Bembo contro tutti
La lingua della scienza
Le parole





Dal volgare alla Crusca (secoli XV-XVII)
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In questo periodo si riscontra nella lingua una forte influenza del latino, ad esempio nella predominanza di grafie di tipo etimologico (maximo, apto, invece di massimo e atto), nella frequenza dei costrutti con l’infinito e nella forte presenza del congiuntivo. D’altra parte cominciano ad affermarsi fenomeni che poi diventeranno stabili nella lingua: l’uso dei pronomi lui e lei come soggetti, la sostituzione sempre più frequente della posizione proclitica delle particelle atone (Vi priego invece di priegovi), la distinzione grafica tra u e v per evitare la confusione che nasce dal doppio valore vocalico e consonantico del segno latino u, che è stata proposta dall’Alberti ma si è affermata solo alla fine del Seicento.

Il lessico si nutre da diverse fonti: gli scrittori attingono ai trecentisti e al latino, i toscani anche all’uso vivo, mentre gli altri cercano di evitare i vocaboli del vernacolo aspirando a una lingua sovraregionale. Un’operazione, quest’ultima, che risulta difficile in particolare per i termini che indicano oggetti della vita quotidiana, col risultato che le differenze da luogo a luogo in questo settore sono più marcate.

Un capitolo interessante, anche dal punto di vista linguistico, è costituito dal diffondersi in tutta la penisola di alcune importanti istituzioni. Il catasto, ad esempio, nasce a Venezia e viene introdotto a Firenze nel 1427, mentre la posta, da luogo dove si cambiano i cavalli diventa trasporto di corrispondenza. Il termine repubblica, invece, comincia a staccarsi dal significato latino di Stato per indicare una forma di governo diversa da un regno e da un principato. L’accademia cessa di essere il luogo della filosofia platonica per diventare un gruppo di persone che si riuniscono con intenti culturali.

C’è poi tutta la terminologia relativa alle arti figurative, che hanno a Firenze uno straordinario sviluppo. L’Alberti rinnova il linguaggio dell’architettura attingendo al latino Vitruvio e introduce tra l’altro grecismi come plinto, che designa l’elemento architettonico che sostiene la base di una colonna, e astragalo, che indica la modanatura che separa il fusto della colonna dal capitello e dalla base. Medaglia non è più la moneta, ma un dischetto di metallo in cui si può raffigurare l’effigie di qualcuno. Gli scavi archeologici, favoriti dall’entusiasmo per il mondo antico, riportano alla luce statue molto spesso mutile, i torsi, termine che prima designava solo i fusti di alcune piante. A Leonardo si deve poi chiaroscuro, che rende la particolare tecnica così suggestiva dello sfumato.

Moltissimi, evidentemente, sono ancora i latinismi, non solo quelli di uso cancelleresco, come ipso facto («sul fatto stesso»), immediate («subito»), ex tempore («secondo le circostanze»). C’è infatti tutta una serie di parole che passano quasi identiche nell’italiano, salvo i necessari adattamenti fonetici. Sono aggettivi come ameno, arboreo, marittimo; sostantivi come emolumento, missiva, satellite (che vuol dire però «guardia del corpo»), bisonte, trofeo; verbi come applaudire e obliterare. Da notare che quest’ultimo termine è diventato comune da quando sono entrate in funzione negli anni Sessanta le macchine obliteratrici per annullare francobolli e biglietti, anche se ha provocato un’ondata di proteste perché sentito come troppo astruso. Una vicenda particolare ha la parola tradurre (< lat. traducere, «trasportare»), frutto dell’errata interpretazione di un passo di Gellio da parte dell’umanista Leonardo Bruni, che si diffonde nel significato attuale («rendere in un’altra lingua»), sostituendo traslatare e tralatare.

Tra i pochi forestierismi alcuni vengono dalla Francia, come il mal francese (la sifilide), portato in Italia dalla spedizione di Carlo VIII, altri dal Levante come moschea (invece di meschita che usa anche Dante).

Nel Cinquecento il dilemma se usare il latino o il volgare appare dunque superato. Tuttavia, alla lingua di Dante si preferisce ancora quella di Cicerone, soprattutto nelle Università. La filosofia e la medicina si mantengono rigorosamente fedeli al latino, mentre nel campo della matematica l’autodidatta Tartaglia, pur contestato dal Cardano, afferma il diritto all’uso del volgare nelle opere scientifiche. Benedetto Varchi, ancora nella prima metà del secolo, rischiava di essere scacciato dalla scuola di grammatica, perché scoperto a leggere di nascosto le Rime di Petrarca che potevano distoglierlo dagli scrittori latini. Ma nel 1574 Uberto Foglietta (nel De linguae Latinae usu et praestantia, «L’uso e la superiorità della lingua latina») conduceva l’ultima vera battaglia in difesa del latino.

 
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