se gli elementi da ricordare erano inseriti in fiabe tradizionali. Cole osservò i disposi-
tivi di insegnamento nella popolazione: essi risultavano molto centrati sull’imparare a
memoria; così anche la matematica era considerata una materia da imparare a memo-
ria. Nel suo libro
Psicologia culturale
(1996) egli evidenzia come i bambini Kpelle, sul-
la base dei nostri criteri di giudizio occidentali, potrebbero essere considerati stupidi;
ma superando un’ottica etnocentrica, e valutandoli secondo altri criteri, i bimbi libe-
riani appaiono intelligenti: nei mercati, nei taxi e in altre situazioni della vita quoti-
diana mostravano di possedere buone capacità intellettive e di adattamento. Per esem-
pio, nonostante la debolezza in aritmetica, erano in grado di fare stime più precise del-
le quantità di riso rispetto agli studenti americani.
Lo studio di Cole dimostra che le funzioni mentali non possono essere studiate pre-
scindendo dal
contesto culturale
in cui si sviluppano e dalle situazioni in cui i parti-
colari processi cognitivi vengono applicati.
Lo sviluppo del linguaggio…
Le fasi di acquisizione del linguag-
gio sono
uguali
per tutti i bambini
del mondo:
vocalizzi
,
lallazio-
ne
(cioè il pronunciare vocali sempre unite a consonanti, per esempio
“ma”, “na”, “da”, e successivamente la ripetizione dello stesso suono, per
esempio “ma-mama”),
parola
,
olofrase
(cioè il fenomeno per il qua-
le una sola parola assume il significato di una frase intera, per esempio
“pappa” per dire “voglio la pappa”),
frase
,
acquisizione delle regole
.
Si riscontrano
invece
differenze nei passaggi tra le varie fasi.
I di-
versi modi di allevare il bambino e la maggiore o minore importanza
che viene attribuita alla comunicazione con il bambino influenzano lo
sviluppo del linguaggio.
Per esempio, gli studi di
Elinor Ochs
e
Bambi B. Schieffelin
hanno
evidenziato che a
Samoa
gli adulti non parlano direttamente ai bambi-
ni piccoli poiché ritengono che essi non siano in grado di capire, quin-
di i bambini sono esposti a un linguaggio parlato tra gli adulti ma non rivolto diretta-
mente a loro; mentre i
Kaluli
della
Nuova Guinea
danno ai bimbi indicazioni precise
sulla lingua e stimolano le abilità linguistiche.
Inoltre, come già
Edward Sapir
(1884-1939) e
Benjamin Lee Whorf
(1897-1941)
avevano messo in luce, il linguaggio riflette
la cultura di provenienza
: per gli
Hana-
noo
(una popolazione delle
Filippine
) il riso è un elemento essenziale per la soprav-
vivenza e l’importanza che esso riveste si rispecchia nella lingua, nella quale sono pre-
senti 92 parole differenti per i tipi di riso.
Anche gli
Eschimesi
hanno, nel loro vocabolario, decine di termini per designare la
neve, distinguendo i diversi tipi di
neve
, a seconda del colore, della consistenza o del-
la posizione: il lessico riflette dunque
l’esperienza culturale
dell’eschimese (sempre a
contatto con la neve).
… e gli studi sul motherese di Schaffer
Nel volume
Lo sviluppo sociale
(1984),
H.
Rudolph Schaffer
(1926-2008) riporta alcuni studi sul
motherese
(«madrese», dall’in-
glese
mother
), lo stile particolare di linguaggio utilizzato dalle
mamme
per rivolgersi ai
bambini
. In una ricerca di
Simon Fernald
e Hitoshi
Morikawa
sono state analizzate
coppie giapponesi e americane di madri e figli di 6,12 e 19 mesi di età, mentre intera-
givano tra loro, con alcuni giocattoli a disposizione. I ricercatori individuarono alcune
caratteristiche comuni: sia le madri americane che quelle giapponesi
adattavano il lo-
L’immagine raffigura
dei bambini kaluli, in Papua
Nuova Guinea.
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