Filosofia

Storia dell'arte

L’espressionismo
Futurismo
Dadaismo e postdadaismo

Bibliografia
Link













Il postdadaismo berlinese: i percorsi di Georg Grosz e John Heartfield

Berlino è la città europea che in modo più lampante manifesta nei primi anni della repubblica di Weimar i problemi della nazione sconfitta, la fragilità del nuovo regime, la rabbia, la corruzione, l’antagonismo fra le classi, le azioni di guerriglia dei rivoluzionari spartachisti armati e la feroce caccia all’uomo dei corpi franchi, i Freie Korps, la miseria materiale e morale di molti, i contrasti stridenti fra realtà inconciliabili.


Georg Grosz

Nelle opere di Georg Grosz (Berlino 1893-1959) tutto ciò è presente. L’artista si forma accademicamente, ma avverte che il bel disegno per i suoi intenti non serve a niente. La matita, il suo strumento di denuncia e derisione, deve incidere «come un coltello»; così scrive nell’Autobiografia:

«cominciai a copiare nelle latrine i disegni che mi parevano espressione diretta e traduzione concisa di forti sensazioni. Anche i disegni infantili mi stimolavano per la loro univocità…».

Nella sua prima produzione grafica i soggetti sono scene di caffè, di strada, di varietà, di ammazzamenti (sia in guerra che nel caos della metropoli); nel dopoguerra i suoi soggetti preferiti diventano tipi umani estremi, presentati con efficacissima sgradevolezza: sono reduci scheletriti e storpiati, cocottes oscenamente denudate, capitalisti vogliosi dalla nuca lardosa e dagli occhi porcini, ufficiali e preti rigidi come marionette nelle loro divise. Il grottesco e il satirico sono i registri costanti di tutta la sua carriera. Solo nei tardi anni Venti si dedica alla pittura a olio, mantenendo la stessa efficacia espressionistica dei disegni.

Le colonne della società (1926, Berlino, Nationalgalerie der Statliche Museum): il titolo è sarcastico, in realtà l’anarchico Grosz prende di mira i nemici. Ci sono soldati con spade insanguinate, un giudice togato che gesticola, in primo piano i vertici del capitalismo che sottomettono il popolo con tre strumenti: uno ha la spada, l’altro impugna un giornale, il terzo una bandiera, simbolo di nazionalismo. Come copricapo rivelano quello che hanno dentro la testa: violenza e schifezza. I loro elmi sono un orinale, una statuetta puntuta, un mucchio di sterco fumante.


John Heartfield


Nasce a Berlino nel 1891. Il nome originario è Herzfelde, ma gli artisti dada mitizzano gli Usa e si anglicizzano il nome, anche per atteggiamento antinazionalistico. È amico di Grosz, tanto da firmare insieme sul foglio del dada berlinese col nome fuso di Groszfield. Passata l’ebbrezza dada dei primi anni Venti si differenzia dall’amico sia per tecnica espressiva che per collocazione politica. Assume con coerenza un ruolo di artista militante nelle file del partito comunista e elabora fotomontaggi politici per gli organi di stampa, in particolare per la rivista «AIZ». Fino a quando l’opposizione non verrà messa a tacere, Heartfield denuncerà l’incombente minaccia nazista con i suoi accuratissimi fotomontaggi diffusi sui giornali.

Heartfield forza il naturalismo insito nella fotografia, che viene trattata come object trouvé, quindi elaborata prima in camera oscura, poi ritagliata e infine ricomposta; ottiene così immagini degne di stare alla pari delle opere di artisti coevi di matrice espressionista, come Grosz, Beckmann o Dix. Fotomontaggi efficaci, più volte riprodotti per documentare quel periodo storico, sono per esempio quelli che mettono in parallelo la croce uncinata con una ruota di tortura medievale che strazia un uomo; il nazista Goering col volto espressionisticamente trasformato in belva, in veste di macellaio con mannaia; una testa completamente fasciata da testate di giornali manifesta l’accecamento che porta la stampa; una radiografia di Hitler con la colonna vertebrale costituita da una pila di soldi rivela il sostegno che riceve dal capitalismo.

Un precursore: Marcel Duchamp - Caratteri generali del dadaismo: il gruppo del Cabaret Voltaire