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L’allargamento a venticinque nella stampa italiana

Nasce a Dublino la Grande Europa
Dopo una notte di feste i 25 vessilli dei Paesi membri saranno issati nella capitale dell’Irlanda, presidente di turno dell’Ue. E’ il giorno del benvenuto ai dieci nuovi Stati dell’Unione, tra speranze e dubbi

di M. Concina, 1 Maggio 2004

Dublino - Migliore o peggiore, ancora non lo sa nessuno. Ma certo, dalla scorsa mezzanotte l'Europa non è più la stessa. Da quell'istante, l'Unione Europea tradizionale, "occidentale", fatta di Paesi omogenei che si conoscono gli uni con gli altri a menadito, si è fusa con quella che fino a pochi anni fa era il suo contrario, a lungo è stata il nemico, tuttora le somiglia solo alla lontana. Da quel minuto, precisato anni fa nei trattati d'adesione, dell'Unione fanno legalmente parte a tutti gli effetti i dieci nuovi Stati membri, in gran parte ex repubbliche sovietiche o ex satelliti dell'Urss.
Il Giorno dei benvenuti , l'hanno battezzato gli irlandesi. E' spettato a loro, in quanto presidenti di turno dell'Ue, ospitare la cerimonia d'ingresso. E organizzare festeggiamenti che riflettono l'ottimismo obbligatorio di tutti i leader europei e quello genuino di molti cittadini; ma che in parte servono a mascherare inquietudini ormai diffuse sull'esito di un esperimento geopolitico che non ha precedenti nella storia.
E' stata una notte sfavillante, quella di Dublino. Ricamata dai raggi potentissimi di 22 riflettori robotizzati, che ogni sei secondi dall'alba al tramonto disegnavano una nuova "scultura di luce", comandati via Internet da chiunque ne avesse voglia, in ogni parte del mondo. Disseminata di colori grazie all'imponente spettacolo di fuochi artificiali allestito a Sandymount Strand, sulla baia, dal Groupe F, i maestri riconosciuti dell'arte, gli stessi che illuminarono la Torre Eiffel al passaggio del millennio. Riscaldata, a Temple Bar e sui lungofiume, dalla birra e dalle risate che ne fanno una delle ultime città ricche e insieme allegre.
A metà pomeriggio di oggi, saranno riti più consueti, studiati nei particolari più minuti, a celebrare il gran giorno. Nel portico neoclassico dell'Áras an Uachtaráin, la residenza del presidente della Repubblica, prenderanno posto i 25 capi di Stato e di governo dell'Unione, quelli dei tre Paesi candidati, Romania, Bulgaria e Turchia, i vertici della Commissione e del Parlamento europeo. Seamus Heaney, premio Nobel per la letteratura, declamerà un poema che ha ideato per l'occasione. Ciascun dei 25 leader consegnerà a un cadetto del Military College la bandiera del suo Paese. I venticinque vessilli, più il cerchio di stelle dell'Unione, verranno issati tutti insieme alle 17.54 spaccate, mentre il coro canterà l'inno europeo, l' Ode alla gioia di Beethoven. Tre minuti ancora, e tutto sarà finito. Tutti insieme, ormai inseparabili o quasi, Paesi vecchi e nuovi partiranno per un'avventura imprevedibile.
Le parole dei governanti europei, ieri, trasudavano fiducia. Molti, però, badavano a sottolineare i benefici in arrivo per i loro Paesi, non per l'Unione tutta insieme. Così Tony Blair ha scritto sul Times che «l'allargamento potrà accelerare il cambiamento interno dell'Ue, dare una nuova spinta alle idee e alle priorità della Gran Bretagna». Mentre Gerhard Schroeder, al Bundestag, parlava di «missione storica» e di «sogno divenuto realtà», ma proclamava: «La Germania profitterà dell'allargamento più di tutti».
E' il sintomo dell'incertezza che serpeggia in una porzione notevole dell'opinione pubblica europea, ora che l'ampliamento dell'Unione è un fatto compiuto. Dubbiosi, spesso pessimisti, sono proprio quelli che nell'unificazione europea credono profondamente. Quelli che da decenni vedono nell'integrazione economica, nel mercato unico, solo una premessa per arrivare un giorno a un'Europa federale. E ora temono seriamente che un gruppo troppo numeroso di Paesi troppo diversi cancelli per sempre quella prospettiva; che un'Europa "più larga" si riveli il peggior nemico di un'Europa "più profonda". Nonostante l'apertura delle frontiere, gli scambi umani, il rimescolio di culture che affiancheranno inevitabilmente i traffici.
Esattamente per gli stessi motivi, esultano gli euro-scettici di ogni contrada, a cominciare naturalmente da quelli britannici e scandinavi. Tanto più che i Paesi dell'Europa che un tempo si chiamava orientale sono risolutamente filo-atlantici, decisi a resistere a ogni tentativo di Parigi, Berlino e ora anche di Madrid di contrapporre l'Ue agli Stati Uniti. Sarà ancora più difficile, adesso, elaborare e sostenere quella politica estera comune che rappresenta un obiettivo ufficialmente professato da decenni. I primi test della nuova Europa sono alle porte: a giorni la ripresa dei negoziati sulla costituzione, in autunno l'inizio di quelli sul bilancio. Si vedrà, allora, se alla festa è seguita un'indigestione.

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