Bembo contro tutti
La lingua della scienza
Le parole





Arriva la lingua della scienza
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Il Seicento porta, da una parte, il consolidamento della posizione del fiorentino, dall’altra una sua messa in discussione. L’evento centrale fu la pubblicazione nel 1612 del Vocabolario della Crusca a cui seguirono altre due edizioni nel 1623 e nel 1691. Fu il primo grande dizionario di una lingua europea, e nella scelta delle parole seguiva un criterio molto selettivo limitato ai soli scrittori fiorentini del Trecento. Grande assente, in quest’opera, era Tasso che, a differenza dell’Ariosto, non aveva riconosciuto l’autorità linguistica di Firenze. Il vocabolario dette subito il via a violente polemiche. Il professore padovano Paolo Beni, ammiratore del Tasso, condannava la Crusca in nome della superiorità dei moderni sugli antichi: un atteggiamento caratteristico del secolo, insofferente per molti versi dei vincoli del passato. Il modenese Alessandro Tassoni, autore di un celebre poema eroicomico, La secchia rapita (1624), temperamento violento e spregiudicato, se la prendeva con le anticaglie del vocabolario e gli idiotismi fiorentini e in nome del buon senso si chiedeva perché mai si dovesse dire moccichino o popone, mentre in tutta Italia si diceva fazzoletto e melone. Così anche il piemontese Emanuele Tesauro, il massimo teorico dell’estetica barocca, nel suo Cannocchiale aristotelico (1654-70), insorgeva in nome di una lingua che deve essere libera dal dogmatismo grammaticale e che, mutando nel corso del tempo, non può venire imbalsamata come era quella registrata nel vocabolario. La terza edizione sembrava aver recepito in parte le critiche, perché venne redatta sullo spoglio di un centinaio di autori in più, tra antichi e moderni, rispetto alle precedenti. Tasso era stato accolto, ma non Marino, che era il poeta barocco di maggior successo. Il vocabolario trovò un efficace supporto anche nella grammatica pubblicata nel 1643 da Benedetto Buonmattei, professore all’Università di Pisa, che fu per molto tempo la massima autorità in Italia in fatto di lingua.

In Europa l’italiano, nonostante la decadenza politica del nostro Paese, gode ancora di grande prestigio. A Vienna i gentiluomini lo parlano perfettamente, e anche Luigi XIV si diletta a leggere libri italiani. Si diffondono quindi italianismi che riguardano la musica, come adagio, grave, largo. Opera è una parola sempre più usata nel corso del secolo per indicare il melodramma, il nuovo genere drammatico, fatto di parole e musica, nato a Firenze negli ultimi anni del Cinquecento dalle meditazioni della Camerata dei Bardi. Il grande successo della commedia dell’arte rende familiari anche fuori dei confini nazionali i nomi delle varie maschere come Arlecchino o Pulcinella e anche altri termini relativi al teatro, come comparsa.

Quanto ai caratteri della lingua, si oscilla molto nell’uso delle doppie, ancora c’è il problema della distinzione tra u vocale e v consonante, mentre l’enfasi barocca porta a un grande uso delle maiuscole e dei superlativi, di cui troviamo un saggio nella celebre introduzione dei Promessi sposi, in cui Manzoni imita con intenzioni ironiche un manoscritto secentesco. Ci sono comunque segnali di cambiamento; Beni, ad esempio, mostra fastidio per il costrutto latineggiante che riproduce l’accusativo con l’infinito a imitazione del modello boccaccesco.

 
 
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