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La riflessione di Freud sull’arte

Freud diffidava dagli artisti contemporanei, soprattutto da quelli che, infatuati dalle sue teorie, volevano dirigere la loro creatività nei meandri della vita psichica, tentando un fertile connubio fra psicoanalisi e arte.

Per un ampliamento o una diramazione della ricerca c’è da tenere presente che spunti interessanti per un collegamento psicoanalisi-arte sono individuabili nelle opere di Jung, lo studioso svizzero che, prima intimo nella ristretta cerchia freudiana, poi, imboccando una strada tutta sua, è stato un profondo innovatore della teoria. Concetti basilari come sessualità, inconscio, simbolo vengono pressoché ribaltati. In questo campo soprattutto, quello dei simboli e della loro rappresentazione, si possono trovare materiali idonei al percorso che coinvolge l’area artistica.


Leonardo come “caso clinico”

Freud in alcuni suoi scritti si occupa di opere artistiche. Due grandi artisti del Rinascimento, Michelangelo e Leonardo, forniscono con le loro opere campo d’indagine alla sua analisi. La grandiosa e dominante figura del Mosè, fondatore – secondo il medico viennese – del monoteismo giudaico-cristiano, è rivelativa e racchiude in sé notevoli valenze simboliche.
Nell’ambiguità di certe figure, Leonardo rispecchierebbe la sua ascendenza familiare, i traumi della sua infanzia – era figlio naturale, vissuto solo con la madre fino a cinque anni e solo a quell’età accettato nella famiglia paterna - e il complesso di Edipo non risolto.

Freud, con l’opera Leonardo, del 1910, che egli considerava tra le sue meglio riuscite, riesamina sulla scorta di accurate indagini testuali (il Codice Atlantico, per esempio) e delle notizie dei biografi la personalità dell’artista, per scandagliare le ragioni profonde di certe sue caratteristiche e peculiarità. Freud vuole analizzare in questo eccezionale uomo del Rinascimento la singolare «atrofia sessuale», la dolcezza dei ritratti e la loro marcata femminilizzazione, gli esasperanti tempi lunghi delle sue opere, la loro inconcludenza e la progressiva disaffezione dalla pittura in età matura mentre si accentuava l’insaziabile curiosità scientifica, l’ambiguo rapporto – una specie di omosessualità sublimata – con gli allievi... Il testo, costruito con grande erudizione, ma anche con un suo pathos narrativo – tanto che lo scrittore Stefan Zweig lo definisce «emozionante come una novella» – si dipana dall’unico ricordo che Leonardo ci ha lasciato della sua infanzia. È una spia così pregnante che l’analisi parte proprio da lì, con tutte le possibili implicazioni.

«... ne la mia prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra.»