Una lingua chiacchierata
La rivoluzione semantica del Cristianesimo

Come parli, barbaro?

Le parole









Come parli, barbaro?
<< 1 | 2 >>

L’influenza linguistica dei popoli che hanno invaso l’Italia è misurabile non tanto sul piano morfologico e fonologico, quanto piuttosto su quello lessicale. Prendiamo ad esempio i Bizantini, che dominarono su tutta l’Italia dal 555 al 568 e sulle zone costiere anche dopo la conquista dei Longobardi, e gli Arabi, che occuparono la Sicilia nel IX secolo. Mentre è difficile stabilire se ci sono arabismi entrati nell’italiano a quest’epoca, siamo più sicuri per quanto riguarda le voci bizantine, anche se è sempre molto arduo capire esattamente quando si sono attestate nella nostra lingua.

Si tratta di termini che indicano oggetti domestici, come mastello; piante, come anguria (voce regionale settentrionale per cocomero), indivia e basilico; e vocaboli relativi alla vita marinara come argano, ormeggiare, gondola, falò. Sono bizantine anche le parola bambagia, un prodotto di esportazione, duca, che diventa in Italia qualcosa di diverso da dux (> duce), e abbazia, che designa una realtà al tempo stesso religiosa, economica e culturale di fondamentale importanza nel Medioevo.

Per quanto concerne gli apporti delle altre popolazioni, tutte di stirpe germanica, c’è da dire che alcuni termini, che possiamo definire «paleogermanici», sono entrati nell’italiano già in età imperiale. È il caso ad esempio di werra (> it. guerra), che sostituisce il debole bellum che poteva confondersi con l’aggettivo bellus (grazioso); di sapo –onis (> it. sapone), voce già attestata da Plinio che designava una miscela di sego e cenere per tingere i capelli; di rauba (> it. roba), che significava tanto armatura quanto veste. È gotica invece tutta una serie di parole – banda, guardia, schiatta e arredare – che si possono riportare alla vita tribale. Agli Ostrogoti, che regnarono in Italia dal 499 al 555, dobbiamo alcuni termini come stia, fiasco, nastro che riguardano la vita quotidiana, altri che si riferiscono alla natura (greto) e all’aspetto fisico (grinta). È un lessico che riflette una cultura basata sulla guerra e lo scontro, ma che dà conto anche della vita semplice di tutti i giorni.

Stesso discorso vale per i Longobardi, anche se l’influenza di questo popolo sulla nostra lingua è stata più incisiva, visto che non si limitarono a un’occupazione militare, ma furono autori di una vera e propria conquista che si protrasse per circa due secoli (568-774). A loro, come afferma Devoto, si deve quell’azione unificatrice in virtù della quale fenomeni nuovi, propri dell’Italia settentrionale, si diffusero anche in Toscana: ad esempio il passaggio da sorda a sonora nelle gutturali (lacus > it. lago), nelle dentali (scutum > it. scudo) e nelle labiali; per quest’ultimo caso, esempio illuminante è la forma popolare befana, proveniente da «la (e)pifania» dove la p appunto, divenuta intervocalica, si muta in b. Sono longobardi termini della vita militare come strale; della vita quotidiana come stamberga, sguattero, greppia, graffiare, arraffare, spaccare, che alludono a un’esistenza di stenti basata sulla rapina; del corpo umano come ciuffo e zazzera che fanno pensare a capelli lunghi e in disordine. Tra gli aggettivi, l’italiano ha mutuato ricco (< rihhi = «potente»), che ha preso il posto del corrispondente latino dives. Il latino si è preso però una rivincita col suffisso –ezza di ricchezza che continua il molto produttivo –itia (ad esempio laetitia = «gioia», stultitia = «stoltezza» etc.). Molto probabilmente è longobardo bianco (che ha sostituito albus), applicato al pelame dei cavalli. E, a proposito di cavalli, non ci stupiamo che, in un mondo in cui questi animali sono così importanti, compaiano anche nuovi colori per designarne il manto: così abbiamo il franco bruno (scuro lucente) e il germanico sauro (biondo-rosso).

 
<< 1 | 2 >>