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Q
ualche domanda
Sulla base di quanto hai letto, elenca i cibi e gli oggetti
dovuti al lavoro delle donne e quelli di cui si occupano
gli uomini nella popolazione Kung.
Esistono differenze nel modo di valutare le attività
femminili e quelle maschili presso i Kung?
stesse facendo qualcosa di sconveniente, ma mi è stato
più volte ripetuto che era l’
unica
a farlo. Tuttavia, le sue
erano azioni delle quali rispondeva principalmente a se
stessa, e non al marito; il suo, quindi, non veniva visto
come un comportamento che enfatizzasse i difetti del
marito o ne offuscasse pubblicamente la virilità. Non sa-
rebbe, probabilmente, stato cosi in molte società, inclusa
la nostra.
(da M. Shostak,
Nisa. La vita e le parole di una donna Kung
,
Meltemi, Roma 1992, pp. 291-292)
1.
La parola
bush
in inglese significa “foresta, bosco”.
2.
Il punto esclama-
tivo prima della parola
kung
indica un “click”, che nel linguaggio tecnico
segnala un suono simile allo schiocco della lingua.
3.
Coperta di pelle di
antilope.
2
Vita con gli Yanoàma
di Ettore Biocca
sette anni – visse con gli Yanoàma per
vent’anni
Il libro che Biocca pubblicò, con il per-
messo di Helena, fu considerato un do-
cumento eccezionale: racconta infatti i
due decenni che Helena trascorse presso
gli Yanoàma. Caccia, guerre, feste, matri-
moni, morti e nascite: tutte esperienze
vissute da Helena. Il brano che segue è
tratto da quel libro.
Alcuni passaggi sono piuttosto signifi-
cativi sui costumi degli Yanoàma: il capo
(marito di Helena) ha diverse mogli che
vivono in capanne distinte all’interno
dello
sciapuno
(o
shabono
), l’abitato col-
lettivo circolare. Helena ci parla, in prima
persona, del lavoro nella foresta, del mito
sull’origine del cotone, quando animali ed
esseri umani parlavano la stessa lingua.
Le “accuse” delle donne Yanoàma a
una donna bianca
Si presti poi attenzio-
ne alle accuse che alcune donne muo-
vono a Helena: sei bianca, perché non ci
fabbrichi le cose dei bianchi? Un vecchio
capo la difende, ma le donne Yanoàma
non sentono ragioni. In una società tec-
nologicamente semplice, come quella
yanoàma, tutti sanno fare tutto. Com’è
dunque possibile che una donna bianca
non possa fabbricare ciò che i bianchi
possiedono?
L’autore
All’inizio degli anni Sessanta
del Novecento il medico e antropologo
Ettore Biocca compì diverse spedizioni
per studiare l’ambiente e le popolazioni
dell’Amazzonia, tra il Brasile e il Venezuela.
Durante uno di questi viaggi egli venne
a sapere di Helena Valero e ne ricavò il
materiale per un libro.
La storia di Helena Valero
I genitori
di Helena erano coloni e un giorno, ri-
salendo un fiume in piroga, vennero
attaccati da un gruppo di indios Yanoà-
ma. Fuggirono ma persero Helena, che
fu condotta dagli indios al proprio vil-
laggio. Da allora Helena – doveva avere
Cominciai così a vivere insieme alle
quattro altre mogli di Fusiwe; viveva-
mo separate, ma con i focolari vicini.
La prima moglie vecchia, Namoeteri del gruppo dei Pata-
neweteri, aveva una figlia grande sposata e una figlia picco-
la; i parenti di lei si erano separati ed erano andati a vivere
soli; si chiamavano Teteheiteri: era quella che comandava
su tutte. Poi veniva Scerekuma. Fusiwe l’aveva rapita da
bambina mentre stava al bagno in un
igarapé
1
; la madre di
lui l’aveva allevata. Un’altra era Hasubueteri: l’aveva presa
dopo una festa mentre i parenti di lei ritornavano al loro
sciapuno. L’ultima era una Namoeteri, la più giovane e bel-
lina: si chiamava Tokoma. Infine c’ero io.
Essi non amano sentirsi chiamare per
nome e i loro nomi li ho conosciuto
dopo molto tempo. Il tusciaua
2
una
volta disse: «Come sarà che non trovano nomi belli da
dare ai figli?». Una moglie rispose: «Anche il tuo nome
è brutto», ma io non lo chiesi. Ricordo che un giorno,
dopo tanto tempo che vivevo con lui e già avevo un fi-
glio, un uomo disse: «Fusiwe ha ucciso un tapiro». Io
chiesi: «Chi ha questo nome?». Mi risposero: «Il padre del
tuo bambino!». Fusiwe aveva un figlioletto con la moglie
Hasubueteri, di nome Komohiwe. Io lo chiamavo: «Pa-
dre di Komohiwe» […].
Seppi il nome del nonno dei miei figli, padre di Fusiwe,
solo dopo morto, si chiamava Hayamamuk (Occhio di
cervo). Dei piccoli possono dire il nome, ma quando di-
ventano grandi, non li nominano più. Neppure le donne
sono chiamate per nome, dicono: «Madre di bambino»,
se ha un figlio. Quando la persona è assente, gli altri qual-
che volta la nominavano, ma se è presente, mai. Nelle
lotte, allora si gridano il nome, perché sono nemici.
I Namoeteri erano formati dai Na-
moeteri di Fusiwe, dai Patanaweteri,
dagli Gnaminaweteri e dai Pisciaanseteri.
Quando stavano riuniti, Fusiwe comandava su tutti, era-
no tanti; molto più di cento uomini con le mogli e i figli.
Il padre vecchio di Fusiwe era stato capo, prima del figlio,
di quel gruppo che, anche quando si divideva, continua-
le altre quattro
mogli
l’uso dei nomi
propri
i vari gruppi
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