si impegna con la consueta perizia politica e diplomatica: ma anche questa volta le forze macedoni guidate da Antìpatro risultano soverchianti e Atene, nell’estate del 322, viene sconfitta sia per terra sia per mare. L’oratore è raggiunto questa volta da una condanna a morte, e durante un disperato tentativo di fuga, per non cadere nelle mani di Antipatro, si dà volontariamente la morte; è l’ottobre dello stesso 322 a.C.

Opere
Considerato per tutta l’antichità come l’esito più alto e compiuto dell’oratoria attica, il corpus demostenico è stato progressivamente accresciuto di materiale spurio, sulla cui esatta origine molto si è discusso e si discute fra gli studiosi: esso comprende 61 discorsi (in realtà 60 più una falsa ‘lettera di Filippo’ rubricata come Orazione 12), 56 Proemi oratori e 6 lettere.

I discorsi veri e propri si distinguono nei seguenti sottogruppi, corrispondenti ai tre grandi generi oratori (o, se si vuole, contesti istituzionali) dell’attività demostenica:

1) Demegorìe, ossia discorsi assembleari di ovvio impatto politico: sono i discorsi 1-17; comprendono le orazioni Sulle simmorie (354 a.C.), Per i Megalopolitani (353 a.C.), Per la libertà dei Rodiesi (351 a.C.), Sulla Pace (346 a.C.), Su Alonneso (343/342 a.C.), Sui fatti del Chersoneso (341 a.C.), Sul trattato con Alessandro (336/335 a.C.), Sull’ordinamento dello Stato (data incerta), oltre alla Risposta alla lettera di Filippo (340/339 a.C.) e naturalmente alle tre Olintiache (349/348 a.C.) e alle quattro Filippiche (rispettivamente 351, 344, 341 a.C. per le prime tre: di datazione incerta, e di autenticità non di rado disputata la quarta).

2) Discorsi giudiziari per cause di carattere pubblico e di forte interesse politico (i cosiddetti demósioi [lógoi]): sono le orazioni 18-26; esse comprendono: Sulla falsa ambasceria (343 a.C.), Contro Androzione (355/354 a.C.), Contro Leptine (355/354 a.C.), Contro Timocrate (353/352 a.C.), Contro Aristocrate (352 a.C.), Contro Midia (347 a.C.), Sulla corona (330 a.C.), Contro Aristogitone 1 e 2 (325/324 a.C.).

3) Discorsi giudiziari per cause di carattere privato: sono le orazioni 27-59, di cui ben cinque (27-31) riguardano la causa intentata contro i tutori.

A queste vanno aggiunte, oltre alla citata Lettera di Filippo, l’orazione 60 (l’Epitafio per i caduti di Cheronea, ritenuto spesso non autentico) e l’orazione 61 (il cosiddetto Erotico: l’encomio, in forma epistolare, di un giovane grazioso e piacente; non si nutrono dubbi sul suo carattere di falso). Senz’altro spuria è anche la Risposta alla lettera di Filippo: il commento a Demostene di un antico e autorevole dotto alessandrino (Didimo, I a.C.-I d.C.) attesta che si tratta in realtà di un brano estrapolato dai Philippiká dello storico filomacedone Anassimene di Lampsaco (seconda metà del IV secolo a.C.). Discussa anche la paternità della demegoria Sul trattato con Alessandro (ne dubitavano già gli antichi), mentre la quarta Filippica potrebbe essere un centone di brani demostenici autentici, messo insieme dallo stesso oratore (come qualcuno ha ipotizzato) o da un redattore successivo. Probabilmente falsa, ma importante per la storia del costume antico, è l’orazione giudiziaria Contro Neera, che si attribuisce comunque a un contemporaneo di Demostene.

Si ritengono per lo più false le sei lettere (che si immaginano tutte, tranne la quinta, composte durante l’esilio), mentre le questioni d’autenticità poste dai Proemi si inseriscono in una più ampia problematica relativa alle tecniche editoriali utilizzate da Demostene: se, come qualcuno ritiene, i discorsi effettivamente ‘pubblicati’ erano rifacimenti a posteriori di orazioni affidate ancora in larga parte all’improvvisazione, i Proemi potrebbero spiegarsi – almeno astrattamente – proprio nel contesto di questa ipotetica ‘genesi a strati’, come testimonianza di una fase preparatoria di discorsi che non hanno conosciuto in séguito le riscritture e le integrazioni della fase finale, le cure editoriali in vista della ‘pubblicazione’. Non gode più oggi di grande fortuna la teoria cosiddetta ‘pamphlettistica’, dominante al principio del Novecento: secondo tale ipotesi, le demegorie di Demostene sarebbero null’altro che ‘discorsi fittizi’, mai pronunciati dinanzi all’assemblea, e oggetto di esclusiva circolazione libraria, come i discorsi di Isocrate.

Fortuna

Nell’antichità Demostene è stato presto assunto come principe indiscusso dell’oratoria attica: attraverso le sistemazioni storiche ed estetiche fornite dai retori ellenistici, da Cicerone, da Dionigi di Alicarnasso e da Quintiliano, egli è divenuto l’emblema dell’oratoria sublime, vigorosa, impetuosa, ricca di pathos e di forza persuasiva, fondata sulla trascinante alternanza dei registri stilistici e sull’assoluta padronanza degli effetti retorici; giunto al culmine della cura formale già perfezionata dai suoi predecessori, Demostene è elogiato altresì per le libertà e le licenze che la sua stessa veemenza concede e legittima (ai moderni spetta la scoperta delle regole ferree che reggono tale apparente passionalità: accanto a una certa libertà nel trattamento ritmico delle frasi, che ne fa in effetti un modello di ‘spontaneità’ rispetto ad Isocrate, l’assoluto rispetto della norma che vieta la successione di tre o più sillabe brevi).

Di contro all’unanime giudizio estetico, condiviso senza eccezioni anche dai moderni, sta l’ambiguo e assai variabile giudizio storico-politico: la figura imponente di Demostene si è prestata alle più diverse valutazioni, meritando talora il titolo di estremo paladino della libertà greca, talaltra la taccia di irresponsabile e anacronistico idealista. La ricerca odierna si sforza piuttosto di riconsiderare l’operato del politico in un quadro prettamente storico, valutandone con cautela il coerente tradizionalismo e prestando talora attenzione ad aspetti poco considerati della sua condotta politica (per esempio la non sporadica inclinazione a cercare un’alleanza con la Persia), che appare per molti aspetti assai lucida e pragmatica, nonostante l’insuccesso.

[Federico Condello]