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Pirandello, un autore freudiano che non ha mai letto Freud


L’interpretazione di Cesare Musatti, padre della psicoanalisi italiana


Cesare Musatti, il padre della psicoanalisi italiana, ha scritto pagine acute sui caratteri comuni tra la concezione dell’uomo espressa nelle opere di Pirandello e la psicoanalisi. Ne proponiamo alcuni stralci particolarmente significativi.
«Io sono dunque uno psicologo, divenuto poi anche psicoanalista, formatosi nel periodo fra le due guerre. In quell’epoca, sul piano culturale, ed in ispecie in campo teatrale, l’opera artistica di Luigi Pirandello si presentava con un forte spicco sullo sfondo della piuttosto piatta cultura italiana. E anch’io, come molti altri, ne rimasi affascinato. Ma non affascinato soltanto, come può accadere di fronte a qualsiasi opera d’arte; anche turbato per le connessioni che non potevano sfuggirmi con quella che era la mia attività professionale e scientifica. Non potevo infatti non avvertire una certa parentela fra il modo come Pirandello presentava i suoi personaggi, e quegli argomenti specifici che io nel mio lavoro, sopra tutto come psicoanalista, andavo trovando o cercando.
«Volendo semplificare, posso dire che mentre leggevo o assistevo ai drammi di Pirandello mi pareva di respirare aria di psicoanalisi...
«[Nei] Sei personaggi, il Padre, poco prima dell’Intervallo [dice]: “Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi – veda – si crede ‘uno’, ma non è vero: è ‘tanti’, signore, ‘tanti’, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: ‘uno’ con questo, ‘uno’ con quello – diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’essere ‘uno per tutti’, e sempre ‘questo uno’ che ci crediamo, in ogni nostro atto”. [...]
«Il problema della identità personale ha occupato la mente e la fantasia di Pirandello sotto forme molteplici. Proprio la continua trasformazione della persona rende il quesito del riconoscimento della identità sempre problematico.
«Su questo motivo si fonda Come tu mi vuoi, composto cinquant’anni fa e in qualche modo indirettamente ispirato da una vicenda che aveva appassionato e diviso in quel tempo l’Italia intera in opposte fazioni: la vicenda Bruneri-Canella, che ormai soltanto le persone molto anziane ricordano. [...]
«Con mano leggera, Pirandello riprodusse, in Come tu mi vuoi, il dramma del dubbio sulla identità di una persona, rimasta anche essa sperduta durante la guerra del ’15-18. Ma ne fece un personaggio femminile, interpretato da Marta Abba: che invece di lottare per una identità posticcia, rifiuta la personalità che le si vuol affibbiare e rientra nell’anonimo ambiente caotico da cui l’avevano tratta fuori, per affibbiarle una personalità d’accatto.
«Se la concezione dell’identità psicologica personale risale in definitiva ad Aristotele e ad ogni successiva idea di un’anima, sostanza semplice, stabile, supporto e sostegno di tutta intera la nostra vita, dove le contraddizioni sono dovute a fattori esteriori, i quali in realtà non intaccano la essenza della persona, dobbiamo dire che in Pirandello c’è l’intuizione che le basi stesse della psicologia tradizionale debbano essere abbandonate. [...]
«Ma questo ci porta ad un’altra tematica fondamentale per Pirandello, e che ancora lo avvicina a determinati punti di vista della moderna psicologia del profondo: il problema della verità storica.
«Già nel 1917 in Così è (se vi pare) sono presentate due verità contrapposte che si escludono l’una dall’altra. Il tono è umoristico, anche se la materia è tragica. Certo la gente di fronte alla quale le due verità soggettive sono prospettate, l’ambiente di provincia pettegolo e curioso che fa da sfondo al dramma, vuole una verità, che sia una sola ed unica verità. Ma Pirandello non accontenta la curiosità di quella gente, e neppure quella del pubblico, lasciando invece che permangano due verità opposte e distinte: le quali possono coesistere, soltanto perché sono verità soggettive, o modi personali di vedere le cose.
«Questa contrapposizione alla verità storica di un’altra verità soggettiva, psicologica, per cui nella Favola del figlio cambiato (che riecheggia La vida es sueño di Calderón de la Barca) il principe dice: “Niente è vero – e vero può esser tutto – Basta crederlo per un momento – e poi non più, e poi di nuovo – e poi sempre; o per sempre mai più”: questa contrapposizione dunque è quella con cui hanno a che fare ogni giorno gli psicoanalisti con i loro pazienti.
«Direi che l’analista continuamente entra ed esce dalla verità soggettiva del paziente: è con lui solidale e partecipe nelle sue fantasie, nei suoi sogni, nei suoi deliri; ma se ne sa insieme ad ogni momento ritrarre. [...]
«In Come tu mi vuoi, la Ignota esclama: “Consolati, nessuno veramente mentisce del tutto. Perché ogni menzogna costruita è costruita in base ad un granello di verità, che dà l’avvio alla menzogna”.
«Ma qui sembra proprio di sentir parlare uno psicoanalista: il quale non si preoccupa del fatto che le comunicazioni del proprio paziente siano menzognere, perché anche in tal modo sono rivelazioni, per chi abbia fiuto, di una sottostante verità, generatrice della stessa menzogna. Allo stesso modo, ancora nel Come tu mi vuoi, è assegnata alla ragione il compito di rinserrare la realtà, che è viva, cangiante e variabile, entro i suoi schemi rigidi, quando l’Ignota esclama: “Guai se non ci fosse la ragione a far da camicia di forza!” Tutto il problema delle razionalizzazioni, che alterano il contenuto della vita interiore, di per sé evanescente e contraddittoria, e con cui gli psicoterapeuti hanno costantemente a che fare, sembra essere decisamente espresso da queste poche parole, che della ragione fanno la ferrea gabbia che trattiene e rinserra il mobile contenuto del pensiero libero. [...]
«Anche nella follia, la realtà reale non è tutta abrogata dalla pura invenzione: ma insieme coabitano finzione e realtà. [...]
«La psicologia di Pirandello non è ovviamente la psicologia dell’una o dell’altra scuola analitica. Ma qualche cosa che – su basi artistiche, genialmente intuitive, talora anche per il gusto del paradosso – Pirandello si è guardato bene dallo sviluppare in forma sistematica facendone una dottrina, ma ha semplicemente usato per il nostro (e il suo) piacere, e per la fantasia di ognuno»
(Cesare Musatti, La struttura della persona in Pirandello e la psicoanalisi).


