Balbettii di una lingua
Il primato della poesia
E il fiorentino vince
Le parole







Il primato della poesia
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Quanto ai numerosi gallicismi, è difficile stabilire per quale via siano penetrati; sappiamo che i Normanni hanno introdotto nell’Italia meridionale assise nel significato di «giudizio definitivo» (< fr. asseoir, «stabilire») e demanio (< fr. demaine < lat. dominium, cioè terra su cui si ha il dominio), che, non si sa come, nel XIX secolo assume il significato di «complesso dei beni appartenenti allo Stato». Altre possibilità di arricchire la lingua sono offerte dalle crociate, i commerci e la letteratura. Molte nuove parole riguardano l’ambito nobiliare-cavalleresco, come messere, dama, damigella, cavaliere, scudiere, addobbare (= «far cavaliere»); quello feudale, come reame e omaggio (dichiararsi omo, cioè vassallo), torneo e giostra; quello militare come foraggio, ostaggio, arnese, maglia, stendardo, e forse bandiera. Altri termini si riferiscono alla casa, come cuscino, loggia, sala; all’abbigliamento, come corsetto, gioiello, fermaglio; ai colori, come giallo e vermiglio. Sono francesismi mangiare, che si impone su manducare, e giardino (< franco gard, > fr. jardin), che significava «chiuso» e che quindi, nel significato attuale, viene probabilmente da hortum gardinum, cioè «giardino recintato». Al mondo cavalleresco ci riporta anche mancia (< fr. manche, it. manica), in origine il dono di una manica fatto da una dama a un cavaliere. I poemi epici introducono paladino e prence; i romanzi cavallereschi, avventura. Molti termini provenzali arrivano attraverso la poesia siciliana e toscana, come gioia, speranza, rimembranza, talvolta con slittamento semantico come nel caso di leggiadro che voleva dire frivolo e che assume valore positivo (fine, grazioso) solo negli stilnovisti.

La dominazione araba in Sicilia, durata due secoli e mezzo, l’importanza politica degli Arabi nel Mediterraneo e la preminenza che essi hanno avuto in molte scienze sono all’origine dei molti arabismi che risalgono a questo periodo. Se la parola matematica, attestata in Brunetto Latini, è un latinismo che proviene dal greco (mathematiké téchne, «arte di apprendere»), è araba invece molta della terminologia connessa con questa disciplina. Cifra (< ar. Sifr, «vuoto»), è calco di un termine usato dagli Indiani, da cui gli Arabi hanno mutuato anche i segni per indicare i numeri, che poi hanno diffuso nel mondo occidentale. Da sifr viene anche zero attraverso la forma latinizzata zephirum ad opera del matematico Leonardo Fibonacci (Liber Abbaci, «Il Libro dell’abbaco», 1202). Questo doppio esito dalla stessa parola si ritrova anche nell’inglese cipher che vuol dire sia cifra che zero. Algebra, che in arabo significava «scienza delle riduzioni» (in origine inteso come termine medico: riduzione al proprio posto delle ossa dislocate), viene introdotto dal Fibonacci e poi usato regolarmente da Galilei; algoritmo («procedimento di calcolo») risale al nome di un matematico arabo Al-Huwrizmi (nativo di Hwarizm, una regione dell’Asia). Tra i molti termini arrivati in Italia grazie agli Arabi, bisogna citare quelli astronomici, come zenit, auge (apogeo di un astro), e quelli marittimi, come libeccio, scirocco, gomena, ammiraglio, che prima significava «capo in generale» e poi «capo delle forze marittime». Da notare che darsena (Genova e Pisa) e arsenale (Venezia) vengono dallo stesso termine arabo dârsinâ che vuol dire «casa del mestiere» e in un secondo momento «luogo di costruzioni navali». Moltissime sono le voci commerciali, come magazzino, fondaco, dogana, gabella, carato, risma, e di prodotti fatti conoscere dagli Arabi come cotone, zafferano, arance, limoni, zibibbo. All’ambito della medicina appartengono il già ricordato taccuino, ma anche nuca (< ar. nuha, «midollo spinale») e sciroppo (< ar. sharub, «bevanda»), al settore dei giochi gli scacchi, antichissimo passatempo di origine indiana portato dagli Arabi in Occidente con un nome che viene dal persiano shah (= «re»), insieme a molta della terminologia relativa (scaccomatto, mossa decisiva che pone termine alla partita, significa in persiano «il re è morto»). La gamma dei colori, poi, si arricchisce con l’azzurro, sfumatura tra il celeste e il turchino, parola che viene anch’essa dal persiano. E per finire dobbiamo agli Arabi la parola assassino, che voleva dire «omicida su commissione».

 
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