come desidera e di scegliere le proprie destinazioni in
base alle soddisfazioni che offrono. A chi sta “in basso”
succede in ogni momento di essere buttato fuori dal luo-
go in cui gli piacerebbe stare (nel 1975 furono due milio-
ni gli emigranti forzati, cioè i rifugiati, assistiti dall’Alta
commissione istituita dalle Nazioni Unite a quel fine
1
;
nel 1995 erano saliti a ventisette milioni).
Se non si muove, spesso è la terra a essergli strappata da
sotto i piedi
2
– la sensazione è comunque di essere in
movimento. Se si mette per strada, nella maggior parte
dei casi la destinazione è scelta da altri; di rado è amena,
e comunque non viene scelta per la sua amenità. Ma-
gari occupa invece un luogo molto poco attraente che
abbandonerebbe volentieri, ma non ha dove altro andare,
perché difficilmente sarebbe benvenuto da qualche altra
parte e autorizzato a piantarvi le tende. [...]
Due differenti
forme di
nomadismo
Ora tutti possono essere nomadi, nei
fatti o perché si sentono tali. Ma c’è
un abisso incolmabile tra le esperien-
ze che si avranno presumibilmente al
vertice e quelle alla base della scala della libertà. Il termi-
ne di moda
nomade
, se applicato indiscriminatamente a
tutti quelli che vivono nell’era postmoderna, è gravemen-
te fuorviante: nasconde infatti le enormi differenze che
separano i due tipi di esperienza e che rendono ogni so-
miglianza tra di essi apparente e superficiale.
Di fatto i mondi che sono sedimentati ai due poli, al ver-
tice e al fondo della emergente gerarchia della mobilità,
differiscono nettamente, e tra di essi scende poco alla vol-
ta l’incomunicabilità.
Spazio e tempo
Per il primo mondo, il mondo di chi
è mobile su scala globale, lo spazio ha
perduto il suo carattere vincolante ed è facile da attraver-
sare sia nella sua versione
reale
sia in quella
virtuale
3
. Per
il secondo mondo, il mondo di coloro che sono legati a
un luogo, coloro cui è vietato muoversi, che sono costret-
ti perciò a sopportare in modo passivo qualsiasi cambia-
mento che possa accadere al luogo cui sono legati, lo spa-
zio reale si va rapidamente restringendo. Si tratta di una
privazione resa ancor più dolorosa dall’ostentazione con
la quale i media mettono in mostra la conquista dello
spazio e l’
accessibilità virtuale
di distanze che nella realtà
non virtuale restano ostinatamente irraggiungibili.
Il contrarsi dello spazio abolisce il fluire del tempo
4
. Gli
abitanti del primo mondo vivono in un perpetuo presen-
te, attraversando una sequenza di episodi che un cordone
sanitario isola dal loro passato e dal loro futuro. Questa
gente è costantemente occupata e “non ha” mai tempo,
dato che ogni istante è privo di estensione – un’esperien-
za uguale a quella di avere il tempo “pieno fino all’orlo”.
La gente condannata a vivere nel mondo opposto è
schiacciata dal peso di un tempo che non passa mai, ri-
dondante e inutile, che non sa come riempire. Nel loro
tempo “non succede mai nulla”. Essi non “controllano” il
tempo – né ne sono controllati, a differenza dei loro avi
che timbravano il cartellino, assoggettati al ritmo anoni-
mo della fabbrica. Essi possono solo ammazzare il tempo,
e ne sono lentamente uccisi
5
.
I residenti del primo mondo vivono nel tempo; lo spazio
non conta per loro, dato che attraversano qualsiasi di-
stanza istantaneamente. I residenti del secondo mondo,
invece, vivono nello “spazio”: pesante, gommoso, intoc-
cabile, che lega il tempo e lo mantiene al di fuori del loro
controllo. Il loro tempo è vuoto; nel loro tempo “non
succede mai nulla”.
Solo il tempo virtuale, quello televisivo, ha una struttura,
degli orari. Il resto del tempo non fa che ticchettare via
monotono: va e viene senza fare domande e, apparente-
mente, senza lasciare traccia. Le sue scorie
6
compaiono
improvvisamente, senza preavviso e senza invito. Imma-
teriale e leggero, effimero, senza che nulla lo riempia di
senso e gli dia, così, gravità, il tempo non ha potere sullo
spazio troppo-reale in cui sono confinati i residenti del
secondo mondo.
Frontiere e muri
Per gli abitanti del primo mondo – il
mondo sempre più cosmopolita ed
extraterritoriale degli uomini d’affari, manager culturali
o accademici globali – le frontiere sono aperte, così come
sono smantellate per le merci, i capitali, la finanza mon-
diali.
Per gli abitanti del secondo mondo i muri rappresentati
dai controlli sull’immigrazione, dalle leggi sulla residen-
za, dalle politiche delle “strade pulite” e della “tolleranza
zero
7
” si fanno più spessi; i fossati che li separano dai
luoghi dove vorrebbero andare e dai sogni di redenzione
si fanno più profondi, mentre tutti i ponti si rivelano, al
tentativo di attraversarli, ponti levatoi
8
.
I primi viaggiano quando vogliono, ne traggono piacere
(specialmente se viaggiano in prima classe o con l’aereo
privato), sono blanditi o pagati per viaggiare e, quando lo
fanno, accolti col sorriso e a braccia aperte.
I secondi viaggiano furtivamente, spesso illegalmente,
pagando a volte per l’affollata stiva di barche puzzolenti e
rabberciate più di quanto gli altri non paghino per il lus-
so dorato della
business class
. Ciononostante li si guarda
con disprezzo e, se la fortuna non li assiste, sono arrestati
al loro arrivo e immediatamente deportati.
(Z. Bauman,
Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone
,
Laterza, Roma-Bari 2001)
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