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L’allargamento a venticinque nella stampa italiana

Il giorno della svolta

di L. Pignataro, 1 Maggio 2004

Sotto il cielo nuvoloso di Dublino tutto è pronto per celebrare ufficialmente l’allargamento dell’Unione Europea: manca la Costituzione, non c’è neanche accordo sui meccanismi decisionali per arrivare ad una politica estera comune ma il significato di questa cerimonia non è solo simbolico. Da oggi l’Europa è il più grande e ricco blocco commerciale del mondo con i suoi 500 milioni di abitanti con una crescita del 20% della popolazione, il pil guadagna il 5% per toccare i 9.613 miliardi di euro, non troppo lontani dagli 11.000 degli Stati Uniti.
Una scommessa che vede per la prima volta insieme nella storia 25 stati dall’Atlantico al Baltico, opportunità di crescita e incognita al tempo stesso per le ripercussioni che molti temono sui territori meno sviluppati nei paesi che già ne fanno parte come il Mezzogiorno.
Un vantaggio i dieci nuovi soci europei lo incassano immediatamente, perché già con l’adesione ufficiale migliorano da oggi le condizioni di investimento straniere: lo rivela uno studio della Merrill Lynch dal quale emerge che qui il costo del lavoro è di 4 dollari l’ora mentre nella vicinia Germania siamo a 24. Le riforme adottate e le speranze di sviluppo hanno comunque fatto crescere l’indice Msci Emerging Europe del 55,5% in soli 12 mesi in termini di valore al gennaio 2004. E il margine di risalita è ancora molto ampio visto che la media di queste economie è al di sotto del 30% di quella dell’Unione mentre la loro collocazione geografica rappresenta una opportunità in più per la Russia dove la crisi del 1998 è ormai solo un lontano ricordo.
Naturalmente l’effetto statistico immediato è il peggioramento di alcuni indicatori economici, come quelli di auto possedute (si passa da 49 a 46 per ogni 100 abitanti), cellulari (da 78 a 74), computer (da 34 a 31), connessioni internet (da 36 a 33), disoccupazione (dall’8 al 9%) e occupazione (dal 64,3% al 62,9%). Cambia anche la distribuzione del lavoro: gli addetti nei servizi calano dal 71 al 68,7%, nell’industria resta sostanzialmente inviariata al 25% mentre il mutamento maggiore è nell’agricoltura dove si passa dal 4,1% al 5,4%.
Complessivamente i nuovi occupati sono 30 milioni e nella nuova Ue si raggiunge quota 170 milioni: un mercato del lavoro che però al momento resterà in parte diviso perché nonostante il principio della libera circolazione di uomini e merci all’interno dello spazio comune, il trattato di adesione ha lasciato ai Quindici la possibilità di limitare per sette anni l’ingresso di lavoratori provenienti dai nuovi stati. Un altolà ad almeno 250.000 persone disposte, secondo le stime più prudenti, a trasferirsi immediatamente.
Ed è questa la vera sfida economica che aspetta l’Unione dei 25 con quattro milioni di contadini in più ed una superficie agricola che passa da 130 a 170 milioni di ettari. In questo contesto la battaglia si giocherà sulla quantità, a cui sono maggiormente attenti paesi come l’Italia e la Francia preoccupati di tutelare le loro produzioni tipiche, e la quantità, garantita soprattutto dalla introduzione massiccia di organismi geneticamente modificati (ogm) che trova proprio tra i nuovi stati aderenti orecchie disposte ad ascoltare le ragioni delle multinazionali americane.
Nonostante i problemi l’Unione appare una scelta obbligata per tutti, un processo iniziato di fatto dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo per implosione dell’Unione Sovietica e chiusa tutto sommato abbastanza rapidamente se si pensa che per passare dai 6 stati fondatori del 1957 ai 15 di ieri ci sono voluti quarant’anni. Una scelta obbligata di fronte alla quale ci sono adesso la necessità di adottare la Costituzione europea, la possibilità di andare verso la politica estera comune e la revisione del patto di stabilità chiesta ormai a gran voce da tutti.

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