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Costituzione Ue, la Polonia ora cerca un compromesso

L' impegno del premier Belka per superare il ruolo di «irriducibili»
A giugno il nuovo vertice per la Carta

di F. Venturini, 9 Maggio 2004

Varsavia - Finita la festa dell' allargamento e ripiegate le bandiere dei nostri nuovi compagni di strada, viene la parte alla quale siamo meno preparati: imparare a conoscere chi è entrato nel salotto buono dell' Unione europea, studiare le loro realtà interne, ascoltare i loro dirigenti come siamo abituati ad ascoltare quelli degli ex Quindici. Una buona occasione è stata offerta a Varsavia dalla riunione della "Commissione trilaterale", e dall' intervento a porte chiuse che vi ha tenuto il primo ministro Marek Belka. Capo del governo polacco Belka lo è esattamente da una settimana, e gli manca ancora la non facile ratifica del Parlamento. Ma l' instabile congiuntura politica interna non può far dimenticare che la Polonia è di gran lunga il più grande dei dieci nuovi soci europei, che i suoi quasi quaranta milioni di abitanti rappresentano oltre la metà del totale dei nuovi arrivati, che il suo prodotto interno lordo è il 41 per cento di quello complessivo dei Dieci. E che l' economia polacca, mentre tra i "vecchi" europei fa capolino la stagnazione, ha un tasso di crescita tra il 5 e il 6 per cento. Forte di questi dati e convinto che l' ingresso nell' Unione rappresenti «il momento più importante della nostra pur tormentata storia», Belka, esperto più di finanze che di politica, affronta quasi a malincuore il tema del Trattato costituzionale europeo e della sua possibile approvazione al vertice comunitario di giugno. Conferma che il compromesso è possibile e che Varsavia sta lavorando in questa direzione partendo da una «doppia maggioranza modificata» nelle decisioni del Consiglio, ma osserva anche che il metodo migliore per evitare «drammi dell' ultimo minuto» è semplicemente quello di negoziare preventivamente il consenso e di votare il meno possibile. Allineandosi al nuovo rapporto di forze creato dal cambio della guardia a Madrid, il premier afferma che il problema non è «Nizza o muerte», bensì di tutelare gli interessi nazionali polacchi prendendo atto che «l' Unione non può sopravvivere a troppi voti». Belka non lo dice, ma risulta palese che la Polonia è ben contenta di non figurare più, come è accaduto al vertice di dicembre, sul banco degli irriducibili accusati di far fallire il progetto di Costituzione. In parte perché Varsavia, non volendo rimanere isolata, ha moderato le sue richieste. E ancor di più perché lo spauracchio a cui ora tutti guardano si chiama referendum inglese, perché è l' opinione pubblica britannica coinvolta da Tony Blair, oggi, a essere vista come il pericolo numero uno nei confronti della Costituzione europea. Ammesso e quasi concesso che in giugno si arrivi a una decisione positiva, ognuno dei venticinque Paesi della Ue dovrà ratificare il nuovo Trattato: chi con un voto parlamentare e chi con un referendum. Ma se le insidie in sede di ratifica esistevano già da prima, la decisione di Blair di indire un referendum rende assai precarie le probabilità di un "yes" britannico. Con il risultato, in assenza di formidabili capriole diplomatico-giuridiche, di vanificare l' intero esercizio. Oltretutto l' esempio di Londra potrebbe risultare contagioso moltiplicando i rischi, per esempio in Francia dove una scelta non è stata ancora fatta. E anche Belka non se la sente di escludere il ricorso al referendum: «I giochi sono ancora aperti, ma comunque i polacchi non avrebbero motivo di votare contro se il Trattato corrispondesse agli accordi di adesione». Belka, che è stato responsabile economico nell' amministrazione provvisoria creata dalla coalizione in Iraq, ha invece le idee chiare sul tipo di Europa che la Polonia vuole. Sbaglia di grosso chi pensa che per noi l' adesione sia stata soltanto un buon affare o un veicolo di modernizzazione, spiega alla "Trilateral", perché quella che abbiamo in mente è l' Europa politica: «Per noi l' Europa politica è sempre stata una grande luce su una montagna, qualcosa che sembrava irraggiungibile, come l' America ma anche più dell' America». Beninteso, l' Europa non deve nascere in contrapposizione agli Usa «nemmeno in questo periodo in cui vediamo tanti errori», e anzi deve mostrarsi capace di assumere nuove responsabilità politiche e militari. Per questo «sbaglia chi negli Usa teme la difesa europea»: dovremmo sperare tutti insieme che certi ruoli «non pesino più sulle spalle di una sola nazione». A proposito, per ora i soldati polacchi resteranno in Iraq ma il loro numero non crescerà (il presidente Kwasniewski conferma, precisando che la missione durerà «non più del necessario»). La Polonia non più "esterna" all' Unione, insomma, ha cominciato a dire la sua. Il primo collaudo sarà il Trattato costituzionale. A giugno, e per fortuna di Varsavia soprattutto dopo giugno.

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