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Primo Levi: Se questo è un uomo
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La testimonianza di Primo Levi: Se questo è un uomo (1958)


Lingua e stile: «Il linguaggio pacato e sobrio del testimone»

Nella scrittura di Primo Levi il problema stilistico è nettamente subordinato all’impegno di testimoniare, ovvero di comunicare in modo chiaro ed esplicito un’esperienza vissuta.
Nella stesura dell’opera l’autore intende porre il lettore di fronte a una serie di fatti, senza proporre giudizi precostituiti: egli racconta la verità e chi legge sarà posto in grado di formarsi un’opinione propria su ciò che ha significato la creazione del sistema del lager, un sistema scientifico messo in atto dal nazismo per lo sterminio degli ebrei.

Il suo modo di descrivere e di narrare cerca di essere sempre chiaro e diretto, la sintassi è breve e vi prevale la coordinazione; particolare attenzione viene data al linguaggio del lager, dove è stravolto anche il senso consueto delle parole. Tra le figure retoriche prevalenti l’ossimoro, le metafore e le analogie mettono in evidenza la dimensione tragica e inconcepibile, talvolta assurda e grottesca del lager; le interrogative retoriche, il discorso indiretto libero hanno la funzione di coinvolgere il lettore nella materia del libro.


Dalla pagina alla radio e al teatro

Se questo è un uomo è stato tradotto in moltissime lingue e ha avuto una grande diffusione internazionale. Levi è oggi considerato uno dei massimi autori del nostro Novecento letterario.
Così Levi ricorda un adattamento radiofonico realizzato negli anni Sessanta dalla Radio Canadese, che gli aveva inviato il copione e il nastro della registrazione chiedendogli un parere:

« Forse non avevo mai ricevuto un dono altrettanto gradito: non solo si trattava di un ottimo lavoro, ma, per me, di un’autentica rivelazione. Gli autori del copione, lontani nel tempo e nello spazio, ed estranei alla mia esperienza, avevano tratto dal libro tutto quello che io vi avevo rinchiuso, ed anche qualcosa in più: ... Avevano compreso assai bene quale importanza avesse avuto, nel campo, la mancanza di una comunicazione, esaltata dalla mancanza di una lingua comune, e su questo tema, il tema della Torre di Babele, della confusione dei linguaggi, avevano coraggiosamente impostato il loro lavoro»
(P. Levi, Nota a Se questo è un uomo - versione drammatica).

Levi stesso (insieme all’attore Pieralberto Marché) ha curato una trasposizione teatrale di Se questo è un uomo, messo in scena a Torino nel 1966:

« abbiamo cercato di dire tutto e di non strafare. La materia di cui disponevamo era già fin troppo scottante: si trattava di decanarla, di incanalarla, di trarne un significato civile ed universale, di guidare lo spettatore ad una conclusione, ad una sentenza, senza gridargliela negli orecchi, senza presentargliela già prefabbricata. Per questo, ad esempio, le SS non compaiono mai sulla scena; per questo abbiamo cercato gli episodi e gli aspetti marginali della vita del campo, i momenti di sollievo, di ripensamento, di sogno, di vacanza, ed abbiamo cercato di conservare, per ogni singolo personaggio, la sua carica umana originaria, anche se logorata dal conflitto permanente con l’ambiente selvaggio e disumano del campo»
(P. Levi, op. cit.).

Un altro testo teatrale di grande impegno ed efficacia è L’istruttoria, oratorio in 11 atti di Peter Weiss (1965), in cui vengono riproposti gli atti di un processo tenuto a Francoforte contro aguzzini nazisti di Auschwitz. Il drammaturgo tedesco ha costruito le battute del testo utilizzando esclusivamente le parole di testimoni, giudici, imputati.

Il dovere di non dimenticare

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