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no, nella loro severità e nel loro rigore, l’incorruttibi-
le forza di quegli ideali, i quali non vengono meno
nei dipinti di soggetto mitologico, come l’
Atalan-
ta e Ippomene
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.
Il Domenichino, interprete dell’idea del bello
Il Domenichino, al secolo
Domenico Zampieri
(Bo-
logna, 1581 - Napoli, 1641), aveva lavorato con An-
nibale Carracci nella Galleria Farnese.
In un quadro come la
Caccia di Diana
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, del 1616-
17, la gara con l’arco tra le ninfe del seguito di Dia-
na allude idealmente a un analogo episodio narra-
to nel v libro dell’
Eneide
di Virgilio, in cui la gara
coinvolge diversamente i compagni di Enea.
La pittura gareggia con la poesia, similmente a quan-
to era accaduto, secondo la tradizione, per un cele-
bre quadro di Apelle che le fonti dicono raffigurasse
lo stesso soggetto scelto dal Domenichino, allusivo,
stavolta, a un brano dell’
Odissea
nel quale Omero
aveva paragonato i giochi e la bellezza di Nausicaa
e le sue ancelle con quelli di Diana e le sue ninfe.
Nel dipinto di Domenichino ogni fierezza agoni-
stica tra i compagni di Enea si dissolve nella gioio-
sa e serena esaltazione della bellezza e nella lumi-
nosità del paesaggio che allude alla felice Arcadia.
Lanfranco, da Parma a Roma
Giovanni Lanfranco
(Parma, 1582 - Roma, 1647),
nato e cresciuto sotto le cupole del Duomo di Par-
ma dipinte dal Correggio, si aggrega appena diciot-
tenne alla scuola di Agostino Carracci.
In occasione della morte del celebre maestro bo-
lognese nel 1602 prende la strada per Roma; ed è
nella Roma di Annibale Carracci e di Caravaggio
che il promettente pittore sa conquistarsi subito
una posizione di prestigio, godendo del patrona-
to di potenti mecenati, come il cardinale Scipio-
ne Borghese.
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Guido Reni,
La strage degli
innocenti
, 1611, olio su tela, cm
268 x 170. Bologna, Pinacoteca
Nazionale
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Guido Reni,
Atalanta e Ippo-
mene
, 1620 ca, olio su tela, cm 191
x 264. Napoli, Museo e Gallerie
Nazionali di Capodimonte.
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Domenichino,
Caccia di Diana
,
1616-17, olio su tela, cm 225 x 320.
Roma, Museo e Galleria Borghese.
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Giovanni Lanfranco,
Assunzio-
ne di Santa Maria Maddalena
, 1616-
17, olio su tela, cm 110 x 78. Napo-
li, Museo di Capodimonte.
Ritenuto straordinario già dai contemporanei il
gruppo delle ninfe arciere, ciascuna individuata nel
diverso moto dell’animo: di esso Domenichino sa
cogliere, in un solo istante, la progressione delle azioni.
Vincerà la gara chi saprà cogliere il bersaglio, una
pavoncella legata a un palo.
La ninfa posta sul proscenio, colta in un sensuale abbandono
ai piaceri del bagno, rivolge lo sguardo allo spettatore che, pur
attratto dal richiamo sessuale, è così restituito al suo ruolo di
osservatore: rendendo consapevole lo spettatore della finzione
della pittura l’espediente riesce a neutralizzare gli effetti di
sensualità che l’immagine ha prodotto.
Altri gruppi di ninfe
attendono ad altre allegre
occupazioni.
La pavoncella sta cadendo
nei cespugli: i pastori, verso
i quali il balzo del cane
è diretto, saranno presto
scoperti e azzannati dai cani.
Chiara è l’allusione letteraria
all’episodio ovidiano delle
Metamorfosi
in cui Atteone
scopre Diana e le ninfe al
bagno e per punizione viene
sbranato dai cani della dea.
La bellezza è il vero soggetto
del quadro: essa è raffigurata
attraverso le diversamente
atteggiate figure di Diana
e delle sue ninfe. Le cinque
tiratrici alludono qui alle
cinque fanciulle ritenute
secondo il mito da Zeusi,
pittore greco, necessarie
per raffigurare la sola bellezza
della dea Giunone. Diana,
esultante, è segnalata dai suoi
attributi, l’arco e la faretra
e la mezzaluna sulla fronte.
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