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L’allargamento a venticinque nella stampa italiana

Il messaggio del Papa per l’allargamento dell’Ue: «Non sia un’unità solo economica»

di O. Petrosillo, 3 Maggio 2004

Città del Vaticano - Si compiace il Papa per l’allargamento dell’unità europea a 25 paesi con l’ingresso di dieci nuovi Stati, ben otto appartenenti al blocco sovietico compresa la Polonia, ma continua a guardare nel ”motore” di questa Unione che non deve diventare assemblaggio. Se l’albero europeo espande i suoi rami non può farlo senza ampliare per ciò le sue radici. Che sono cristiane, insiste da anni il Pontefice. Ieri, il compiacimento per l’Europa ”a 25” non è avvenuto senza quel «riferimento a comuni valori umani e cristiani». Con voce squillante, ha rinnovato nel discorso prima del ”Regina caeli”, dopo aver ordinato 26 sacerdoti in S. Pietro, il suo martellante appello: «Solo un’Europa che non rimuova, ma riscopra le proprie radici cristiane potrà essere all’altezza delle grandi sfide del terzo millennio: la pace, il dialogo tra le culture e le religioni, la salvaguardia del creato».
Complemento di questo messaggio che unisce in prospettiva europea memoria del passato, consapevolezza del presente e proiezione al futuro è l’appello ribadito anche ieri: «L’unità dei popoli europei, se vuol essere duratura, non può essere solo economica e politica».
Quando si farà la storia dell’unificazione dell’Europa verrà ricordato papa Wojtyla come uno dei padri fondatori della nuova Europa. Il più grande della ”nuova fase”. Così come Adenauer, De Gasperi e Schuman lo furono della prima. Venticinque anni fa, l’unità dell’Europa era impensabile eppure - il 3 giugno 1979 a Gniezno in Polonia - il primo Papa slavo della storia, osava affermare che il senso della sua elezione era quello di mostrare «l’unità spirituale dei popoli dell’Europa», slavi compresi. Anche se, allora, la spaccatura di Yalta sembrava ineliminabile.
Allora Giovanni Paolo II, con la sua profezia, sbriciolò l’utopia (u-tòpos=non-luogo) rendendola realizzabile. Oggi, con la stessa lungimiranza, avverte che un albero sempre più gigantesco senza radici è destinato a non avere futuro, a rimanere alla resa dei conti: u-topico. Ieri, soddisfatto per questa «importante tappa della storia dell’Europa» con l’ingresso di dieci nazioni, pur precisando che esse «già per cultura e tradizioni erano e si sentivano europee» (tante volte lo ha detto per la sua Polonia), ha citato dal suo ampio volume di omelie europee quanto disse nel suo pellegrinaggio in Spagna al santuario di Compostella (con Roma e Gerusalemme una delle tre mete dei pellegrini europei fin dal Medioevo) e per giunta nel novembre 1982, quando il Muro non dava ancora segni di voler cadere: «L’anima dell’Europa resta anche oggi unita, perché fa riferimento a comuni valori umani e cristiani. La storia della formazione delle Nazioni europee cammina di pari passo con l’evangelizzazione. Pertanto, nonostante le crisi spirituali che hanno segnato la vita del Continente sino ai nostri giorni, la sua identità sarebbe incomprensibile senza il cristianesimo».
Giovanni Paolo II ha poi citato «i non pochi contributi al consolidamento della unità culturale e spirituale dell’Europa» compresi i due Sinodi del ’90 e del ’99, ribadendo che «la linfa vitale del Vangelo può assicurare all’Europa uno sviluppo coerente con la sua identità, nella libertà e nella solidarietà, nella giustizia e nella pace». Parlando ai suoi connazionali, il Pontefice ha ricordato che questo allargamento è «frutto degli eventi dell’89».

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