Alcune opere che presentano punti di contatto con la psicoanalisi


La perdita dell’identità: Il fu Mattia Pascal (1904)

Il titolo mette in luce la particolare e assurda situazione esistenziale del protagonista, che ha subito un doppio scacco esistenziale e si è ridotto a definire la propria identità in modo paradossale rispetto alla propria morte inventata.
La diversità di Mattia Pascal si materializza fin dall’inzio del romanzo in un difetto fisico, lo strabismo, che rappresenta l’anticonvenzionalità del suo modo di guardare il mondo.
Mattia è un forestiero della vita, sente le convenzioni sociali come causa della sua mancata realizzazione; come Adriano Meis, si trova di fronte a un fallimento, poiché senza un riconoscimento sociale non può dare senso alla propria vita attraverso l’amore per Adriana Paleari; fallisce, infine, il tentativo di ritornare alla sua vita precedente.
Il finale è paradossale ed è anticipato dal titolo: l’unica identità che rimane è quella del morto sopravvissuto a se stesso (il fu…).
Il protagonista coincide con il narratore, scrive la sua vita invece di viverla.
Il romanzo è ricco di scene e di battute, con ampie pagine di riflessioni filosofiche; nello stile predomina l’ironia e l’umorismo (il sentimento del contrario).
La crisi di identità del personaggio si riflette nella novità della struttura del romanzo: dissoluzione dell’identità del personaggio, disarticolazione dell’ordine cronologico, contaminazione del tempo (il presente è filtrato attraverso il passato e viceversa), contaminazione di stile narrativo, saggistico, teatrale.

I molti aspetti della verità: Così è (se vi pare) (1917)

Il dramma Così è (se vi pare) rielabora la novella La signora Frola e il signor Ponza suo genero. I due protagonisti sono portatori di due verità contrapposte e inconciliabili, e che tuttavia possono coesistere in quanto sono due verità soggettive, due modi personali di vedere le cose.
Il tono del testo è umoristico, secondo la concezione pirandelliana dell’umorismo come «sentimento del contrario».

La pazzia: Enrico IV (1921)

Pirandello è uomo di teatro e nei suoi drammi ha rappresentato la pazzia come rifiuto della gabbia delle convenzioni sociali, la crisi dell’identità del soggetto e dell’univocità del reale, la caduta dei valori, l’incomunicabilità. Ha spesso messo in scena “il teatro nel teatro”, smascherando la stessa convenzione teatrale.
Ciò accade anche nell’Enrico IV, dal nome dell’imperatore medievale in cui il protagonista si è immedesimato a causa di un’amnesia provocata da un incidente, continuando nella finzione anche dopo aver riacquistato la coscienza di sé. Agli amici, che con la consulenza di un dottore psichiatra, vorrebbero che egli ritrovasse la salute mentale e la sua reale identità, Enrico IV denuncia la loro cecità, la loro incapacità di rendersi conto di vivere prigionieri di convenzioni, ruoli, “maschere” che li limitano, li condizionano e impediscono di essere veramente se stessi e di essere conosciuti come tali: «Bisognerebbe vedere poi che cosa invece par vero a questi centomila altri che non sono detti pazzi, e che spettacolo danno dei loro accordi, fiori di logica! Io so che a me, bambini, pareva vera la luna nel pozzo. E quante cose mi parevano vere! E credevo a tutte quelle che mi dicevano gli altri ed ero beato! Perché guaj, guaj se non vi tenete più forte a ciò che vi par vero oggi, ciò che vi parrà vero domani, anche se sarà l’opposto di ciò che vi pareva vero jeri! Guaj se vi affondaste come me a considerare questa cosa orribile, che fa veramente impazzire: che se siete accanto a un altro, e gli guardate negli occhi – come io guardavo un giorno certi occhi – potete figurarvi come un mendico davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell’altro suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca…» (atto II).