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La Costituzione dei venticinque nella stampa italiana

Un'alleanza di 18 paesi da opporre all'asse Parigi-Berlino

Blair cerca di imporre una visione dell'Ue fondata su liberismo, alleanza con gli Usa e identità nazionali. Ce la farà? La risposta arriverà a giugno. Da Bruxelles.

10 Maggio 2004

A Dublino, quando si è trattato di mettersi in posa per la storica foto di gruppo che celebrava l'allargamento dell'Ue, Tony Blair è stato l'ultimo ad arrivare, facendo aspettare diversi minuti i suoi colleghi europei. Non è la prima volta che accade e l'insofferenza di alcuni era palese. Da mesi molta stampa londinese specula sul premier che «ha perso la pazienza con l'Europa, come i suoi predecessori». La realtà è invece opposta: il primo ministro britannico è pronto per un'offensiva che non ha precedenti nella storia dei rapporti tra Londra e l'Unione.
Il primo segnale di questa mutata strategia è stato l'annuncio da parte di Blair di un referendum nel Regno Unito per l'approvazione della costituzione europea: all'apparenza un suicidio politico, visto che tutti i sondaggi lo danno ampiamente perdente; nella realtà è il primo mattone di un'Unione Europea «anglo-friendly», cioè in sintonia con i valori dei paesi anglosassoni, più flessibilità e meno burocrazia, più autonomie locali e meno centralismo.
Ma per far questo occorre sconfiggere l'egemonia franco-tedesca che può contare su fedelissimi alleati come Belgio, Lussemburgo, Austria, Grecia e, da qualche settimana, la Spagna di José Luis Zapatero. Negli ultimi due anni Blair è riuscito a tessere un'alleanza strategica, variabile e asimmetrica (parole chiave nel suo disegno) che coinvolge da una parte le socialdemocrazie scandinave, gelose come il Regno Unito delle proprie tradizioni civili, e dall'altra gli stati di forte vocazione atlantica (Italia, Paesi Bassi, Irlanda, Danimarca e Portogallo). Ora, con l'ingresso nell'Ue di 10 nuovi membri, Blair si ritrova con almeno nove alleati in più (l'unico dubbio riguarda la Slovenia, molto legata ad Austria e Germania).
Malgrado le loro deboli economie, questi paesi portano con sé energie imprenditoriali ed entusiasmi liberisti che, insieme all'orrore atavico per il dominio centralista (Bruxelles come nuova Mosca: la battutaccia di Jacques Chirac sui paesi dell'Est che avevano «perso un'ottima occasione per stare zitti» non è ancora stata digerita oltre l'ex cortina di ferro), li rendono naturali alleati della visione di Blair. Dopo la sconfitta elettorale di José María Aznar, poi, il premier britannico ha trovato un sostituto di grande valore nella Polonia di Aleksander Kwasniewski, che il 7 maggio ha concluso una trionfale visita di stato nel Regno Unito, ospite della Regina Elisabetta II a Buckingham Palace: è stata la prima visita ufficiale all'estero del giovane presidente polacco dopo l'allargamento, e voleva lanciare, nelle intenzioni di Blair e del suo nuovo «miglior amico europeo» Kwasniewski, un messaggio: il futuro dell'Europa comincia a Londra: il cerchio intorno ai paesi dell'asse franco-tedesco è chiuso.
« I nuovi paesi dell'Est sono gli alleati naturali di tutti noi che vogliamo contestare il centralismo della burocrazia europea e non intendono cedere a nessuno la propria sovranità nazionale» osserva Norman Davies, professore di storia dell'Europa moderna dell'Università di Oxford, che vive in Polonia e ascoltato consigliere di Tony Blair. E così, alla testa di un'alleanza informale e flessibile di 18 stati membri su 25, l'ex «allievo monello dell'Unione» si prepara per gli incontri del 17-18 giugno a Bruxelles per riaprire i negoziati sulla costituzione. Forte, tra l'altro, del fatto di non essere più in minoranza (in compagnia solo di Svezia e Danimarca) nei confronti dei paesi della zona euro, grazie all'allargamento.
Ma soprattutto dei dati record dell'economia britannica: disoccupazione al 4,3 per cento contro il 9,3 di Eurolandia; crescita pil del 3,5 per cento nel 2004 (e il Fondo monetario internazionale prevede per il 2005 addirittura il 4,3) contro uno stentato 0,9 per cento, pil più alto di quello francese ormai da due anni. Il disegno di Blair è quello di giungere a una forte revisione del testo costituzionale secondo linee guida così sintetizzate dagli ex ministri Peter Mandelson, Stephen Byers e Alan Milburn: «Conservare l'autonomia nazionale su fisco, programmazione economica, politiche di sicurezza sociale, politica estera, difesa, sistema giudiziario, immigrazione».
La sfida di Blair è dunque quella di convincere quanti sognano un'Europa centralizzata e politicamente unita che non hanno né i numeri né le forze per farla contro la sua alleanza. In più il premier britannico non smette di ricordare agli interlocutori europei che se non cedono alle sue richieste (così da garantire un trattato accettabile per l'elettorato britannico) potrebbe toccare loro di trattare con gli ancora più euroscettici tory di Michael Howard (vedere riquadro a pagina 117). E mandare così in crisi le istituzioni per anni. L'intervento a sorpresa di Valéry Giscard d'Estaing, che ha proposto l'inglese Chris Patten (attuale commissario per le relazioni esterne, tory di centro, ma vicino al laburista Blair e molto filoeuropeo), come successore di Romano Prodi alla presidenza della Commissione, potrebbe aiutare Blair.
C'è di più: sia Blair sia Howard sia Patten hanno letto con soddisfazione la relazione della Lehman Bros, appena pubblicata, dal titolo «Costruire una nuova Europa». La banca d'affari ipotizza tre diversi scenari per il futuro economico dell'Unione a 25. Nel caso che prevalga l'agenda di Lisbona, il patto siglato nel 2000 che prevede di trasformare entro il 2010 l'Ue nell'area economica più competitiva al mondo attraverso una liberalizzazione delle economie nazionali, in pratica il progetto di Blair, l'Europa conquisterebbe entro il 2020 tra il 35 e il 44 per cento dell'economia mondiale. Se l'agenda di Lisbona venisse attuata solo in parte si scenderebbe al 33 per cento. Se tutto rimanesse come oggi, secondo i desideri franco-tedeschi, si arriverebbe appena al 28 per cento. E se a metà giugno a Bruxelles non si raggiungesse un accordo soddisfacente? Allora, secondo indiscrezioni raccolte durante la visita a Londra del presidente Kwasniewski, la Polonia proporrebbe attraverso il premier Marek Belka un periodo di riflessione di 12-18 mesi, per giungere all'assestamento dell'Europa allargata prima di ricominciare le trattative.

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